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Comunicati stampa

Ciro Ravenna15 novembre 1943, Ferrara. I fascisti prelevano dalle loro abitazioni 72 persone: oppositori del regime, "traditori" e molti ebrei. Fra di loro, anche il professor Ciro Ravenna, uno dei più illustri chimici italiani del Novecento, salito alla cattedra di Chimica agraria dell’Università di Pisa nel 1923. È tra queste due date e i relativi anniversari - l’80° dell’arresto e il 100° del suo arrivo all’Ateneo pisano - che si disegna la tragica parabola della vita di un uomo e di uno scienziato la cui unica “colpa” è stata quella di essere nato ebreo. Nel mezzo, una prestigiosa carriera accademica spazzata via dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938, di cui quest’anno cade l’85° anniversario.

A distanza di 80 anni da quel drammatico arresto, che condurrà Ciro Ravenna alla morte nel lager Auschwitz, riaccende la memoria sulla sua figura di scienziato la professoressa Maria Vittoria Barbarulo che domani, in occasione del XX Congresso di Fondamenti e Storia della Chimica (Lucca, 10-13 ottobre), dedicherà a Ciro Ravenna il suo intervento dal titolo “Dall’aurora imperiale all’alte Judenrampe”.

"Le persone muoiono realmente nel momento in cui ne viene meno il ricordo - spiega Maria Vittoria Barbarulo - Non a caso nella tradizione ebraica il ricordo di chi non è più tra noi è una benedizione e questo è il principio ispiratore del breve intervento che ho deciso di dedicare al professor Ciro Ravenna nel centenario dell’avvio del suo rapporto di collaborazione con l’Università di Pisa e nell’ottantesimo anniversario del suo arresto”.

“Nello specifico illustrerò alcuni aspetti meno noti del suo lavoro, relativi al periodo tra il 1933 e il 1943 – aggiunge Barbarulo - Nel decennio in esame, infatti, il professore è impegnato, tra le attività coerenti con il suo autorevole e imponente curriculum, nella preparazione di due apprezzati testi di Chimica pedologica e di Chimica agraria, quarto volume dell’ampio progetto dell’Enciclopedia agraria, pubblicati rispettivamente da Zanichelli e UTET".

"Per entrambi i libri sono state riprese le entusiastiche letture critiche comparse all’epoca su La Chimica e l’Industria - conclude la docente - Per il primo viene scoperta una recensione su un’importante rivista tedesca che ne sottolinea la validità internazionale come libro di testo, per il secondo, in particolare, viene realizzato un interessante confronto tra la tabella degli elementi realizzata dal professor Ravenna e quella elaborata negli anni 1934/35 dalla Commissione dei pesi atomici dell’Unione Internazionale di Chimica. La legislazione antiebraica del 1938 polverizza la carriera accademica del professor Ravenna, che potrà solo insegnare Chimica alla Scuola ebraica di Ferrara e, successivamente, nei corsi universitari organizzati all’Istituto israelitico di via Eupili a Milano, fino al dramma dell’internamento nel campo di Fossoli e della deportazione".

Un documento dell’Archivio dell’Università di Pisa, scritto a macchina il 24 settembre 1938 con successive aggiunte manoscritte, unisce la vergogna delle leggi razziali fasciste e l’orrore della Shoah. “Accanto al nome di Ciro Ravenna sono tracciate una croce e la scritta dep(ortato), mentre al nome di Enrica Calabresi, della stessa Facoltà di Agraria, si è aggiunto suicida (per sfuggire alla deportazione) – mette in evidenza il professor Fabrizio Franceschini, docente di Linguistica italiana e Storia della lingua italiana dell'Università di Pisa - Tuttavia, quando parliamo delle vittime delle leggi razziali e della Shoah, la loro immagine viva dev’essere sempre presente. Il contributo di Barbarulo ce la restituisce pienamente, aggiungendo nuovi elementi al profilo di Ravenna firmato da Alberto Aimo ed Enrico Bonari in Vite sospese. 1938: Università ed ebrei a Pisa”.

Quando viene arrestato, il 15 novembre 1943, Ciro Ravenna ha da poco compiuto 65 anni e, dopo essere stato trasferito dal carcere cittadino al campo di Fossoli, il 22 febbraio 1944, con lo stesso convoglio in cui viaggiò Primo Levi, viene deportato nel campo di sterminio di Auschwitz dove verrà ucciso nel giorno stesso del suo arrivo, il 26 febbraio del 1944.

 

Ciro Ravenna

Ciro Ravenna (Ferrara, 13 novembre 1878 – Auschwitz, 26 febbraio 1944) è stato un chimico e accademico italiano. Ciro Ravenna nasce a Ferrara nel 1878 da Pacifico Clemente Ravenna e Clelia Nunes-Vais, una famiglia ebraica. Dal 1909 lavora all’Università di Bologna dove collabora con Giacomo Luigi Ciamician alle sue ricerche sulla chimica delle piante. Qui Ravenna pubblica i suoi primi lavori (Manuale di analisi chimica agraria e bromatologica, Bologna, 1915).

Nel 1923 Ravenna vince il concorso alla cattedra di Chimica Agraria all’Università di Pisa. Promosso professore ordinario dal 1924 e nominato pochi mesi dopo direttore dell’Istituto superiore agrario di Pisa, nel 1931 fu insignito della croce di cavaliere della Corona d’Italia e venne designato a tenere il discorso inaugurale per l’anno accademico 1931-32 dell’Università pisana poi pubblicato col titolo Da Giusto Liebig alla battaglia del grano, in Giornale di chimica industriale ed applicata (1931).

Dal 1935, quando la scuola Agraria Pisana è trasformata in Facoltà di Agraria, diviene Preside della Facoltà. A Pisa, Ravenna continua i suoi studi sulla formazione e sul significato biologico degli alcaloidi e fa le prime esperienze di concimazione carbonica. Nel 1936 pubblica il suo testo più noto e importante sulla chimica vegetale, pedologica e bromatologica (Chimica Agraria, UTET, Torino, 1936).

Nel 1938, in seguito alle leggi razziali fasciste, è estromesso dall’insegnamento universitario. Rientrato nella sua città natale, negli anni seguenti Ravenna si guadagna da vivere attraverso lezioni private e come insegnante alla scuola ebraica di Ferrara. Collabora anche al Corso Universitario di Chimica istituito in quegli anni dalla comunità ebraica in via Eupili a Milano.

Dopo la costituzione della Repubblica di Salò, Ravenna è arrestato a Ferrara dalla polizia repubblichina il 15 novembre 1943, deportato nel campo di concentramento di Fossoli e consegnato ai tedeschi. Ravenna è condotto a Auschwitz il 22 febbraio 1944 sullo stesso treno dove viaggia anche Primo Levi, e ucciso il giorno stesso del suo arrivo al campo, il 26 febbraio 1944. Stessa sorte subiranno nei mesi successivi anche i fratelli Giorgio e Mario e la sorella Bianca.

Fabrizio FranceschiniNel 1963 The New Yorker pubblicava le corrispondenze di Hannah Arendt, poi raccolte nel volume Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil (1963,1964). La banalità del male, nell’edizione italiana pubblicata da Feltrinelli, fu allora un titolo e un libro provocatorio e insieme illuminante; il libro resta illuminante ma la formula rischia oggi di essere consunta.

Sessant’anni dopo i reportages di Harendt dal processo Eichmann in Gerusalemme, Liliana Segre ci parla della noia della memoria: «Le iniziative che possono venire da una vecchia come me a volte sono noiose… basta con questi ebrei, che cosa noiosa». Qual è la parola che Liliana ha voluto campeggiasse al memoriale del Binario 21, che sta sotto la “normale” stazione di Milano? INDIFFERENZA. E cosa ha chiesto per anni al comune di Milano? Un tram della linea 9 dedicato alla Memoria, con sulla fiancata la scritta «27 gennaio – Giorgio della Memoria» e «Memoriale della Shoah – Binario 21 – Stazione centrale».

Forse Liliana è una vecchia noiosa…? Il fatto è un altro. La noia della memoria e l’indifferenza di tutti i giorni devono essere scosse non ogni 27 gennaio, ma tutti i giorni. È l’antica lezione del popolo ebraico, del suo monito-preghiera שְׁמַע Shemà ‘ascolta’.

Le parole di Dio riferite da Mosè al popolo ebraico – nel Deuteronomio o in ebraico דברים devarim ‘parole’ – dicono anzitutto la verità fondamentale: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno». Ma non basta che il grande profeta, il salvatore e la guida del popolo ebraico le proclami in una circostanza eccezionale… Perciò in questo e in altri passi biblici si aggiunge:

queste parole che io (Dio per voce di Mosè) ti comando oggi sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli, e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti delle tue case e delle porte delle città (Deut. 6, 6-9).

Non basta che ieri Primo Levi, la livornese Frida Misul, la pisana Liana Millul… e oggi, per nostra fortuna, Liliana Segre ci raccontino la delazione e l’arresto, il trasporto e il terrificante arrivo, il lavoro bestiale e la fame, la camera a gas e il crematorio, lo sterminio di ebree ed ebrei ma anche di rom, omosessuali, comunisti, preti cattolici e pastori protestanti. Non basta che gli scampati dal Lager lancino gli imperativi Considerate se questo è un uomo, Considerate se questa è una donna, Meditate che questo è stato, e dunque la Shoah e altri crimini contro l’umanità possono ripetersi (e infatti davanti ai nostri occhi si ripetono, in Ucraina e in diverse parti del mondo, mentre il rischio atomico torna attuale). Primo Levi sente già allora (1946-47, 1958) il bisogno di ripetere letteralmente, in apertura di Se questo è un uomo, la preghiera ebraica Shemà:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

È dunque un impegno non di uno e di una giornata, ma di ognuno e di tutti i giorni.

Presso la nostra città, a San Rossore, furono firmati i regi decreti 5 settembre 1938 Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e 7 settembre 1938 Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri. Al Rettore che aveva preparato le liste di espulsione non è più dedicata una strada di Pisa; a norma di Proverbi 10,7 ora si chiamerà via Giusti tra le Nazioni. I docenti ebrei cacciati furono 20, oltre il 5% dell’intero corpo accademico (dati raccolti e pubblicati da F. Pelini e I. Pavan). Tra essi Enrica Calabresi, di cui una strada ricorda il nome, e Ciro Ravenna al quale è dedicata l’aula magna di Agraria, ove fu Preside. Il 27 gennaio uno spazio cittadino sarà dedicato a Raffaello Menasci, libero docente di patologia speciale medica dimostrativa, e presentando un libro di Vera Paggi ricorderemo Bruno Paggi, aiuto primario di patologia chirurgica. A ognuno di quei docenti ebrei cacciati dovremmo dedicare uno speciale segno nell’università e nella città.

Per tutti vale la denominazione del Polo didattico di via Risorgimento, Polo della Memoria San Rossore 1938. Qui abbiamo conferito una laurea honoris causa in Scienze della Pace a Liliana Segre. Qui interventi artistici ricorderanno non solo i docenti espulsi ma tutti i membri della Comunità ebraica pisana di allora. Qui in forme tecnologicamente avanzate ed emotivamente coinvolgenti si dovrà far memoria degli studenti ebrei stranieri, cacciati verso un destino di disperazione e di morte: 290 (250 ragazzi e 40 ragazze) nelle stime ufficiali del gennaio-febbraio 1938, ma il numero dovette essere ancor maggiore.

Si potrebbe dire che per noi questo corrisponde alle parole scolpite sugli stipiti delle porte secondo lo Shemà, al tram con quella scritta richiesto da Liliana Segre. Ma ciò non può bastare. Siamo sicuri, come docenti, di aver scolpito nel nostro cuore la memoria della Shoah e di saperla riproporre? Tale obbligo del ricordo tocca trasversalmente i diversi campi disciplinari oppure, anche per noi, qualche volta, «questi ebrei, che cosa noiosa»? E c’è l’altro lato della questione, che continuiamo a sottovalutare. Gli studenti e studentesse delle scuole e dell’Università, quali tracce registrano nei discorsi, nelle chat, nelle menti e nei cuori, rispetto ai nostri interventi del 27 gennaio o alla dedica di strade e luoghi alle vittime del razzismo e della Shoah? Per onorare gli impegni presi dalle Università, nella Cerimonia del ricordo e delle scuse del 20 settembre 2018, dovremmo cercare con più impegno la risposta a queste domande.

La presentazione al mondo universitario e alla città degli interventi di qualificazione del Polo della Memoria San Rossore 1938 potrebbe essere l’occasione per riparlarne.

 

Fabrizio Franceschini

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