È in uscita per la Pisa University Press, "Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio" scritto da Paolo Macchia, professore di Geografia al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, e dalla dottoressa Maria Elisa Nannizzi, sua allieva che si è laureata con una ricerca sui tatuaggi dei Maori della Nuova Zelanda. Quella che infatti propone il volume è una geografia culturale dei tatuaggi che indaga com'è cambiato il significato di questa pratica nello spazio e nel tempo.
Anticipiamo qui uno stralcio dal volume a firma del professor Macchia.
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La pratica di modificare la pelle con disegni, simboli, incisioni è un qualcosa di molto antico che attraversa molti millenni della storia umana presentandosi praticamente in ogni continente sotto una miriade di forme e tipologie così come allo stesso modo è estremamente eterogenea la gamma delle motivazioni che stanno alla base della pratica: ogni epoca, ogni popolo, ogni cultura che ha adottato il tatuaggio ha dato a esso un significato diverso. Il tatuaggio ha assunto così nel corso della storia il valore di simbolo associato ai riti di passaggio compiuti dall’individuo all’interno della società; ha rappresentato un segno indelebile che marchiava coloro che si macchiavano di comportamenti devianti; è diventato un segno estetico legato alla seduzione e alla sfera erotica della vita; è stato un simbolo di appartenenza a un gruppo; è stato utilizzato per comunicare rango e posizione sociale del singolo; ha assunto valori spirituali che cercavano il contatto con la divinità e la sua benevolenza; o, come accade ai nostri tempi, spesso è esclusivamente un mero ornamento, al pari di un capo di abbigliamento o di un monile.
A ciascuna di queste motivazioni sono stati associati tecniche di realizzazioni particolari nonché simboli e disegni specifici, che avevano un significato ben preciso e comprensibile allo scopo: osservando la miriade di forme, segni e colori che il tatuaggio ha assunto nel corso della sua lunghissima storia, non si più non rimanere stupiti dalla versatilità di questa manifestazione culturale, che sempre è riuscita ad adattarsi alle motivazioni che ogni cultura riponeva in essa.
Per certi versi non è errato affermare che osservare la lunga storia della pratica del disegnare la pelle, nelle sue alterne fortune e nelle sue mille declinazioni, altro non è che un altro modo di leggere la storia culturale dell’Uomo nelle sue manifestazioni e diversità spaziali e temporali: il tatuaggio, prima di tutto, è una forma di comunicazione e fra le più potenti sì che stupisce quanto poco studio abbia dedicato a esso la Geografia Culturale a differenza dell’interesse dimostrato verso altri aspetti quali il modo di abbigliarsi, le forme dell’abitare, le manifestazioni artistiche e letterarie.
Anche l’epoca che viviamo è leggibile attraverso il tatuaggio: le potenti conseguenze della globalizzazione si manifestano in modo evidente anche nei cambiamenti che la pratica del tatuaggio ha mostrato nei decenni a noi più vicini. E il tatuaggio globalizzato, diffuso ormai in modo ubiquitario e spesso standardizzato in ogni angolo del Mondo a prescindere dalle culture locali, diventato un mero elemento consumistico soggetto alle leggi della moda e della comunicazione senza limiti e in tempo reale, molto spesso scelto e realizzato solo per istanze estetiche è sicuramente più che una metafora della nostra epoca contemporanea.
Allo stesso modo, poi, proprio nella diffusione del tatuaggio possiamo ritrovare molti dei possenti mutamenti economici e sociali che hanno investito le società umane nella seconda metà del XX secolo: il tatuaggio come inequivocabile espressione di sé e come rivendicazione della propria unicità all’interno del tessuto sociale, il tatuaggio come ribellione alle regole e base per la contestazione a un ordine sociale sentito come asfissiante e iniquo, il tatuaggio come simbolo dell’emancipazione di quei settori della società tradizionalmente emarginati o tenuti lontani dalla decisionalità, primo fra tutti il mondo femminile.
In questo senso probabilmente sì, la pratica del disegnare la pelle può essere vista come un evidentissimo filo conduttore che da millenni segna l’evoluzione sociale e culturale dei popoli e delle civiltà che si sono succedute sulla Terra nel tempo e nello spazio.