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Gli orrori dei conflitti: traumi e disturbi psichici dei soldati italiani dopo la Grande Guerra

Pubblicato sulla rivista Modern Italy della Cambridge University Press il saggio della storica dell’Università di Pisa Vinzia Fiorino

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Uomini che gettano l’uniforme e cominciano a correre nudi, altri che iniziano a parlare come bambini, che piangono e si lamentano, altri ancora che sono percorsi da tremiti in un totale mutismo, o che delirano con la paura del diavolo e di essere posseduti da demoni. Le ferite della guerra, di tutte le guerre, sono anche queste. Un nuovo studio della professoressa Vinzia Fiorino, storica dell’Università di Pisa, pubblicato sulla rivista Modern Italy della Cambridge University Press ritorna sul tema dei traumi e dei disturbi psichici dei soldati italiani (ma il fenomeno è comune a tutti i Paesi coinvolti) dopo la Prima Guerra Mondiale. Si parte dai numeri, che sono enormi: solo in Italia i militari che accusano disturbi mentali sono circa 40mila, secondo alcune stime anche di più. Una emergenza che porta nel gennaio del 1918, dopo la sconfitta di Caporetto del 1917, all’istituzione di un Centro di Prima Raccolta a Reggio Emilia per cercare di gestire (e limitare) il flusso di soldati che arrivano dal fronte per essere poi smistati nei vari ospedali psichiatrici di tutto il Paese.

“Inizialmente la guerra non è considerata dai medici come la causa dei vari disturbi ma piuttosto si pensa a fattori congeniti come predisposizione ed ereditarietà, se non a vera e propria finzione – spiega Vinzia Fiorino – per questo la vita negli ospedali psichiatrici e nei centri di raccolta è resa durissima, peggio che al fronte, e ad esempio i malati vengono sottoposti ad scariche elettriche o applicazione di elettricità anche nelle parti intime, un orrore che si aggiunge all’orrore”.

A partire dalla vasta storiografia esistente, il saggio di Fiorino parte dallo studio delle cartelle cliniche dei ricoverati in vari ospedali psichiatrici fra cui Roma Volterra e Trieste e mette in evidenza alcuni disturbi e comportamenti sinora poco studiati fra cui appunto la regressione all’infanzia, lo spogliarsi e correre (a volte dopo aver defecato sulla divisa dismessa), accanto a particolari declinazioni della sindrome isterica considerata sino ad allora un problema prevalentemente femminile. Fiorino interpreta questi comportamenti alla luce di grandi mutamenti culturali in atto: la retorica dell’eroe di guerra da un lato e la massificazione dell’uomo soldato inserito in grandi corpi collettivi quali sono i primi eserciti di leva dall’altro.

“La disciplina cui erano sottoposti i soldati aveva in qualche modo già ‘bambinizzato’ gli uomini togliendo loro autonomia e possibilità di decidere, da questo punto la regressione all’infanzia riproduce il modello gerarchico di totale obbedienza della vita militare – spiega Vinzia Fiorino – la spersonalizzazione dell’uomo soldato che nulla ha a che fare con l’idea dell’eroe solitario mette in crisi anche il modello di mascolinità e tuttavia da questo enorme crogiolo emerge un desiderio di crearsi una nuova identità, anche in spregio a quella vecchia, da qui lo spogliarsi e il fuggire nudi”.

I traumi e i disturbi psichici diventano in questo modo una spia per analizzare la transizione dalla figura del soldato-eroe a quella del soldato massa in un circuito in cui entrano anche in causa gli stereotipi femminili per descrivere una mascolinità in crisi e l’emergere della massa come nuovo soggetto politico.

28-08-2023

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