Laudatio
di Roberto Bizzocchi

Presentare esaurientemente in pochi minuti una carriera professionale come quella di Christiane Klapisch-Zuber è impossibile, perché i risultati del suo lavoro sono stati, oltre che estremamente importanti, molto ricchi e abbondanti; mentre la diffusione e la risonanza dei suoi scritti, l’incisività dei suoi insegnamenti, l’apertura e il rilievo delle relazioni scientifiche da lei intrattenute, si possono definire, senza esagerazione, planetari. La stessa studiosa ha tracciato nel 2000, in una conferenza poi pubblicata in italiano ancora prima che in francese, una sorta di autobiografia intellettuale, cui rimando come alla guida ideale per avvicinarsi con miglior completezza all’insieme della sua opera; avvertendo per altro che quell’autobiografia è già superata, perché da allora l’autrice ha pubblicato altri due libri di ricerca, completamente nuovi, su due argomenti completamente diversi l’uno dall’altro, e un terzo ancora ne sta preparando. Questo mio discorso, che espone le motivazioni per cui il Dipartimento e la Scuola di Dottorato in Storia, la Facoltà di Lettere, l’Università di Pisa hanno voluto manifestare la propria stima e la propria riconoscenza a Christiane Klapisch-Zuber, non è dunque che un bilancio selettivo e provvisorio; la troppo rapida e rapsodica celebrazione di un percorso condotto con successo, ma anche la testimonianza della continuazione di un lavoro e di un rapporto che unisce il nostro ateneo e noi ricercatori pisani alla grande collega francese nel segno della progettualità per il futuro non meno che della gratitudine per il passato.

Sintetizzerò schematicamente in cinque punti quelli che mi paiono i contributi fondamentali dati, dati finora, da Christiane Klapisch-Zuber allo studio della storia dell’Italia e della Toscana fra medioevo e prima età moderna, età dei Comuni e Rinascimento.

Primo punto: i numeri.

In Toscana disponiamo di una fonte storica di valore e interesse unici: il Catasto quattrocentesco, cioè il censimento intrapreso nel 1427 dal governo fiorentino della popolazione e delle proprietà ad esso soggette, comprendenti gran parte dell’attuale regione, e fra l’altro Pisa e il Pisano. 60.000 famiglie coi loro beni e 260.000 persone vissute qui oltre mezzo millennio fa sono descritte minuziosamente in una documentazione completa e imponente. Gli studiosi se n’erano sempre serviti, talora anche con esiti egregi, in modo parziale, con intenti mirati a scopi ben delimitati. Ma da metà degli anni sessanta Christiane Klapisch-Zuber, in collaborazione con lo storico americano David Herlihy, ideò, diresse e attuò un progetto scientifico gigantesco: studiare a tappeto questa fonte, registrarne tutte le serie d’informazioni, metterle in rapporto le une con le altre, creare delle statistiche solide e attendibili, e su questa base costruire un affresco sociale immenso e insieme fondatissimo. In quest’impresa la grande tradizione positivistica della storiografia francese, con la sua attenzione ai dati strutturali misurati attraverso metodi quantitativi, ha felicemente interagito con la precoce esperienza della storiografia statunitense in materia informatica. Il libro che ne è risultato nel 1978, tradotto in italiano dal Mulino nel 1988 col titolo I Toscani e le loro famiglie, e che da praticante del campo di studi non esito a definire il capolavoro della storiografia sulla Toscana di questi ultimi decenni, si raccomanda alla lettura anche dei non specialisti: infatti l’aspetto più quantitativo e tecnico del lavoro vi è messo, con sensibilità antropologica, al servizio dell’umanità della rappresentazione, e così un monumento di ricerca riesce, con naturalezza e perfino con leggerezza, a infondere vita concreta a un mondo di uomini e donne del passato. Sotto questa etichetta dei numeri vorrei parlare più a lungo di quanto non potrò di un altro libro che intanto Christiane Klapisch-Zuber aveva pubblicato nel 1969, e visto tradotto in italiano nel 1973: Carrara e i maestri del marmo: 1300-1600. Raramente noi storici sappiamo far di conto, ancor più raramente sappiamo entrare negli aspetti materiali del lavoro, della produzione, dell’arte. Molto semplicemente: si tratta di un tipo di ricerca più che difficile, ardua. Ma quando la si vede realizzata si scopre come sia- insisto sulla parola che sto per dire- appassionante: in questo caso fa un effetto simile seguire la storia di un blocco di marmo, dal sistema di estrazione, allo sgrossamento, al metodo di trasporto, alla destinazione d’uso; il tutto, si capisce, nel quadro della ricostruzione magistrale di un contesto sociale e di una dinamica economica.

Secondo punto: i nuovi orizzonti

Dico nuovi, quando Christiane Klapisch-Zuber è stata, trenta o quarant’anni fa, fra coloro che prima e più autorevolmente li hanno spalancati ai nostri occhi. Oggi è ormai un dato acquisito un po’ ovunque l’importanza della storia delle donne, e per meglio dire: l’importanza della sensibilità all’esistenza e al rilievo della specificità di genere nelle vicende storiche. Lo è a tal punto che in alcuni paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, questa disciplina, women o gender studies, è diventata un settore trainante della ricerca, dei finanziamenti, del reclutamento universitario e dell’editoria. Si spiega perciò che Christiane Klapisch-Zuber, protagonista assoluta a livello mondiale come autrice e promotrice di questi studi fra anni settanta e novanta, vi abbia ottenuto una celebrità anche mediatica tanto eclatante da farla talora identificare, soprattutto dai meno informati e lontano dalla Francia o dall’Italia, come “la grande storica delle donne”: una definizione certo lusinghiera, ma tutto sommato, come stiamo vedendo, limitativa. I suoi scritti in materia, tradotti in molte lingue e raccolti in italiano nel 1988 da Laterza sotto il titolo La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze (in realtà: non solo a Firenze), si nutrono innanzi tutto della profonda esperienza demografica dell’autrice, della sua già consolidata maestria nell’interrogare con finezza e creatività i numeri. È su tale base che il ricorso agli strumenti più aggiornati delle scienze sociali, in particolare dell’antropologia culturale, l’interesse intanto maturato per una documentazione che è una delle glorie della civiltà toscana come i libri di famiglia o ricordanze, per le fonti più schiettamente letterarie, e per quelle figurative che da allora e poi sempre più saranno un riferimento costante del suo lavoro, consentono alla studiosa quegli altissimi risultati, che sono anche i suoi più universalmente noti e influenti. Non posso riassumere in modo insieme rapido e adeguato questi magnifici saggi; ma spero sia un invito a leggerli la mera enumerazione di alcuni argomenti, che mostra come la storiografia più scientificamente impeccabile sia anche in grado di toccare nel modo più coinvolgente gli aspetti profondi della nostra vita e del nostro sentire: rapporti della donna con la famiglia d’origine e quella in cui entra per matrimonio, gerarchie all’interno della famiglia, senso dell’infanzia e amor materno, allattamento e baliatico, gioco e devozione religiosa, vedovanza e abbandono dei figli: la vita, la morte, i corpi, i sentimenti. Praticare una storiografia non astratta e libresca, ma compromessa con la realtà della vita comporta anche svelare della vita le ingiustizie e i dolori; e nel complesso un’acquisizione cruciale di questa parte del lavoro di Christiane Klapisch-Zuber è stata mostrare gli aspetti di durezza della condizione della donna in un’epoca, come il Rinascimento, che per altri versi delle donne ci ha lasciato le testimonianze più splendide e seducenti. Si capisce che quest’impostazione abbia condotto la storica a interagire con le istanze attuali del femminismo nelle sue varie anime e componenti. L’argomento potrebbe svilupparsi in un lungo e articolato discorso. Mi limito ad osservare, in modo un po’ riassuntivo ed ellittico ma spero non  improprio, che caratteristica saliente dell’ispirazione culturale di Christiane Klapisch-Zuber è sempre stata il respiro non esclusivista del suo approccio, la tendenza ad affrontare la questione “storia delle donne”, “storia della condizione e dei diritti delle donne” come aspetto essenziale della questione “storia della condizione e dei diritti degli esseri umani”.

Terzo punto: la storia politica

Le ultime considerazioni ci hanno già avvicinato a questo tema. Una forte consapevolezza politica, che è del resto un tratto non secondario della biografia personale di Christiane Klapisch-Zuber, anima tutta la sua produzione storiografica, anche in quelle parti e fasi apparentemente più estranee alla politica; ma l’ultimo dei suoi libri finora pubblicati, Retour à la cité (2006), è proprio espressamente un libro di storia politica. Ritorno alla città: è quello dei cosiddetti Magnati, che nel comune di Firenze, come in altri dell’Italia centro-settentrionale, erano stati esclusi a fine Duecento dalle libere magistrature di governo cittadino a causa della minaccia che lo strapotere dei loro clan familiari rappresentava per il bene e l’interesse della comunità. L’autrice non ha portato la sua attenzione sul periodo, del resto già più noto, della promulgazione delle leggi antimagnatizie; ma sul secolo da metà Trecento a metà Quattrocento, durante il quale i Magnati, dopo la loro iniziale e irrimediabile sconfitta come ceto, hanno variamente negoziato la loro riammissione nella vita politica del Comune, di fronte al mantenimento in vigore delle leggi che li discriminavano. Non entro nei dettagli più tecnici di questa ricerca mirabilmente approfondita su una massa di documentazione abbondante, ma sparsa e quasi sempre di complicata utilizzazione. Segnalo solo il problema storico e politico, centrale per ogni italiano anche se vive ai giorni nostri e non si occupa per mestiere di storia, che emerge con limpida forza da questo libro: il problema, tanto importante nella storia d’Italia e tuttora tanto vivo, del rapporto fra famiglia e Stato, privato e pubblico; problema di cui Retour à la cité illumina in tutte le sue implicazioni e conseguenze la prima decisiva manifestazione.

Quarto punto: l’erudizione

Spero di non essere frainteso nell’uso di questa parola che l’ansia oggi generalmente crescente di comunicazione, volgarizzazione oltre che di relativizzazione del sapere storico potrebbe far apparire un po’ vecchiotta se non addirittura negativa. Christiane Klapisch-Zuber è stata ed è anche una maestra della ricerca erudita, della paziente ricostruzione del particolare preciso e verificato, della quotidiana esperienza, e- se posso dirlo- emozione, della scoperta di un nuovo documento, di un’inedita informazione, in un archivio, in una biblioteca, in un qualsiasi luogo di conservazione di una testimonianza figurativa. Questa esperienza, ed emozione, che ogni storico vero conosce per sé e riconosce nel lavoro degli altri è il nutrimento di ognuno dei libri e degli articoli di Christiane Klapisch-Zuber. Ma il suo capolavoro di erudizione- nel senso alto che ho appena detto- è il libro, pubblicato nel 2000 e in corso di traduzione in italiano, L’ombre des ancêtres, uno scavo davvero prodigioso nelle fonti di molti paesi d’Europa, ben oltre l’Italia e la Francia, per ricostruire la storia del formarsi di una raffigurazione per noi ovvia, quella dell’albero genealogico familiare, che invece nel medioevo ovvia non fu affatto. Le diverse forme e i diversi significati allora assunti dall’albero ci dischiudono la comprensione di realtà e sensibilità circa la struttura della famiglia e della parentela che poi si sono perdute, e che la storica ricostruisce, con un garbo che maschera l’inarrivabile virtuosismo tecnico, nella miniatura di un codice, nella pagina di un incunabolo, in un dipinto celebrativo.

Infine, quinto punto: l’insegnante e la collega.

Lungo un buon quarto di secolo, alla VIe section dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes, poi Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, Christiane Klapisch-Zuber ha animato il suo seminario di “Demografia e antropologia storica dell’Italia medievale”, e organizzato con altri colleghi quelli di “Storia e antropologia delle società europee, XV-XX secolo” e “Antropologia comparata delle società europee e asiatiche XIII-XIX secolo”. È stata così una delle personalità chiave della creazione di quel clima culturale di eccezionale originalità scientifica e apertura internazionale che caratterizza quell’istituto, e che si traduce fra l’altro nella pubblicazione della rivista, prestigiosa e seguita in tutto il mondo, “Annales”, cui lei stessa ha costantemente collaborato attraverso gli anni con numerosi articoli. Capace di interagire coi cultori dei campi di studio più lontani dal suo, ma specialista in proprio dell’Italia e della Toscana, ella è stata in particolare un punto di riferimento preziosissimo e insostituibile per gli storici italiani e toscani fuori d’Italia. La sua disponibilità al confronto e al dialogo, la vivacità dei suoi interessi si possono immaginare e forse non hanno bisogno di essere descritti in dettaglio. Ma c’è un aspetto della sua personalità scientifica e umana che le è proprio peculiare e la caratterizza spiccatamente: nel testimoniarlo qui in conclusione vorrei, senza abbandonare la solennità opportuna in una presentazione come questa, permettermi ora un tratto più confidenziale. Tutti noi ricercatori in ogni materia sappiamo che una componente non trascurabile, e non necessariamente negativa, del nostro lavoro è lo spirito d’emulazione: non sono certo il solo dei moltissimi colleghi italiani, e molti pisani, di Christiane Klapisch-Zuber che hanno sperimentato come in lei la passione per la ricerca e la generosità personale abbiano cancellato ogni traccia di spirito d’emulazione per far posto alla più altruistica e amichevole disposizione alla comunanza di sforzi per un obiettivo comune. Anche per aver lavorato- lei, collega così grande- fra noi e con noi in tale spirito, e per continuare a farlo, le siamo profondamente riconoscenti.


Ultimo aggionamento documento: 05-Feb-2008