Emblema di ribellione, di appartenenza, marchio di infamia, segno magico ma anche accessorio di moda e simbolo di libertà. Nel corso dei millenni il tatuaggio è stato tutto questo e per la prima volta un originale studio ne ripercorre la storia sino alla contemporaneità. Il volume in questione è "Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio" (Pisa University Press, 2019) scritto dal professore Paolo Macchia del dipartimento di Civiltà e Foprme del Sapere dell’Università di Pisa e dalla dottoressa Maria Elisa Nannizzi, sua allieva.
Da sinistra Maria Elisa Nannizzi e Paolo Macchia
“La pelle parla – racconta Paolo Macchia - quello che abbiamo cercato di capire è come il tatuaggio nelle varie epoche storiche sia stato usato per esprimere idee, concetti e opinioni, in altre parole vogliamo far vedere come questa forma di comunicazione sia cambiata nel tempo assumendo sempre nuovi significati a seconda delle diverse culture”.
Il volume traccia così una geografia culturale dei tatuaggi in occidente, dalla preistoria ad oggi, con un focus sui tatuaggi tribali dei Maori della Nuova Zelanda. Il punto di partenza è una stima del fenomeno a partire dai dati disponibili. Si scopre così ad esempio che in Italia circa il 12,8% della popolazione sarebbe tatuata, in prevalenza persone dai 18 ai 44 anni, un dato in linea con la media Europea che si attesta al 12%, ma ben al di sotto degli Stati Uniti dove la percentuale è al 30.
A sinistra, soldato statunitense tatuato con simboli patriottici nella prima metà del XX secolo. A destra, biglietti da visita di tatuatori nella stessa epoca. Fonte: Mc Comb (2015), pp. 45 e 65.
Passando invece ai tatuatori, in Italia ci sarebbero circa 2.800 imprese legate a questa attività con una concentrazione nel Settentrione che ha quasi il 60% di tutti gli operatori, Lombardia in testa, mentre il Centro si pone in posizione intermedia e il Mezzogiorno, isole comprese, non raccoglie nemmeno un quinto delle imprese.
A questa fotografia della situazione attuale il volume unisce un’analisi storica a partire da fonti storiche, letterarie e iconografiche. Si scopre così ad esempio che nella Grecia e nella Roma antiche il tatuaggio fu utilizzato perlopiù a scopi punitivi, come stigma per marchiare fuggiaschi o prigionieri di guerra. Con la diffusione del Cristianesimo, che ripudiava ogni forma di marchio sul corpo, il tatuaggio perse invece la sua importanza, ma nonostante tutto resistette durante il Medioevo dove, ironia della sorte, fu particolarmente in voga fra i pellegrini. Per tutto il periodo moderno il tatuaggio mantenne quindi soprattutto un significato punitivo e venne usato per marchiare gli individui al margine della società come prostitute, criminali e schiavi.
Ma una nuova fase di popolarità e di diffusione si ebbe a partire dal Sette e Ottocento, quando il tatuaggio ritornò in Europa a seguito delle esplorazioni e delle scoperte in estremo oriente e in Polinesia. Più di recente il tatuaggio è diventato invece l’emblema dei grandi cambiamenti che hanno stravolto il sistema politico-sociale globale a partire dagli anni ’60 del Novecento e i protagonisti in questo caso sono gli hippies, i punk, i bikers fino agli skin-head, dove il tatuaggio è diventato un marchio fortemente politico.
A sinistra, soldato statunitense tatuato con simboli patriottici nella prima metà del XX secolo. A destra, biglietti da visita di tatuatori nella stessa epoca. Fonte: Mc Comb (2015), pp. 45 e 65. [Nel testo Sulla nostra pelle, p. 43]
“Se nei decenni scorsi il tatuaggio esprimeva tendenze e cambiamenti sociali, oggi sembra caratterizzarsi soprattutto a livello individuale, come un bene di mercato, soggetto a mode e continui cambiamenti del gusto – conclude Paolo Macchia – sebbene molti definiscano questa come una fase di banalizzazione e di svuotamento essa è quella che ha dato definitiva affermazione globale al tatuaggio. Anche oggi la pelle è uno strumento di comunicazione, ma ciò che è diverso è il fatto che non parla più ad un gruppo, ma al singolo e del singolo e dunque, dato che non esiste più un linguaggio codificato, per sapere cosa significa un tatuaggio, oggi occorre chiederlo a chi lo indossa”.
Un discorso a sé merita infine l’amplissima galleria delle personalità che hanno sfoggiato un tatuaggio e che sono citate nel libro. Winston Churchill per esempio aveva un’àncora sull’avambraccio in ricordo dei tempi passati come corrispondente tra Cuba, India e Sudafrica e anche la madre, Lady Churchill, aveva un piccolo serpente sul polso che copriva, nelle occasioni importanti, con un bracciale; lo zar Nicola II di Russia, aveva un dragone sul braccio sinistro e Federico IX, Re di Danimarca sfoggiava braccia e petto tatuati, mentre il presidente statunitense Theodore Roosevelt portava sul petto lo stemma araldico della propria famiglia. Arrivando ai giorni nostri gli esempi spaziano ovunque: dalla lunga schiera di calcatori (Beckham o Icardi, Nainggolan o Gabigol, Ibrahimovic o Borriello) passando poi al mondo dello spettacolo (Lady Gaga, Robbie Williams e Angelina Jolie) fino ad arrivare in Italia con Fedez, Fabrizio Corona, Asia Argento, l’infinità di tronisti o volendo anche Belen, che per quella farfalla creò un putiferio.