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A ottanta anni dalla liberazione di Auschwitz e dell’Italia: il primo memoriale di un italiano sopravvissuto ai lager

"Il numero 202.133 racconta": la testimonianza di Luigi Rozzi raccolta da Silvio Guarnieri

guarnieri_cronache_vert.jpgIn questo 25 aprile ricorre l’80° anniversario della liberazione d’Italia dal giogo fascista e nazista, e più precisamente dell’insurrezione generale proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. Ma questa data è come il culmine di un processo più complesso, che conosce una tappa cruciale nel 27 gennaio precedente, giorno della liberazione del Campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’esercito sovietico. Tra il 25 aprile e il 2 settembre 1945, fine ufficiale della II guerra mondiale con l’atto di resa del Giappone, si registrano anche i primi memoriali stesi o ispirati da sopravvissuti italiani ai Lager.

Il più famoso di questi ossia Se questo è un uomo è datato, come lo stesso Primo Levi scrive, «Avigliana-Torino, dicembre 1945 - gennaio 1947». Tuttavia Levi, insieme con l’altro ebreo torinese Leonardo De Benedetti, aveva già steso, nel campo di transito di Katowice e «su richiesta del Comando Russo del Campo», tra il marzo e il giugno 1945, un Rapporto sulla organizzazione igienico-sanitaria del campo di concentramento per Ebrei di Monowitz, consegnato alle autorità russe non sappiamo in quale lingua e comunque pubblicato dagli autori solo più tardi, il 24 novembre 1946, sulla rivista «Minerva Medica» (XXXVII, 47, pp. 355-544).

Quello che presentiamo nell’incontro del 23 aprile 2025 – promosso dal CISE presso il Dipartimento di Filologia Linguistica e Letteratura dell’Università di Pisa – pare il primo memoriale di un sopravvissuto italiano dai Lager andato a stampa, ed è stato scritto in condizioni in parte analoghe a quelle del Rapporto Levi-De Benedetti. Il testo infatti è datato 15 maggio 1945 ed è stato steso da Silvio Guarnieri in base alla testimonianza di Luigi Rozzi, sopravvissuto da Mauthausen e Auschwitz-Monowitz, ove si era salvato come Primo Levi: era stato abbandonato nel campo al momento della marcia della morte cui i prigionieri furono costretti, perché impossibilitato a muoversi per un incidente a una gamba. Ma Luigi Rozzi fu più fortunato di Levi, che sarebbe rientrato a Torino solo il 19 ottobre 1945 e nel settembre stava ancora attraversando la Romania, come scrive nel libro La Tregua («vedemmo sfolgorare, la notte del 23 settembre, i fuochi dei pozzi petroliferi di Ploesti»). Luigi invece già nel maggio 1945 varcava la soglia dell’Istituto di Cultura Italiana di Timişoara, allora diretto da Guarnieri e divenuto un centro di assistenza per italiani sopravvissuti dai Lager o reduci.

Rozzi fu rifocillato, fu rivestito, cominciò a raccontare. Si era in una rappresentanza diplomatica italiana, con una certa disponibilità di fonti ufficiali e giornalistiche, e i suoi ricordi poterono essere confermati e integrati. Il memoriale, steso in quei giorni e datato 15 maggio 1945, venne subito pubblicato in romeno, col titolo Numarul 202.133 (‘Il numero 202.133 racconta’) sul settimanale «Lupta patriotică», il 4 giugno 1945. Il sopravvissuto, che aveva quel numero tatuato sul braccio, si rimise in cammino con in tasca la versione italiana del memoriale, raggiunse l’Italia nel giugno e riuscì a pubblicare il testo, col titolo Campi di eliminazione nella Germania nazista, nell’agosto 1945 presso la Tipografia Ebranati di Salò, ove risiedevano alcuni suoi familiari. Il fatto che questo memoriale sia uscito quasi in contemporanea in romeno e in italiano ne fa un caso di grande interesse, ed è per questo che all’incontro del 23 aprile partecipano studiose e studiosi tanto di italianistica (Marina Riccucci, Giancarlo Bertoncini e chi scrive) quanto della lingua e cultura romena (Bruno Mazzoni, Doina Condrea Derer, Emilia David, Edoardo Giorgi).

L’incontro assume un particolare rilievo per l’Ateneo pisano. Guarnieri, originario di Feltre, si era laureato a Firenze in Legge e in Lettere e aveva stretto forti legami col direttore di «Solaria» Alessandro Bonsanti e coi frequentatori del caffè Giubbe rosse Montale, Gadda, Ferrata, Loria, Vittorini e altri. Lasciò l’Italia per sfuggire all’oppressione del fascismo nel 1938, dopo aver vinto il posto di Direttore di Istituto di Cultura italiana in Romania. Dopo il suo rientro in Italia e l’impegno come professore e preside di scuola a Feltre, fu chiamato nel 1960, su suggerimento di Luigi Russo, a insegnare Letteratura italiana moderna e contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa; divenne inoltre, nel 1963, docente di Lingua e letteratura romena presso il Corso di Laurea in Lingue e letterature straniere della Facoltà di Economia e Commercio e quindi presso la Facoltà di Lingue e letterature straniere. Fu anche preside dell’Istituto Tecnico Commerciale di Pontedera e consigliere comunale a Pisa dal 1966 al 1975.

Ma l’Università di Pisa entra indirettamente anche nella vicenda di Luigi Rozzi. Originario del bresciano, egli si era laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano; quando il 28 ottobre 1943 fu arrestato dalle SS, guidate da una spia fascista, era dipendente della Magneti Marelli di Sesto San Giovanni. Faceva parte di una rete antifascista che aiutava la lotta partigiana con l’uso di radio ricetrasmittenti, rete che comprendeva, o forse faceva capo a Carlo Mendel, catturato lo stesso 28 ottobre e, come ricorda il memoriale di Rozzi, fucilato nel dicembre 1943 con altri suoi compagni all’Arena di Milano, «in segno di rappresaglia per l’uccisione del Federale di Milano, Aldo Resega». Mendel nel 1932 era stato ammesso alla Scuola Normale e il 23 novembre 1937 – poco prima delle leggi razziali che lo avrebbero colpito come ricercatore – si era laureato in Fisica a Pisa, con una tesi diretta da Luigi Puccianti, già supervisore della tesi di Enrico Fermi e maestro di tanti fisici pisani.

Non è possibile in questa sede esaminare più a fondo il memoriale di Guarnieri e Rozzi; colpisce però la fredda obiettività con la quale viene presentata, nella sua efficienza tecnica e distruttrice, la «crudeltà organizzata» del sistema dei Lager: il testo intitolato Il numero 202.133 racconta in gran parte non è un racconto ma mostra come «l’ing. Luigi Rozzi non esisteva più», era divenuto solo «un numero […] cucito alla giubba […] tatuato sul braccio».

Il volume Cronache di guerra e di pace, curato da Adriana Guarnieri con Giacomo Corazzol e pubblicato da Manni nel 2022, contiene il racconto Il numero 202.133 che ripete, con molte varianti, il memoriale del 1945 e prosegue mostrando come Guarnieri e Rozzi, dopo la fine della guerra, si siano di nuovo incontrati, a Milano, a Feltre e a Pisa. Per la delusione rispetto agli sviluppi sociali e politici del dopoguerra, e sotto la persistente influenza della logica darwinistica del Lager, secondo cui «egli doveva tempestivamente approntare le proprie difese […], cercar di salvare il poco che aveva o che poteva avere», Rozzi aveva accentuato il «suo sentirsi differente proprio da coloro ai quali era stato più legato»; «in tal modo – scrive Guarnieri – senza avvedersene egli infine condannava se stesso, condannava la propria esperienza passata». Ma da queste pagine emergono, pur avvolte da un alone di riservatezza che porta a omettere persino i nomi propri, le vicende personali di Rozzi ed emergono in particolare due figure femminili, la compagna con cui viveva al momento dell’arresto (sposata dopo la fine della guerra) e colei che, dopo la morte della prima moglie, avrebbe sposato.

Abbiamo dunque una testimonianza molto precoce del sistema dei Campi di eliminazione nella Germania nazista, ma anche, senza retoriche glorificazioni, una vicenda complessa e delicata. Il fatto che all’incontro del 23 aprile partecipino Adriana Guarnieri, figlia di Silvio, e Chiara Rozzi, figlia del testimone Numero 202.133 ad Auschwitz (con un contributo pure di Sergio Ebranati, nipote del primo stampatore italiano del memoriale) è il miglior modo per rispettare e valorizzare le preziose memorie di cui parliamo, a ottant’anni da quando furono scritte. 

Fabrizio Franceschini
Università di Pisa

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