Eduardo De Filippo o della comunicazione difficile (Cuepress, 2018) è l’ultimo libro di Anna Barsotti, ordinario di Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere del nostro Ateneo dove insegna “Storia del Teatro e dello Spettacolo” e “Drammaturgia e Spettacolo”.
Gli interessi scientifici della professoressa Barsotti si orientano dalla drammaturgia alla messinscena, all’attore, alle lingue teatrali (con specifico riferimento ai rapporti lingua-dialetto). In particolare, su De Filippo ha scritto il volume Eduardo drammaturgo (1988, Premio Nazionale di critica “Luigi Russo”), e per Einaudi ha curato la nuova edizione della Cantata dei giorni dispari (1995) e della Cantata dei giorni pari (1998) e pubblicato la monografia Eduardo (2003); suo anche il volume Eduardo, Fo e l’attore-autore del Novecento (2007).
Pubblichiamo di seguito una nota di presentazione e due estratti dal volume Eduardo De Filippo o della comunicazione difficile, a firma della professoressa Barsotti.
*********
Come per i suoi coetanei (non solo) europei, Ionesco e Beckett, il problema centrale novecentesco è, per Eduardo, la comunicazione difficile, talvolta impossibile, fra uomo e uomo, individuo e società, io e mondo. All’origine forse, per tutti, Pirandello; eppure il nostro è un attore-autore, figlio d’arte (oltre che naturale) d’una tradizione partenopea che dal bilinguismo dialetto/lingua ha tratto vigore e resistenza, oscillando fra i due poli. Questo libro ripercorre le tappe d’una drammaturgia eduardiana che va oltre; per la sua radicalità attorica concretizza il problema tematizzandolo, e inaugura una contaminazione teatrale multilinguistica, tra affabulazioni e silenzi, con punte d’espressionismo librate sul confine ambiguo fra reale e fantastico. Raggiunge quindi una sua complessa originalità, proiettandosi nell’oggi. Completa il volume un’ampia Nota su edizioni e varianti e una Bibliografia essenziale ma aggiornata.
**********
Lo scorcio dal dentro consentirà all’attore-autore di mettere in scena anche la vita fuori: in quella sua Napoli-arnia, mai o quasi mai la città delle ville arroccate e isolate dai giardini, ma comunque la si spacchi, in verticale – i piani alti, i quinti piani – o in orizzontale – i bassi dei ceti più emarginati –, attraversata da odori, profumi o puzze interfamigliari, fiori caffè ragù fritture o mondezze, e collegata dal perpetuo chiamarsi, parlarsi, dimenarsi da un’apertura all’altra, sia finestra o porta o terrazza.
Rifiutare il linguaggio comunicante, per Eduardo, significa rifiutare il mondo: Calogero […] si rinchiude in quel dialogo privato con la scatola – vaso di Pandora e talismano – che è un monologo eterno, elastico, infinito […]. La didascalia finale richiama quella visionica di Natale in casa Cupiello; ma il borghese è senza eredi, nessun altro uomo può più intenderne il messaggio […]: egli parla soltanto con la scatola di un palcoscenico […]. La conclusione della Grande magia coincide, stavolta, con la fantasia solipsistica del protagonista: il finale di partita si chiude con l’allucinata vittoria dell’illusione, divenuta tanto alienante da doversi sostituire alla realtà.
Anna Barsotti