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Fabrizio FranceschiniNel 1963 The New Yorker pubblicava le corrispondenze di Hannah Arendt, poi raccolte nel volume Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil (1963,1964). La banalità del male, nell’edizione italiana pubblicata da Feltrinelli, fu allora un titolo e un libro provocatorio e insieme illuminante; il libro resta illuminante ma la formula rischia oggi di essere consunta.

Sessant’anni dopo i reportages di Harendt dal processo Eichmann in Gerusalemme, Liliana Segre ci parla della noia della memoria: «Le iniziative che possono venire da una vecchia come me a volte sono noiose… basta con questi ebrei, che cosa noiosa». Qual è la parola che Liliana ha voluto campeggiasse al memoriale del Binario 21, che sta sotto la “normale” stazione di Milano? INDIFFERENZA. E cosa ha chiesto per anni al comune di Milano? Un tram della linea 9 dedicato alla Memoria, con sulla fiancata la scritta «27 gennaio – Giorgio della Memoria» e «Memoriale della Shoah – Binario 21 – Stazione centrale».

Forse Liliana è una vecchia noiosa…? Il fatto è un altro. La noia della memoria e l’indifferenza di tutti i giorni devono essere scosse non ogni 27 gennaio, ma tutti i giorni. È l’antica lezione del popolo ebraico, del suo monito-preghiera שְׁמַע Shemà ‘ascolta’.

Le parole di Dio riferite da Mosè al popolo ebraico – nel Deuteronomio o in ebraico דברים devarim ‘parole’ – dicono anzitutto la verità fondamentale: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno». Ma non basta che il grande profeta, il salvatore e la guida del popolo ebraico le proclami in una circostanza eccezionale… Perciò in questo e in altri passi biblici si aggiunge:

queste parole che io (Dio per voce di Mosè) ti comando oggi sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli, e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti delle tue case e delle porte delle città (Deut. 6, 6-9).

Non basta che ieri Primo Levi, la livornese Frida Misul, la pisana Liana Millul… e oggi, per nostra fortuna, Liliana Segre ci raccontino la delazione e l’arresto, il trasporto e il terrificante arrivo, il lavoro bestiale e la fame, la camera a gas e il crematorio, lo sterminio di ebree ed ebrei ma anche di rom, omosessuali, comunisti, preti cattolici e pastori protestanti. Non basta che gli scampati dal Lager lancino gli imperativi Considerate se questo è un uomo, Considerate se questa è una donna, Meditate che questo è stato, e dunque la Shoah e altri crimini contro l’umanità possono ripetersi (e infatti davanti ai nostri occhi si ripetono, in Ucraina e in diverse parti del mondo, mentre il rischio atomico torna attuale). Primo Levi sente già allora (1946-47, 1958) il bisogno di ripetere letteralmente, in apertura di Se questo è un uomo, la preghiera ebraica Shemà:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

È dunque un impegno non di uno e di una giornata, ma di ognuno e di tutti i giorni.

Presso la nostra città, a San Rossore, furono firmati i regi decreti 5 settembre 1938 Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e 7 settembre 1938 Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri. Al Rettore che aveva preparato le liste di espulsione non è più dedicata una strada di Pisa; a norma di Proverbi 10,7 ora si chiamerà via Giusti tra le Nazioni. I docenti ebrei cacciati furono 20, oltre il 5% dell’intero corpo accademico (dati raccolti e pubblicati da F. Pelini e I. Pavan). Tra essi Enrica Calabresi, di cui una strada ricorda il nome, e Ciro Ravenna al quale è dedicata l’aula magna di Agraria, ove fu Preside. Il 27 gennaio uno spazio cittadino sarà dedicato a Raffaello Menasci, libero docente di patologia speciale medica dimostrativa, e presentando un libro di Vera Paggi ricorderemo Bruno Paggi, aiuto primario di patologia chirurgica. A ognuno di quei docenti ebrei cacciati dovremmo dedicare uno speciale segno nell’università e nella città.

Per tutti vale la denominazione del Polo didattico di via Risorgimento, Polo della Memoria San Rossore 1938. Qui abbiamo conferito una laurea honoris causa in Scienze della Pace a Liliana Segre. Qui interventi artistici ricorderanno non solo i docenti espulsi ma tutti i membri della Comunità ebraica pisana di allora. Qui in forme tecnologicamente avanzate ed emotivamente coinvolgenti si dovrà far memoria degli studenti ebrei stranieri, cacciati verso un destino di disperazione e di morte: 290 (250 ragazzi e 40 ragazze) nelle stime ufficiali del gennaio-febbraio 1938, ma il numero dovette essere ancor maggiore.

Si potrebbe dire che per noi questo corrisponde alle parole scolpite sugli stipiti delle porte secondo lo Shemà, al tram con quella scritta richiesto da Liliana Segre. Ma ciò non può bastare. Siamo sicuri, come docenti, di aver scolpito nel nostro cuore la memoria della Shoah e di saperla riproporre? Tale obbligo del ricordo tocca trasversalmente i diversi campi disciplinari oppure, anche per noi, qualche volta, «questi ebrei, che cosa noiosa»? E c’è l’altro lato della questione, che continuiamo a sottovalutare. Gli studenti e studentesse delle scuole e dell’Università, quali tracce registrano nei discorsi, nelle chat, nelle menti e nei cuori, rispetto ai nostri interventi del 27 gennaio o alla dedica di strade e luoghi alle vittime del razzismo e della Shoah? Per onorare gli impegni presi dalle Università, nella Cerimonia del ricordo e delle scuse del 20 settembre 2018, dovremmo cercare con più impegno la risposta a queste domande.

La presentazione al mondo universitario e alla città degli interventi di qualificazione del Polo della Memoria San Rossore 1938 potrebbe essere l’occasione per riparlarne.

 

Fabrizio Franceschini

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