Laudatio pronunciata dal Preside della Facoltà di Lettere e filosofia, prof. Gianfranco Fioravanti
Il conferimento di una laurea honoris causa è in primo luogo un atto di profonda responsabilità culturale.
Non devono pesarvi le tentazioni della visibilità accademica o mediatica, tanto meno quelle della affinità ideologica o politica.
La laurea honoris causa individua in primo luogo una persona che, per l'insieme della sua attività, per la ricchezza e la coerenza delle sue competenze specifiche, dovunque applicate, mostra di esserci stato in qualcosa maestro. Una persona senza la quale la nostra esperienza culturale (e perciò etica), la nostra conoscenza degli uomini e delle cose sarebbe più povera di quanto non sia.
Ma questo non basta. In ognuna delle numerosissime discipline ed attività in cui si articolano il sapere ed il saper fare esistono ancora, per fortuna, maestri riconoscibili. Ad essi va la stima e l'affetto che sono loro dovuti, nei modi e nelle forme tradizionalmente indivisuate dalle varie comunità scientifiche. La laurea honoris causa prevede qualcosa di più: la Facoltà che la propone e l'Università che la decreta devono avvertire, come corpo collettivo, e al di là delle distinzioni disciplinari, l'importanza e l'attualità (nel senso meno effimero della parola) dei motivi che animano l'attività della persona prescelta.
La motivazione con cui la Facoltà di Lettere e Filosofia ha proposto il conferimento a Romano Prodi della laurea honoris causa in Storia, mi pare esprima in modo adeguato una persuasione diffusa, che l'Università di Pisa nel suo complesso ha condiviso e fatta sua. Prima nei suoi studi e poi nella sua azione politica ed amministrativa Romano Prodi, andando oltre le sue riconosciute competenze di economista, ha messo al centro una percezione unitaria originale dei procssi storici e dell'identità plurale dell'Europa, di cui la dimensione economica è costituente ineliminabile, ma tutt'altro che esaustiva. La battaglia politica nel senso alto del termine, per una sempre più ampia ed articolata integrazione, a tutti i livelli, delle identità nazionali europee (quelle dei paesi fondatori, ma anche quelle nuove) è insieme battaglia intellettuale ed etica. Essa ha bisogno di una approfondita riflessione storica e culturale per dotarsi degli strumenti adatti a comprendere, a sollecitare e a governare il processo.
Non si tratta di un processo lineare né tanto meno necessario, destinato a compiersi comunque. Le resistenze sono state e sono ancora forti e quando, come in queste settimane, l'orizzonte mondiale si oscura in modi così drammatici, anche per i più convinti i tempi sembrano allungarsi, se non addirittura invertire il loro corso. Occorre allora il richiamo ada aspirazioni e convinzioni intellettuali e morali nate e maturate nell'esercizio costante del lavoro intellettuale e nell'esperienza di una vita politica intesa e praticata come servizio reso alla comunità civile.
Nelle altissime responsabilità conferitegli, negli anni più recenti, soprattutto dalla carica di Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi ha interpretato in maniera molto esposta e visibile questo tipo di impegno. La capacità di individuare modi nuovi di connettere attività culturale ed attività politica, trova il proprio humus nella sua profonda formazione di cattolico democratico, nel cattolicesimo di Dossetti, di Ruffilli e del gruppo del Mulino, componente non maggioritaria, ma sicuramente importante e di profondo impatto sulla vita politica e culturale dell'Italia del dopoguerra.
Ma la necessità di nuovi modi con cui connettere attività culturale ed attività politica non è legata ad una particolare appartenenza ideale. In tutte le grandi tradizioni politiche nazionali ed europee si avverte ormai il bisogno di riattivare il rapporto tra cultura e funzioni di governo, per non essere travolti dalle contingenze inattese che possono rendere irrilevante o cieco l'agire politico, ma anche per vedere lontano guardando da lontano e riconquistando così una prospettiva storica complessa.
L'esperienza di Romano Prodi sembra dunque dirci che la professione politica ha un grande bisogno di nuova ispirazione e di nuova consapevolezza storica. Neanche con queste basi le è assicurato il successo, nel quadro del violentissimo scontro di oggi tra smisurati interessi materiali che troppo spesso tendono a mascherarsi come scontro di civiltà. Ma senza queste basi può morire non dico la fiducia, ma perfino la speranza di governare con gli strumenti e l'ethos della democrazia le dimaniche del presente e del futuro.
Nella storia e nell'attività di Romano Prodi c'è dunque il richiamo forte ad una partecipazione politica nutrita di passione etica e di riflessione culturale. Ma c'è anche un simmetrico richiamo al mondo della cultura e della ricerca perché si assuma le sue responsabilità nel dialogo sociale e nella costruzione di una nuova identità collettiva, e questo con gli strumenti suoi propri della ricerca scientifica e della formazione superiore. La necessaria divisione del lavoro intelletuale non deve impedire, anzi deve richiedere con sempre maggiore urgenza attenzione all'orizzonte dei fini e disponibilità ad innovare nei modi di interpretare e di vivere la funzione culturale così svolta. La comunità scientifica, ed in primo luogo l'Università, istituzione storicamente europea, è così interpellata: per rinnovare concretamente il suo rapporto con l'insieme della società civile, per contribuire alla riaffermazione ed alla diffusione dei valori che la tradizione dell'Europa ha costruito nel tempo, con tanto travaglio ed a costo di tante sofferenze,e e che deve essere riproposta come patrimonio culturale e critico disponibile nel quadro del concerto mondiale.
Ultimo aggionamento documento: 27-Jun-2006