Può una comune pianta mediterranea, usata nella tradizione per adornare immagini religiose e tenere lontano il diavolo, fornire una protezione contro lo sviluppo del diabete? Secondo un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa, le sostanze vegetali contenute nell'estratto di Hypericum perforatum - pianta erbacea molto diffusa nel bacino mediterraneo, ma presente anche in altre zone climatiche - sono capaci di proteggere le cellule pancreatiche produttrici d'insulina dai gravi danni infiammatori che conducono poi allo sviluppo del diabete giovanile. Lo studio intitolato "St. John's wort extract and hyperforin protect rat and human pancreatic islets against cytokine toxicity" è stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Acta Diabetologica.
L'Hypericum perforatum, detto popolarmente erba di San Giovanni (St. John's wort), è una pianta dai caratteristici fiori gialli e dalle foglioline allungate che sembrano bucherellate se esaminate controluce. Questa erba, a cui venivano attribuite generiche proprietà lenitive, era tradizionalmente colta per adornare l'immagine protettiva di S. Giovanni Battista, tanto che nella tradizione è conosciuta anche come "erba scacciadiavoli".
I risultati oggetto della pubblicazione sono stati per ora ottenuti in laboratorio in cellule di origine animale e umana, usando metodi di microscopia e di biologia molecolare: "Il nostro è stato uno studio di fattibilità, che ha dimostrato che l'impiego di queste sostanze vegetali può effettivamente raggiungere lo scopo, cioè la protezione delle cellule produttrici d'insulina, comprese quelle umane, dai processi distruttivi che provocano il diabete giovanile", ha commentato il professor Pellegrino Masiello, docente del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia, sezione di Patologia Generale.
L'obiettivo della ricerca condotta a Pisa nel laboratorio diretto da Pellegrino Masiello consiste nell'individuare e caratterizzare sostanze di origine vegetale, somministrabili per via orale e prive di effetti collaterali, che siano in grado di preservare la funzione e l'integrità delle cellule beta altrimenti destinate a essere distrutte da una reazione autoimmunitaria finora considerata inarrestabile. La rilevanza di tale progetto di ricerca è sottolineata dal fatto che esso ha ottenuto un finanziamento congiunto dalla Fondazione Telethon italiana e dalla Juvenile Diabetes Research Foundation americana.
Se da un lato il risultato è molto incoraggiante, il professor Masiello precisa che bisogna tener presente che le applicazioni concrete sono ancora lontane, in quanto gli effetti delle sostanze protettive vanno verificati in animali sperimentali e vanno inoltre approfondite le loro caratteristiche farmacologiche, di cui sappiamo ancora poco. "Il vantaggio di un impiego futuro dell'estratto di iperico come agente anti-diabetico deriva anche dal fatto che esso è stato ed è tuttora largamente utilizzato nel trattamento di pazienti affetti da sindrome depressiva, risultando ben tollerato e privo di effetti collaterali – aggiunge Masiello - Abbiamo anche studiato i meccanismi molecolari su cui si basano gli effetti protettivi dell'iperico e contiamo di presentarli in una prossima pubblicazione".
Il gruppo che ha condotto la ricerca è composto, oltre che dal professor Masiello, dalle dottoresse Michela Novelli, Matilde Masini, Luisa Martino, Svetlana Porozov, Anna Pippa e dal dottor Vincenzo De Tata, e si è avvalso della preziosa collaborazione della dottoressa Pascale Beffy (Istituto Fisiologia Clinica, CNR Pisa) e di ricercatori dell'Università di Verona (professoressa Marta Menegazzi, dottoressa Anna Sgarbossa), nonché dell'indispensabile contributo del professor Piero Marchetti, del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, per lo studio delle cellule umane.