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Comunicati stampa

L’Italia come una specie di grande Gattopardo delle rivoluzioni mancate, dall’epoca della Riforma protestante fino al ’68 e oltre. È questo il tema del nuovo volume del professore Stefano Brugnolo (foto) dell’Università di Pisa Rivoluzioni e popolo nell’immaginario letterario italiano ed europeo (Quodlibet, 2023).

Il libro verrà presentato a Pisa lunedì 13 novembre, alle 17.30 a Palazzo Boilleau, con i professori dell’ateneo pisano Roberto Bizzocchi e Sergio Zatti per il ciclo dei Seminari di Interpretazione testuale.

Brugnolo parte da una constatazione: “Per noi occidentali oggi è più facile rappresentare la fine del mondo piuttosto che un rivoluzione che modifichi l’attuale sistema vigente” Come si spiega questo? “Perché tutti noi almeno in Occidente siamo coinvolti in questo grande sistema che è il capitalismo, siamo cioè poco o tanto cointeressati al mantenimento di questo sistema, mentre la rivoluzione secondo Marx la fa chi non ha proprio niente da perdere”.
Se questa ipotesi è attendibile ecco che allora il caso italiano, al centro dello studio di Brugnolo, così segnato dalle rivoluzioni mancate, racconterebbe la rivoluzione mancata a livello più generale; esemplificherebbe cioè le attese, le speranze e le paure che quella prospettiva di cambiamento radicale ha suscitato durante tutta la Modernità.

La tesi di Brugnolo si sviluppa lungo trenta capitoli per oltre 400 pagine, un viaggio che attraversa i secoli cominciando da Machiavelli, passando attraverso Milton, Büchner, Hugo, Manzoni, Zola, Nievo, Verga, fino ad arrivare a Malaparte, Pasolini, Calvino e tanti altri, anche saggisti: da Galileo a Gramsci. Al centro ci sono soprattutto gli autori italiani che hanno raccontato le non-rivoluzioni nostrane in dialogo con alcuni grandi scrittori e pensatori europei.


Si tratta di un percorso in cui emergono degli spartiacque decisivi, come la Riforma protestante ma soprattutto la Rivoluzione francese, un evento che ha avuto grande risonanza in Italia, come dimostra il caso di Alessandro Manzoni che nei Promessi sposi sia pur parlando di un caso seicentesco in realtà si sta interrogando su come operare un cambiamento reale senza passare attraverso uno sconvolgimento simile.

Sempre secondo Brugnolo ci sarebbero “Rivoluzioni mancate in terra e rivoluzioni mancate in cielo”, e a quest’ultima specie appartiene quella tentata da Galileo. “Galileo tentò vanamente di rassicurare i vertici della Chiesa che le sue scoperte erano di tipo astratto e non potevano e dovevano coinvolgere il popolo, a cui il linguaggio matematico caratterizzante l’astronomia copernicana sarebbe comunque risultato incomprensibile”. A sentire quello scienziato si sarebbe insomma trattato di questioni che avrebbero interessato pochi e non avrebbero comportato più ampi sconvolgimenti culturali. “La Chiesa non si fidò delle rassicurazioni di Galileo – prosegue Brugnolo -, ma esse testimoniano una delle caratteristiche peculiari delle mancate rivoluzioni italiane: il distacco fra élite politiche e intellettuali e popolo”.

Una cesura che arriva sino al ’68 dove la mancata (o presunta) rivoluzione, promossa dal movimento studentesco, secondo Pasolini, avrebbe preso la forma di una trasformazione interna al sistema non certo di una sua messa in causa. Si sarebbe cioè passati da un capitalismo fondato su idee di disciplina e sacrificio ad un capitalismo consumistico ed edonistico. Anche in questo caso, insomma, si sarebbe trattato della riproposizione del paradigma cosiddetto gattopardesco, secondo cui bisogna cambiare tutto ma per far sì che poi tutto resti uguale.

L’ultimo libro esaminato da Brugnolo è “Il formaggio e i vermi” di Carlo Ginzburg del 1976. “Qui si narra del grande cambiamento che sogna un mugnaio del Cinquecento che sul formaggio e i vermi aveva costruito una cosmogonia di matrice popolare. È una vicenda – conclude Brugnolo - che richiama il principio della storia da me esaminata, quel sogno di cambiare il mondo che fu promosso dalla Riforma protestante e che il nostro paese rigettò allora e anche dopo”.

stefano-brugnolo-bw-458x458-1.jpgL’Italia come una specie di grande Gattopardo delle rivoluzioni mancate, dall’epoca della Riforma protestante fino al ’68 e oltre. È questo il tema del nuovo volume del professore Stefano Brugnolo (foto) dell’Università di Pisa Rivoluzioni e popolo nell’immaginario letterario italiano ed europeo (Quodlibet, 2023).

Il libro è stato presentato a Pisa lunedì 13 novembre, alle 17.30 a Palazzo Boilleau, con i professori dell’ateneo pisano Roberto Bizzocchi e Sergio Zatti per il ciclo dei Seminari di Interpretazione testuale.

Brugnolo parte da una constatazione: “Per noi occidentali oggi è più facile rappresentare la fine del mondo piuttosto che un rivoluzione che modifichi l’attuale sistema vigente” Come si spiega questo? “Perché tutti noi almeno in Occidente siamo coinvolti in questo grande sistema che è il capitalismo, siamo cioè poco o tanto cointeressati al mantenimento di questo sistema, mentre la rivoluzione secondo Marx la fa chi non ha proprio niente da perdere”.
Se questa ipotesi è attendibile ecco che allora il caso italiano, al centro dello studio di Brugnolo, così segnato dalle rivoluzioni mancate, racconterebbe la rivoluzione mancata a livello più generale; esemplificherebbe cioè le attese, le speranze e le paure che quella prospettiva di cambiamento radicale ha suscitato durante tutta la Modernità.

La tesi di Brugnolo si sviluppa lungo trenta capitoli per oltre 400 pagine, un viaggio che attraversa i secoli cominciando da Machiavelli, passando attraverso Milton, Büchner, Hugo, Manzoni, Zola, Nievo, Verga, fino ad arrivare a Malaparte, Pasolini, Calvino e tanti altri, anche saggisti: da Galileo a Gramsci. Al centro ci sono soprattutto gli autori italiani che hanno raccontato le non-rivoluzioni nostrane in dialogo con alcuni grandi scrittori e pensatori europei.


Si tratta di un percorso in cui emergono degli spartiacque decisivi, come la Riforma protestante ma soprattutto la Rivoluzione francese, un evento che ha avuto grande risonanza in Italia, come dimostra il caso di Alessandro Manzoni che nei Promessi sposi sia pur parlando di un caso seicentesco in realtà si sta interrogando su come operare un cambiamento reale senza passare attraverso uno sconvolgimento simile.

Sempre secondo Brugnolo ci sarebbero “Rivoluzioni mancate in terra e rivoluzioni mancate in cielo”, e a quest’ultima specie appartiene quella tentata da Galileo. “Galileo tentò vanamente di rassicurare i vertici della Chiesa che le sue scoperte erano di tipo astratto e non potevano e dovevano coinvolgere il popolo, a cui il linguaggio matematico caratterizzante l’astronomia copernicana sarebbe comunque risultato incomprensibile”. A sentire quello scienziato si sarebbe insomma trattato di questioni che avrebbero interessato pochi e non avrebbero comportato più ampi sconvolgimenti culturali. “La Chiesa non si fidò delle rassicurazioni di Galileo – prosegue Brugnolo -, ma esse testimoniano una delle caratteristiche peculiari delle mancate rivoluzioni italiane: il distacco fra élite politiche e intellettuali e popolo”.

Una cesura che arriva sino al ’68 dove la mancata (o presunta) rivoluzione, promossa dal movimento studentesco, secondo Pasolini, avrebbe preso la forma di una trasformazione interna al sistema non certo di una sua messa in causa. Si sarebbe cioè passati da un capitalismo fondato su idee di disciplina e sacrificio ad un capitalismo consumistico ed edonistico. Anche in questo caso, insomma, si sarebbe trattato della riproposizione del paradigma cosiddetto gattopardesco, secondo cui bisogna cambiare tutto ma per far sì che poi tutto resti uguale.

L’ultimo libro esaminato da Brugnolo è “Il formaggio e i vermi” di Carlo Ginzburg del 1976. “Qui si narra del grande cambiamento che sogna un mugnaio del Cinquecento che sul formaggio e i vermi aveva costruito una cosmogonia di matrice popolare. È una vicenda – conclude Brugnolo - che richiama il principio della storia da me esaminata, quel sogno di cambiare il mondo che fu promosso dalla Riforma protestante e che il nostro paese rigettò allora e anche dopo”.

Sono sette i Dipartimenti universitari di eccellenza dell’Università di Pisa ammessi al finanziamento del MUR per il quinquennio 2023-2027. Un risultato importante, che certifica la qualità della ricerca e nella progettualità scientifica dell’Ateneo pisano in alcuni dei campi che, peraltro, ne hanno scritto la storia: Biologia; Civiltà e Forme del Sapere; Filologia, Letteratura e Linguistica; Fisica; Ingegneria dell'informazione; Matematica e Scienze Veterinarie. Con Civiltà e Forme del Sapere e Ingegneria dell'informazione che ottengono questo riconoscimento per la seconda volta.

“In soli cinque anni siamo passati da due a sette dipartimenti d’eccellenza finanziati dal Ministero. Una crescita significativa, che premia il grande lavoro e le scelte fatte dal 2017 ad oggi – commenta il Rettore, Riccardo Zucchi – Di tutto ciò non posso che ringraziare il mio predecessore, i direttori dei dipartimenti, i docenti e il personale tecnico-amministrativo che hanno permesso di concretizzare un risultato importante per il nostro Ateneo e per la città”.

“Se, peraltro, sommiamo ai nostri sette, quelli ottenuti dalla Scuola Normale Superiore, dalla Scuola Superiore Sant'Anna e dalla Scuola IMT – conclude Zucchi - i dipartimenti finanziati salgono ad undici. Numero che riflette la vitalità del nostro sistema universitario, oltre che la straordinaria concentrazione di eccellenze che può vantare il nostro territorio. È da qui che adesso dobbiamo partire, per incrementare ulteriormente la qualità della nostra ricerca e la nostra capacità di attrarre studenti e giovani ricercatori”.

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La graduatoria dei 180 Dipartimenti assegnatari del finanziamento è stata pubblicata ieri dall’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca. Complessivamente erano 14 su 20 i Dipartimenti dell’Università di Pisa ammessi alla procedura di selezione sulla base del valore dell’Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD).

In totale sono 271 i milioni di euro stanziati dal Ministero e ogni dipartimento di Eccellenza può aspirare ad essere finanziato con un budget annuale che va dai 1,620 ai 1,080 milioni di euro per cinque anni. Per i dipartimenti delle aree CUN da 1 a 9 sarà assegnato anche un budget di 250 mila euro annui vincolato a infrastrutture di ricerca.

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