In occasione del centenario della visita di Marie Curie a Pisa, punto di partenza per una missione assegnatale dal governo italiano per una ricognizione di sorgenti e miniere come fonti di materiali radioattivi, venerdì 6 aprile dalla 8.30 alle 13.00 nell'aula magna del polo Fibonacci dell’Università di Pisa si svolge il convegno "Marie Curie a casa nostra. 1918-2018, cent'anni dalla sua missione con base a Pisa".
L'incontro, rivolto in particolare agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori nell’ambito delle attività di orientamento del Piano lauree scientifiche, è aperto anche agli universitari e alla cittadinanza. Promotori e organizzatori dell'iniziativa sono il dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Ateneo pisano, il polo Solvay di Rosignano, la Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche (FAST) e l'Unione dei Giornalisti Scientifici Italiani (UGIS).
Una delle scienziate più grandi del secolo scorso e di sempre, due volte premio Nobel (nel 1903 per la fisica e nel 1911 per la chimica), prima docente femminile alla Sorbona, Marie Sklodowska Curie è un personaggio notevolissimo, ancor più per la sua epoca, certamente poco aperta a ruoli di spicco per una donna. Di lei si scrive e si parla tanto, ma le tre settimane che trascorse in Italia cent’anni fa nell’estate del 1918 sono pressoché sconosciute.
Ma perché proprio Pisa? Perché Pisa fu — si potrebbe dire — il campo base per la missione che la grande scienziata svolse su incarico del governo italiano. Insieme con Camillo Porlezza, allora giovane assistente e futuro emblema della chimica pisana per decenni, la Curie compì sopralluoghi presso sorgenti termali e miniere da cui si riteneva possibile, in linea di principio, estrarre materiali radioattivi. Ne nacque così un legame particolare con l’Italia e con l’ambiente chimico pisano.
L’incontro intende rievocare gli eventi di quella visita, senza trascurare qualche tocco di colore. Non si tratterà però soltanto d’uno sguardo retrospettivo, ma vi saranno spunti per guardare all’oggi e al domani, anche tramite il coinvolgimento di un’azienda chimica multinazionale, la Solvay. Importanti a questo scopo saranno i contributi della Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche e dell’Unione dei Giornalisti Italiani Scientifici, la quale nel 1966 ebbe tra i suoi fondatori il chimico universitario Giancarlo Masini, padre nobile del giornalismo scientifico in Italia.
La mattinata comincerà con i saluti di Maurizio Persico direttore di dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Ateneo pisano, quindi i lavori, moderati da Alberto Pieri, segretario generale della FAST e vicepresidente dell’UGIS, procederanno con gli interventi di Gianni Fochi, divulgatore della chimica e già ricercatore della Scuola Normale Superiore, di Antonello De Lorenzo, responsabile delle relazioni esterne dello stabilimento Solvay di Rosignano, e di personalità del mondo professionale e della scuola.
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Proponiamo di seguito un approfondimento sul viaggio in Italia di Marie Curie, firmato da Gianni Fochi e apparso su "Il rintocco del Campano”, gennaio-aprile 2013, pagg. 21-24, qui aggiornato per quanto riguarda la collocazione della lettera di M. Curie.
Dopo i primi sei giri d’Italia, disputatisi dal 1909 al 1914, e l’interruzione dovuta alla prima guerra mondiale, nel 1918 ce ne fu uno che partì da Pisa. Sì, da Pisa... ma non si trattò d’una corsa ciclistica e la cronaca non figurò sulla Gazzetta dello Sport. La troviamo invece, vent’anni dopo, su Terme e Riviere, periodico nato nella nostra provincia: ai Bagni di Casciana, come allora — e fino al 1956 — si chiamava l’attuale Casciana Terme. Quella rivista, tuttora organo dell’industria termale italiana, era stata fondata da Vincenzo Lischi, nonno di Luciano, cioè del nostro noto concittadino tipografo ed editore.
Ebbene: il 20 novembre del 1938 Terme e Riviere recava un articolo di Camillo Porlezza, per tantissimo tempo emblema della chimica universitaria pisana, cui pure varrà probabilmente la pena di dedicare in avvenire uno scrittarello.
Il Porlezza, direttore dell’istituto di chimica generale, celebrava su quella rivista dedicata alle terme il ventennale — dicevamo — del giro d’Italia della celebre scienziata, titolare di due premi Nobel: per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911. Ed ecco la storia di quei fatti del 1918, avvenuti a loro volta in un altro ventennale: nel 1918 erano infatti trascorsi vent’anni da quando la Curie e il marito Pierre avevano scoperto il radio.
«Il 30 luglio 1918» racconta il Porlezza nell’articolo citato «mi giungeva a Pisa il telegramma “Stanotte ore 3,30 arriverà costà signora Curie. Prego incontrarla stazione”». Il mittente sarà stato il professor Raffaello Nasini, di cui il Porlezza era allora assistente, o forse invece un qualche funzionario governativo, visto che la Curie stava arrivando su incarico del nostro governo, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Allo stato italiano premeva accertare le possibilità d’estrarre dal nostro territorio il radio e la sua “emanazione”, cioè il gas radioattivo che oggi conosciamo col nome di rado o, più esoticamente, di radon. La scienza della radioattività era ancora giovane; alle sostanze che avevano proprietà del genere erano attribuite, oltre a interessi di tipo tecnologico, addirittura effetti sanitari miracolosi, tanto che venivano aggiunte ad alcuni cosmetici: non è l’unico caso, nella storia, in cui si passa dall’infatuazione, sfruttata dai furbi, a paure esagerate, sfruttate anch’esse da chi riesce a specularci sopra.
Giunta a Pisa, la scienziata polacco-francese trovò un programma di viaggio molto denso, particolarmente impegnativo per lei, cinquantunenne, che attraversava un periodo di salute non perfetta. Il Porlezza, che nel ’18 aveva trentaquattr’anni, riferisce ai lettori di Terme e Riviere il «semplice fascino della visitatrice stanca», «della piccola donna timida», «della scienziata poveramente vestita», «fragile nell’aspetto ma vigorosa e inflessibile nell’adempimento della sua opera».
Marie Curie nel suo laboratorio a Parigi, 1912
A Pisa, nell’istituto di chimica generale che allora aveva sede in via Santa Maria, essa esaminò gli strumenti che venivano messi a disposizione per misure nei luoghi da visitare. Dallo scritto del Porlezza s’intuisce che probabilmente la scienziata aveva dubbi sulla loro efficienza, e in effetti erano piuttosto antiquati. Fatto sta che chiese di metterli alla prova su materiali già studiati.
Ecco allora la prima tappa di quel giro d’Italia: un prologo, come la si chiamerebbe ora nel gergo sportivo. Infatti La Curie e il Porlezza si spostarono di poco: fino ai Bagni di San Giuliano (come a Casciana, le pompose “Terme” entrarono nel nome di quel paese solo molto più tardi). La radioattività di quelle acque era oggetto di studio già da una dozzina d’anni e servì di controllo. I dubbi per fortuna vennero dissolti: i vecchi strumenti funzionavano decentemente, e il giro poté partir davvero.
Così, sempre accompagnata dal Porlezza, il quale a ogni tappa prelevava campioni che poi a Pisa avrebbe analizzato, la Curie si recò presso altre possibili fonti di sostanze radioattive. Dopo le acque di Montecatini fu il turno di Larderello, presente il Nasini, grande promotore e studioso dei soffioni. Poi Ischia e Capri. Poi il ritorno al nord: i Colli Euganei, con Abano e Montegrotto. Poi, spostamento dopo spostamento, nel cuneese, dove a Lurisia esisteva una miniera d’autunite, minerale contenente uranio.
La riservatezza e la grande serietà (si direbbe quasi seriosità) della Curie furono una nota dominante. Non gradiva d’esser fotografata e stette sempre molto attenta alle dichiarazioni che le venivano richieste: temeva che fossero sfruttate a scopo pubblicitario, visto quanto abbiamo detto sulle applicazioni commerciali delle sostanze radioattive. Accondiscese inoltre, con gran riluttanza e solo per buona educazione, alle divagazioni che venivano aggiunte al programma scientifico: visite a Venezia e alla Grotta Azzurra di Capri. Diceva espressamente che era venuta per lavoro: la parte dilettevole voleva riservarla a un eventuale secondo viaggio a scopi turistici.
La sua missione durò tre settimane e finì a Ventimiglia il 19 agosto. Dopo il ritorno a Parigi, essa stilò una relazione. Per l’estrazione di sostanze radioattive, consigliava il governo italiano di prestare attenzione soprattutto alla sorgente romana di Lacco Ameno a Ischia e, con gioia del Nasini, ai soffioni boraciferi di Larderello.
I suoi rapporti professionali col Porlezza continuarono. Per molti anni nel dipartimento di Chimica e Chimica Industriale di via Risorgimento è stata esposta una sua lettera che accompagnava un campione spedito al giovane chimico italiano come standard per il dosaggio del rado nelle acque minerali. Ora quell’autografo si trova nella nuova sede del Dipartimento, in via Moruzzi 13.
Gianni Fochi
Scuola Normale Superiore, Pisa
http://home.sns.it/~fochi