Discorso del Rettore
Marco Pasquali
Professor DiMauro, Egregi Colleghi, Signore e Signori, Cari Studenti,
porgo a tutti voi il più caloroso benvenuto a nome dell’Università di Pisa, che si riunisce oggi per onorare, con il conferimento della laurea specialistica honoris causa in Medicina e chirurgia, uno degli scienziati più eminenti nel campo delle neuroscienze.
Riconosciuto unanimemente tra i padri della “medicina mitocondriale” e da molti anni coordinatore di un gruppo multidisciplinare di esperti in questa materia che è considerato tra i migliori al mondo, il professor Salvatore DiMauro ha contribuito a formare e perfezionare oltre cinquanta ricercatori italiani, tra i quali anche alcuni che operano nel nostro Ateneo.
Nei primi anni Novanta il professor DiMauro ha avviato importanti collaborazioni con la Clinica Neurologica dell’Università di Pisa, stimolando una serie di pubblicazioni che hanno permesso di elevare la qualità scientifica del gruppo pisano e che hanno posto i nostri ricercatori all’avanguardia nel panorama nazionale per quanto riguarda lo studio delle patologie mitocondriali.
Da allora il professor DiMauro ha continuato a partecipare a iniziative pisane di formazione e di divulgazione, tra le quali la Lettura sulla medicina mitocondriale del 1997 e i meeting internazionali sulla medicina molecolare del 2000 e del 2006, favorendo inoltre la collaborazione tra centri dell’Università, della Scuola Superiore Sant’Anna e del CNR.
Nel 2004, il professor DiMauro ha accettato di far parte del Comitato scientifico dell’Ateneo per l’uso clinico delle cellule staminali, punto di riferimento nella formazione di nuovi studiosi dediti alla ricerca sulle cellule staminali nelle moderne scienze mediche.
Il legame che unisce Salvatore DiMauro all’Università di Pisa è dunque antico e profondo, e nel tempo si è tradotto in attività che hanno saputo coniugare studi teorici ed esperienze cliniche e che si sono preferibilmente rivolte alla formazione delle giovani generazioni di ricercatori.
Per queste ragioni, oltre che per l’indubbio rilievo della sua attività di ricerca, il Senato Accademico dell’Ateneo ha accolto con favore la proposta presentata dalla facoltà di Medicina e chirurgia di conferire una laurea honoris causa al professore, nella convinzione che essa ben si inserisca nella tradizione di eccellenza scientifica e culturale che da sempre caratterizza le onorificenze concesse da questo Ateneo.
Nel sintetizzare la sua biografia, il professor DiMauro ha ricordato le sue origini italiane – “sono nato nella ‘gentile’ Verona” - oltre alla laurea e alla specializzazione ottenute all’Università di Padova. “Durante i miei anni di studi medici – ha scritto – ho fatto ricerca in biochimica ed ho iniziato a sognare un futuro di devozione alla ricerca clinica”.
“Per mia sfortuna – ha però precisato – la ricerca clinica non era un’opzione percorribile nell’Italia degli anni ’60 e ’70 e per questo mi sono rivolto al dipartimento di Neurologia della University of Pennsylavania, dove trovai esattamente ciò che stavo cercando, una ricerca biochimica d’eccellenza che iniziava al letto del paziente”.
Ancora una volta, quindi, il nostro Paese viene chiamato in causa per la capacità di formare laureati e ricercatori di elevata qualità, ma anche per la “drammatica” incapacità di riuscire a trattenere e a valorizzare questo patrimonio di energie e di competenze.
All’interno dello Starting Grant 2009 – l’ultimo bando dell’European Research Council con cui si finanziano le idee e i progetti scientifici che saranno realizzati nei prossimi anni in Europa - i ricercatori italiani sono i più numerosi sia per domande presentate, sia, insieme ai tedeschi, per quelle accolte. Le ricercatrici italiane, inoltre, sono quelle che possono vantare il maggior numero di progetti approvati.
Dei 32 progetti italiani vincitori, tuttavia, appena 14 saranno sviluppati nel nostro Paese, mentre 18 saranno realizzati oltre frontiera, soprattutto nel Regno Unito e in Francia. In cambio, solo 2 ricercatori stranieri hanno scelto l’Italia come sede dei loro studi.
La fotografia che ci ha consegnato l’ERC è solo l’ultimo, significativo caso che deve indurci a un’ulteriore riflessione. Le università italiane continuano ad assolvere bene ai loro compiti formativi, ma esse non riescono a essere competitive a livello europeo e mondiale nel successivo passaggio, quando si tratta di assicurare ai giovani ricercatori le migliori condizioni per proseguire nei loro studi e la speranza di potersi costruire un futuro in termini di carriera e di livelli retributivi.
Ecco perché, a fronte di finanziamenti sempre più limitati e di infrastrutture inadeguate, il sistema universitario italiano perde posizioni nel panorama ricco e complesso dell’alta formazione globalizzata.
Senza uno scatto immediato e concreto su questi fronti e senza una diversa considerazione per le potenzialità della ricerca, saremo sempre meno in grado di offrire agli studiosi più capaci, siano essi italiani o stranieri, la possibilità di proseguire in Italia le loro attività.
Nelle scorse settimane – e con questo mi avvio alla conclusione – sono stati pubblicati i ranking relativi al 2009 dei migliori atenei del mondo, elaborati dalla “Jiao Tong” University di Shanghai e dal “Times Higher Education Supplement”.
Pur con le cautele con cui vanno analizzate tutte queste classifiche, l’Università di Pisa vede confermata la sua specifica vocazione alla ricerca e all’internazionalizzazione, risultando rispettivamente al secondo e al quinto posto tra gli atenei italiani.
Vede anche riconosciuta, a livello nazionale ed europeo, l’eccellenza di molti suoi ambiti disciplinari: per esempio, quello della matematica, che è il migliore in Italia e in ottava posizione in Europa; o quello della fisica, dove la nostra Università è al secondo posto in Italia e tra i primi venti in Europa.
I responsabili di questi settori mi assicuravano che, venti o trenta anni fa, Pisa sarebbe stata al top in Europa e in ottima posizione nel mondo. Soprattutto paventavano che, persistendo l’attuale politica di sottofinanziamento e di scarsa attenzione verso la realtà universitaria italiana, tra alcuni anni rischiamo di veder definitivamente distrutta la nostra credibilità internazionale.
È un pericolo che non possiamo assolutamente correre, perché metterebbe in crisi la struttura complessiva della nostra società e minerebbe il futuro delle prossime generazioni.
Mi auguro che il mondo accademico, la politica e l’opinione pubblica sappiano affrontare le sfide delicate e difficili dei prossimi anni con questa consapevolezza di fondo. Grazie.
Ultimo aggionamento documento: 17-May-2010