Grande successo per il concerto per il Concerto di Natale del Coro e dell’Orchestra dell’Università di Pisa che si è svolto giovedì 14 dicembre e venerdì 15 dicembre al Teatro Verdi di Pisa. Il Coro e l’Orchestra, preparati dai maestri Stefano Barandoni (maestro del coro) e Manfred Giampietro (direttore), hanno eseguito la Sinfonia n° 9, opera 125, "Corale" di Ludwig Van Beethoven. Hanno partecipato il soprano Paola Cigna, il contralto Amanda Ferri, il tenore Leonardo Sgroi e il basso-baritono Carlo Cigni. L'evento è stato curato dal Polo Musicale "Maria Antonella Galanti" del CIDIC (Centro per l'Innovazione e la Difusione della Cultura).
Di seguito una nota critica sulla Sinfonia n° 9, opera 125, "Corale" di Ludwig Van Beethoven a firma del maestro Giampietro.
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Parlare oggi della Nona sinfonia beethoveniana è, lo si intuisce facilmente, compito estremamente arduo. Come possiamo conciliare, infatti, una sublime musica con le notizie che giungono, implacabili, dal nostro “ecosistema” informativo? Come farsi aiutare da essa, per mettere ordine nell’interpretazione di un mondo, il nostro - quello occidentale - che sarebbe dovuto divenire sempre più progredito, pacifico, democratico, e che invece si sta rivelando sempre più scosso da guerre (una europea, una mediorientale), mutamenti climatici e mire espansionistiche che ci illudevamo appartenessero ad un passato che non si sarebbe più ripresentato?
Il nostro futuro - ci si dice - sarà ancora più tecnologico, non certo governato da scintille divine (le Götterfunken di Schiller), bensì caratterizzato dagli automatismi sempre più pervasivi ed “intelligenti” della Macchina, che adesso ambisce perfino a sostituire l’Uomo sul terreno finora creduto esclusivo: quello della creatività.
Un’intelligenza artificiale, riuscirà - in un domani utopico o distopico non sta a noi dirlo - a tracciare l’arco espressivo di una sinfonia come quella che ascolteremo stasera? L’ultimo monumento sinfonico del musicista tedesco ci aiuta, forse, nella chiarificazione di tale attuale e contemporaneo quesito.
Parlandoci dell’Universale, Beethoven arriva, come solo la grande musica può fare, al cuore dell’Uomo. Nella Nona, la classicità non cede il passo alla modernità, ma - progetto assai più ambizioso, che solo il musicista di Bonn avrebbe potuto realizzare - si fonde con essa nell’apparente ossimoro di una dialettica armonica, fatta di tenaci contrasti e visioni pacificate.
Tanti sarebbero gli esempi: se l’inizio dell’opera fa da pietra miliare nel ricalibrare la tradizionale idea di incipit sinfonico, trasformandolo, da semplice introduzione, in tellurico suono della Natura, il secondo movimento - uno Scherzo anticipato nella sua collocazione canonica - gioca avveniristicamente con la nozione di cellula musicale e di intervallo (persino uno Stanley Kubrick coglierà la “frattalità” geniale di questo brano, appropriandosene per il suo celebre Arancia meccanica, in una sorta di sberleffo da “baffi sulla Gioconda” in chiave musicale).
Il terzo movimento - una sorta di oasi musicale che assolve il difficile compito di preludere all’exitus ascensionale dell’Inno alla Gioia - rivitalizza, con orfico ed allusivo “sguardo all’indietro”, l’idea del “tema con variazioni”, ormai sul punto di tramontare per lasciare spazio al leitmotiv romantico.
Come a far immergere l’ascoltatore in una sorta di punto di vista soggettivo che combaci con quello dell’Autore, il celeberrimo quarto ed ultimo movimento, infine, riprende i temi principali uditi in precedenza, in una sorta di dialogo interiore nobilmente “caotico” e generativo, sino alla risoluzione finale ed oltremondana del canto, in cui la Parola si fa segno illuministico e al contempo divino.
Manfred Giampietro