"Il giovane Professore" (Campano Edizioni, Pisa, 2018) è il titolo del volume che Filiberto Loreti e Rolando Guerriero hanno dedicato al loro maestro Franco Scaramuzzi, professore emerito dell'Ateneo dove ha insegnato per dodici anni e fondato la scuola di Arboricoltura.
Pubblichiamo di seguito una recensione a firma di Giacomo Lorenzini, ordinario di Patologia Vegetale al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali.
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Una carriera accademica prestigiosa, quella di Franco Scaramuzzi: professore emerito; dal 1986 al 2014 presidente dell’Accademia dei Georgofili, di cui è ora presidente onorario; insignito di medaglia d’oro dal Presidente della Repubblica quale “Benemerito per la Scuola e la Cultura”; Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana; per molti anni presidente del Comitato Nazionale per le Scienze Agrarie del CNR; rettore dell’ateneo fiorentino dal 1979 al 1991.
Ma prima di trasferirsi a Firenze, il prof. Scaramuzzi ha insegnato Coltivazioni Arboree per una dozzina di anni alla Facoltà di Agraria di Pisa, dove ha fondato una scuola di Arboricoltura, ricca di risultati anche in campo internazionale e che oggi rappresenta uno dei settori di eccellenza del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali. Due dei suoi allievi del tempo, poi divenuti ordinari a Pisa, il Prof. Filiberto Loreti (recentemente scomparso) e il Prof. Rolando Guerriero (non certo agli esordi come scrittore di prosa – quante volte ha già messo su carta i ricordi della sua infanzia, e rievocato mestieri e civiltà, ormai scomparse), hanno voluto dedicare al loro “Maestro di vita e di scienza” un agile volumetto nel quale ripercorrono, con appassionata nostalgia, una puntigliosa ricostruzione degli anni trascorsi insieme, loro giovani e promettenti collaboratori fiduciosi nel futuro, Lui già scienziato di chiara fama. Il volume è una miniera di aneddoti, piccole cronache, avventurose peripezie e descrizioni dettagliate di un mondo rurale ormai scomparso, appartenente a un’epoca distante nel tempo e nei modi di vivere, con autentici ‘acquarelli’, che inevitabilmente richiamano alla mente i racconti maremmani di Renato Fucini, altro studente di Agraria a Pisa. Il mondo rurale (e non solo quello) era in profonda trasformazione e le aspettative dal mondo della ricerca erano enormi.
L’ammirazione degli autori per il protagonista è palese: “Le sue frasi correvano diritte sul bersaglio come frecce lucenti”, affermano, ricordandone le non comuni doti didattiche, con la costante ricerca di metodi innovativi di comunicazione (cominciò a registrare le lezioni; citava gli articoli più recenti e le ricerche in corso e introdusse e rinnovava sistematicamente le diapositive a colori!), il ricorso a esempi pratici calati nel concreto, supportato da una gestualità coinvolgente. Indimenticabili le lezioni sui sistemi di potatura basate sull’analisi di fedelissimi modelli in miniatura costruiti ad hoc con filo metallico. Non meraviglia il fatto che, seguendo il richiamo di quelle parole, molti Suoi studenti abbiano intrapreso con successo la strada della carriera accademica in vari settori della orto-floro-frutticoltura, e in questo Scaramuzzi si è rivelato anche un eccellente talent scout.
Ma è soprattutto nel campo della ricerca che vanno individuate le innate doti manageriali di Franco Scaramuzzi. Libero docente a 28 anni, tre anni dopo giunge a Pisa come Professore incaricato e nel 1959 (33 anni) diviene Ordinario: ecco il motivo dell’appellativo “giovane Professore” che dà il titolo all’opera. L’Istituto del quale prende possesso è ben poca cosa; in pratica partiva da zero, con qualche stanza, un paio di unità di personale e niente risorse economiche e mezzi operativi. I tempi erano duri: per gli spostamenti in campagna veniva utilizzato uno scassato furgoncino appartenente al padre di Guerriero, commerciante, il quale non recuperava neppure i costi del carburante.
L’entusiasmo, il carisma e le energie non mancavano, ed ecco che inizia una veloce e travolgente attività alla caccia di fondi, di collegamenti con il mondo produttivo e con le istituzioni locali e nazionali, di missioni scientifiche in mezzo mondo (sempre accompagnato da due macchine fotografiche, una Rolley e una Laica), in cerca di novità, idee, materiali genetici da testare. Gli studenti presto si fanno attrarre dal calore umano, dalla passione profonda e contagiosa e dalla disponibilità di Scaramuzzi e affollano i laboratori oramai avviati, per le loro tesi, rigorosamente di carattere applicativo. Cominciano a sorgere le aziende e gli impianti sperimentali, che alla fine del percorso pisano saranno parecchie decine (gli autori parlano di “impero sperimentale”, che superava le trenta unità di personale), in diverse aree pedoclimatiche, per lo più concesse gratuitamente dai proprietari, desiderosi di seguire in diretta l’evoluzione delle tecniche e di godere in anteprima dei risultati del miglioramento genetico.
Particolare attenzione viene rivolta alla Maremma toscana, che per caratteristiche climatiche e vocazione agronomica ha (meglio, aveva; meglio ancora, avrebbe avuto) le carte in regola per divenire un vero paradiso della frutticoltura. Ma le cose non sono andate esattamente per il verso giusto, ma questa è un’altra storia. Scaramuzzi, vero anticipatore degli eventi, spinge verso la meccanizzazione delle operazioni colturali (la manodopera era sempre meno disponibile e più cara, i conti non tornavano), che necessitavano profonde revisioni, a cominciare dalle forme di allevamento e dalle tecniche di potatura.
La perfetta conoscenza dei principi fisiologici che regolano lo sviluppo delle piante arboree consentiva al Professore di proporre soluzioni tecniche che talvolta sfidavano lo scetticismo di colleghi e agricoltori ancorati a schemi di lavoro superati: è questo il caso delle accese contrapposizioni in merito alle soluzioni per il recupero degli olivi martoriati dalle gelate, per i quali la ceduazione si rivelava la proposta vincente. Altro settore di interesse era il vivaismo olivicolo del pesciatino, nell’ambito del quale si doveva confrontare con pratiche empiriche (e improprie) portate avanti con spirito acritico dagli operatori, i quali dovettero ammettere la correttezza delle Sue idee e i vantaggi pratici che derivavano dall’adozione delle proposte da Lui tenacemente sollecitate.
Il miglioramento genetico e la selezione clonale della vite costituiscono un altro esempio della lungimiranza di Scaramuzzi, il quale ha ben presto individuato nella certificazione sanitaria del materiale di impianto un fattore strategico per il successo della coltura, in questo certamente istruito dal fratello Giovanni, docente di Patologia vegetale e vero pioniere della Virologia in campo nazionale (allorquando le virosi erano considerate una specie di stregoneria).
Le capacità gestionali di Scaramuzzi sono ben rappresentate dalla realizzazione di una iniziativa scientifica epocale: l’organizzazione di un lungo ciclo di seminari su tutti gli aspetti della viticoltura che portarono a Pisa i massimi esponenti della ricerca in campo internazionale e dettero vita a una collana editoriale che rappresenta tuttora un punto di riferimento per molti versi ancora attuale.
Sul piano professionale il “giovane Professore” incita i collaboratori a lavorare in gruppo e valorizzare il loro spirito di curiosità; convoca periodiche riunioni, nel corso delle quali i pregi (e i difetti) dei singoli vengono messi in luce attraverso la discussione dei risultati ottenuti e delle proposte operative. Soddisfazione per i meritevoli, incitamento e incoraggiamento (e magari qualche affettuoso rimprovero) per una prova andata male. Efficienza, rigore e serietà, ma mai viene a mancare l’aspetto umano, sempre rispettoso dei problemi di natura personale che inevitabilmente coinvolgono prima o poi qualcuno che ci è vicino. E non mancavano i momenti collegiali: leggendo le pagine che descrivono minuziosamente i riti preparatori dell’”inferno degli spiedi” si percepisce nettamente il profumo e il sapore della carne che arrostiva a fuoco lento nella macchia grossetana: era l’occasione rituale per ringraziare tutti per l’impegno profuso, ma anche per nuovi incontri, nuove relazioni sociali, nuove idee.
Il volume è anche una raccolta organica di ritratti di personaggi che a vario titolo erano coinvolti nelle attività sperimentali (lungo è l’indice dei nomi): di ognuno si tratteggia qualche particolare fisico o umano, si evidenziano le caratteristiche personali, si evocano episodi e aneddoti. Avventurose le trasferte verso le aree sperimentali, con strade impervie e mezzi di trasporto sgangherati e soste ristoratrici in bar e trattorie, nelle quali si innescano rapporti interpersonali sulla cui evoluzione viene lasciato spazio alla fantasia del lettore. A proposito di veicoli: Scaramuzzi riesce ben presto ad acquistare un pulmino nuovo di zecca per il trasporto di persone e materiali, ma sottopone i collaboratori a una sorta di esame suppletivo di patente per essere rassicurato sulle loro capacità di guida (“il furgone non ha muso, lo sterzo è sensibilissimo…”).
Il finale del volume è a sorpresa: vengono riprodotte una quindicina di ‘tavole’ disegnate con inchiostro di china da un tecnico di laboratorio particolarmente dotato nella grafica: con spirito satirico e dissacratorio vengono immortalate le disavventure grandi e piccole che avevano accompagnato la nascita e la crescita dell’Istituto di Coltivazioni Arboree. Scaramuzzi apprezzò l’idea e fece riprodurre a proprie spese la raccolta per donarne una copia a tutti i collaboratori.
Indubbiamente siamo in presenza di un esemplare documento d’epoca, di un periodo tanto lontano e così diverso, nel quale emergono i valori e il senso di una seppur piccola comunità, caratterizzata da reciproca stima e amicizia e spirito di collaborazione: i risultati non sono mancati e sono visibili ancora oggi.
Giacomo Lorenzini