È scomparso all’età di 93 anni Mario Mirri, professore emerito dell'Università di Pisa, a lungo docente di Storia moderna. Nato a Cortona (Arezzo) nel 1925, Mirri è stato studioso di storia del Settecento, di storia degli Stati territoriali, di storia dell’agricoltura e di storia dell’istruzione agraria nell’Ottocento.
Cresciuto a Vicenza, fu membro attivo della Resistenza. Già da giovanissimo frequentava gli ambienti dell’antifascismo azionista e liberalsocialista vicentino, quello che poi avrebbe dato vita alla cosiddetta banda dei “piccoli maestri”. Nel romanzo di Luigi Meneghello, Mirri è citato come “Marietto”, ed era il più giovane di tutti. Laureatosi in filosofia a Padova, nel 1948 Mirri fu ammesso alla Scuola Normale di Pisa con una borsa di perfezionamento riservata agli ex partigiani. Fu allievo di Delio Cantimori e si perfezionò nel 1951 con una tesi su “Ceto dirigente e politica agraria nel Settecento in Toscana”, vincitrice del premio “Biblioteca di G. Feltrinelli” nel 1954.
Nel 1949 fu nominato assistente volontario alla cattedra di Storia moderna all’Università di Pisa; nel 1955 divenne assistente straordinario e contemporaneamente docente di Storia e Filosofia nella scuola secondaria superiore. Nel 1963 fu chiamato come professore incaricato di Storia del Risorgimento dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e contemporaneamente vinse il concorso ad assistente ordinario presso la cattedra di Storia moderna. Nell 1967-68, dopo il trasferimento di Armando Saitta a Roma, Mario Mirri fu nominato professore ordinario di Storia moderna a Pisa e dall’anno accademico 1987-88 fino al pensionamento nel 1995 ha ricoperto la cattedra di Storia della storiografia.
Il professor Mirri è stato protagonista di una stagione di profondo rinnovamento della storiografia sull’agricoltura e lo sviluppo capitalistico, fondando quella che poi è stata chiamata “la scuola pisana”, ovvero una generazione di storici che ha affrontato tematiche innovative per l’epoca come la demografia, la storia economica, quella della cultura materiale. Nella sua lunga carriera di storico, Mirri è stato autore di saggi importantissimi sulle riforme settecentesche, sull’agricoltura, sull’istruzione agraria e, negli ultimi anni, ha offerto originali riletture della stessa Resistenza. Per suo impulso e impegno, è nato proprio a Pisa prima un Istituto di Storia medievale, moderna e contemporanea e poi un dipartimento di Storia, e infine un corso di laurea in Storia, attivato a livello nazionale. Un altro settore che Mirri ha molto curato è stato quello del Dottorato di ricerca in Storia, istituito nel 1983, di cui è stato per molti anni coordinatore.
Mario Mirri è stato insignito dell’Ordine del Cherubino nel 1979 e nominato emerito nel 1995-1996.
I funerali di Mario Mirri si terranno giovedì 17 alle ore 15 al Polo Salesiani, via S. Maria 44, ingresso anche dal fondo del giardino del Dipartimento Civiltà e forme del sapere. Si potrà inoltre rendergli omaggio dalla mattina di mercoledì 16 presso le cappelle della Pubblica Assistenza di Pisa in via Bargagna 2.
Qui di seguito pubblichiamo un contributo della professoressa Cristiana Torti, docente del dipartimento di Civiltà e forme del sapere.
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Mario Mirri nasce a Cortona il 1° gennaio 1925, in una famiglia di sinceri democratici. Per motivi legati al lavoro del padre, dal 1939 vive a Vicenza con la famiglia, e qui frequenta il liceo; già da giovanissimo comincia a frequentare gli ambienti dell’antifascismo azionista e liberalsocialista vicentino, quello che poi avrebbe dato vita alla cosiddetta banda dei “piccoli maestri”. Nel romanzo di Luigi Meneghello, Mirri è citato come “Marietto”, ed era il più giovane di tutti.
In un’intervista del 2015 ha ricordato: “Ero piccolo, avevo dieci anni, ma mi colpiva il fatto che la notte mio padre sentisse radio Londra e radio Barcellona. E una volta che mi scappò detto, mia nonna si preoccupò moltissimo, e protestò con mio padre: ci farai arrestare tutti! Dopo poco il mio compagno di banco, la cui madre era ebrea, non venne più a scuola. Non capivo la politica, ma capivo che qualcosa nel governo non andava”.
Non era facile né capire cosa stava succedendo né trovare gli strumenti per reagire, in una situazione di censura culturale, di mancanza totale di informazioni e di libri, nella quale andare la domenica ai raduni dei balilla era la assoluta normalità. Mirri ha più volte ricordato lo stupore e la gioia nello scoprire e potersi impadronire di un libro su Mazzini, di Bolton King, amato molto e conservato, una delle più significative tra le letture fatte negli anni del liceo su suggerimento del suo professore al liceo, Mario Dal Prà – che allora non aveva ancora trent’anni – e stimolate da amici e compagni che poi avrebbero svolto ruoli decisivi nelle guerra partigiana e nell’azionismo. Tra essi, Licisco Magagnato, Enrico Niccolini e Antonio Giuriolo, che prestavano e facevano girare i libri. Giuriolo morirà poi in battaglia sull’Appennino.
Al liceo, fu fra i protagonisti di uno sciopero contro il tema obbligatorio di agiografia del fascismo, e lui e altri compagni, insieme al professore di filosofia, uscirono da scuola in gruppo.
Finito il liceo, Mirri comincia l’attività di partigiano. Come lui stesso ha dichiarato “La prima cosa fu armarsi, magari rubando le pistole a qualche ufficiale. Alla visita di leva ero stato dichiarato rivedibile. Non ero stato richiamato. Chi non si arruolava era un disertore, ma io potevo circolare. Assunsi dunque a Vicenza funzioni organizzative nell’attività militare della Resistenza. Mi è andata bene, non mi arrestarono mai. Un amico giornalista mi riferiva le mosse dei fascisti, dopo aver appreso le notizie in questura. Molti miei amici andarono in montagna, e organizzarono nuclei di resistenza collegati agli iugoslavi. Decisi allora di sparire di casa e andai sulle colline vicentine per tutta l’estate”.
E dunque, dall’8 settembre 1943 fino al giugno 1944 Mirri fa lavoro politico clandestino a Vicenza, e su incarico dal Partito d’Azione, tiene i collegamenti politici e militari a livello provinciale, occupandosi di Vicenza e di tutta la provincia.
A fine giugno 1944 passa alla fase della Resistenza armata, andando a raggiungere il piccolo gruppo di Meneghello, che operava sotto Torreselle, e resta lì a fare il partigiano fino all'ottobre 1944; successivamente, sempre su incarico del Partito d’Azione, insieme a Meneghello passa a Padova a fare lavoro clandestino di collegamento politico e militare a livello regionale, e diviene responsabile regionale; gira molto in bicicletta, diffonde ordini e stampa clandestina, organizza e partecipa a sabotaggi.
Alla fine di marzo 1945, per uno sfortunatissimo incidente (gli cade dalla bicicletta un pacco di volantini clandestini) viene catturato dalla Banda Carità e rinchiuso in caserma. Qui viene selvaggiamente picchiato e torturato, e si salva solo perché il 28 aprile 1945 Padova viene liberata. Viene trovato in condizioni molto brutte (“ne uscii con la schiena rotta” diceva) e salvato.
“Dopo il 25 luglio, costituitosi il Comitato di Partiti antifascisti, nel quale Dal Prà rappresentava il Partito d’Azione, io ero continuamente in giro, in bicicletta, a trasmettere suoi messaggi, a cercare collegamenti. Con possibili, curiosi, incidenti: dovendo convocare il Comitato d’urgenza, Dal Prà mi mandò alla bottega di ferramenta dei fratelli Lievore, dicendomi che uno di loro era il rappresentante comunista, al quale dovevo trasmettere l’invito alla riunione; in questa bottega abbastanza piccola, con poca luce, io cercai di trasmettere il messaggio, ma fui ascoltato da due facce impassibili, che mi fissavano con occhi severi. Lievore, poi, non andò alla riunione, e giustamente, perché non mi aveva mai visto, ed ero molto giovane; non doveva, certo, fidarsi. Ma quando Dal Prà gli domandò la ragione, per cui non aveva risposto alla convocazione, Lievore si giustificò rispondendo: «El parlava ’talian, cussì go pensà ch’el fusse un questurin»! Cosa vuol dire essere toscani in un ambiente di dialetto!”.
L’annuncio dell’armistizio – diffuso per radio poco prima delle 20 – arriva a chiudere un pomeriggio caldo di un giorno di festa, che a ripensarci c’era già una strana atmosfera nell’aria.
“L’8 settembre («Natività della Beata vergine Maria») a Vicenza è gran festa: nei viali di Campo Marzio, vicino alla stazione, c’era ogni anno una marea di gente, intorno alle giostre, ai baracconi, ai venditori di torrone e di dolciumi. Quel pomeriggio del ’43 la notizia dell’armistizio me la portò a casa Licisco Magagnato, che venne a chiamarmi tutto trafelato ed eccitato. Ci dirigemmo immediatamente verso Campo Marzio, dove, in mezzo alla gente, c’erano numerosi e folti gruppi di soldatini giovani della caserma «Chinotto» (del 57° Fanteria) in permesso per la festa; e attraversammo la folla gridando: «Armistizio! Armistizio!”
Nel 1948, Mario Mirri viene ammesso alla SNS di Pisa, con una borsa di perfezionamento riservata agli ex partigiani, e sceglie come maestro Delio Cantimori; Lì trovò un ambiente ricchissimo dal punto di vista dell’impegno intellettuale e politico.
All’Università di Pisa, come professore di Storia (Moderna, del Risorgimento, Contemporanea, storia della storiografia), il professor Mirri è stato protagonista di una stagione di profondo rinnovamento della storiografia sull’agricoltura e lo sviluppo capitalistico, fondando quella che poi è stata chiamata “la scuola pisana”, ovvero una generazione di storici che ha affrontato tematiche innovative per l’epoca come la demografia, la storia economica, quella della cultura materiale. Nella sua lunga carriera di storico, Mirri è stato autore di saggi importantissimi sulle riforme settecentesche, sull’agricoltura, sull’istruzione agraria e, negli ultimi anni, ha offerto originali riletture della stessa Resistenza.
Per suo impulso e per il suo indefesso impegno, è nato proprio a Pisa prima un Istituto di Storia Moderna e Contemporanea e poi un Dipartimento di Storia, e infine un Corso di Laurea in Storia, attivato a livello nazionale. Il dipartimento di Storia di Pisa, confluito dal settembre 2012 a seguito del decreto Gelmini nel dipartimento di Civiltà e forme del sapere, si deve a lui, che è stato maestro di decine di storici e di migliaia di studenti.
Citiamo qui alcune sue ultime riflessioni:
“ [...] quello di cui, secondo me, oggi c'è bisogno è proprio una discussione spregiudicata e impegnata, con una problematica adeguatamente rinnovata, sul nostro passato: come condizione assolutamente necessaria a riconquistare concetti e orientamenti, nuovi e adeguati ad affrontare questo vuoto culturale e politico in cui oggi siamo finiti". (Lettera a Franco Benigno, p. 768, Pisa 15 gennaio 2015, in Società e Storia, n. 158, 2017, Franco Angeli).
“[...] il nostro compito come storici non è quello di giustificare, ma nemmeno quello di mettere sotto accusa; basta cercar di capire perché, e come, siamo qui, e con quali compiti davanti”. (Soltanto alcune precisazioni, p. 759, in Società e storia, n. 158, 2017).
Cristiana Torti