Il legame fra la percezione della realtà e l’azione su di essa affascina i neuroscienziati da sempre. L’indagine sul modo in cui il cervello percepisca e come interagisca con l’ambiente circostante è al centro della loro riflessione.
Una recente pubblicazione su Trends in Cognitive Sciences di ricercatori dell’Ateneo fiorentino, in collaborazione con l’Università di Pisa, apre un nuovo scenario e formula un modello secondo cui percezione e azione non sono due processi staccati ma nascono insieme, sviluppano un’unità profonda. Esiste un legame preciso fra il sistema motorio e quello percettivo (“A Sensorimotor Numerosity System” https://doi.org/10.1016/j.tics.2020.10.009 ).
“Da molto tempo – spiega Giovanni Anobile, protagonista della ricerca insieme a Roberto Arrighi e David Burr del dipartimento Neurofarba, e a Elisa Castaldi del Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa – si è capito che nelle fasi iniziali il cervello analizza le varie componenti della realtà attraverso meccanismi (visivi, acustici…) indipendenti ma quello che è meno chiaro è come queste informazioni vengano integrate fra loro a formare una rappresentazione univoca della realtà a cui tutti noi siamo abituati. All’inizio del XXI secolo, una nuova teoria, l’ATOM Theory, ideata da Vincent Walsh, ha affrontato questo problema proponendo l’esistenza di un unico meccanismo capace di elaborare tutti i dati della realtà che riguardano una quantità (la grandezza, la durata, la numerosità). Una sorta di sistema integrato che unifica le percezioni e si interfaccia con i meccanismi del cervello preposti a programmare e poi eseguire una azione”.
La ricerca odierna fa un passo ulteriore e ipotizza sperimentalmente che il sistema con cui il cervello conosce la realtà e vi agisce sia unitario: non solo le percezioni sono integrate fra loro, ma l’azione stessa interagisce con la percezione, il sistema è percettivo-motorio.
Per dimostrare che una causa nel sistema motorio ha un effetto su come percepiamo, ai partecipanti degli esperimenti veniva richiesto di eseguire un certo numero di movimenti della mano (oscillazioni alto-basso). Dopo di ciò essi dovevano stimare quanti stimoli visivi vedevano (in un insieme o in una sequenza) o quanti suoni udivano. “I risultati hanno dimostrato – racconta Roberto Arrighi - che dopo la produzione di un numero elevato di azioni (cioè quando ai soggetti veniva chiesto di oscillare molte volte la mano), i partecipanti sottostimavano la numerosità degli stimoli presentati successivamente. Al contrario, la produzione di un basso numero di azioni provocava una sovrastima. Anche soggetti non vedenti dalla nascita hanno mostrato lo stesso effetto con stimoli acustici”. Con altri esperimenti si è potuto poi constatare che l’esecuzione di un certo numero di azioni non solo modifica le stime della numerosità degli stimoli visivi o acustici ma va anche a interferire con il livello di confidenza (livello di sicurezza) delle risposte date. Inoltre effetti simili sono stati misurati anche quando ai partecipanti veniva chiesto di giudicare la durata temporale o la posizione nello spazio di alcuni stimoli visivi. “Si può ipotizzare che nel cervello esista un sistema percettivo motorio – commenta Arrighi – che gestisce le informazioni di qualunque stima quantitativa delle dimensioni di spazio, tempo e numero”.
Il legame tra percezione delle quantità ed azione non si limita solo alle azioni compiute con le mani, ma anche ai movimenti dei nostri occhi. Il legame tra percezione delle quantità ed azione non si limita solo alle azioni compiute con le mani, ma anche ai movimenti dei nostri occhi. “I risultati che abbiamo ottenuto – commenta Elisa Castaldi (nella foto a destra) - hanno infatti dimostrato che siamo in grado di orientare il nostro sguardo verso l’insieme di oggetti più numeroso in un tempo estremamente breve, circa 190 millisecondi. Questo suggerisce l’esistenza di un meccanismo che supporta movimenti quasi automatici degli occhi e che potrebbe essere filogeneticamente molto antico ed avere un chiaro vantaggio evolutivo (es. nella rapidità di identificare il gruppo più numeroso di nemici).”
“L’ipotesi sintetica, frutto di questi molteplici esperimenti, è che il modulo cerebrale che calcola le quantità lo faccia attraverso neuroni senso-motori, che integrano percezione e azione - commenta David Burr. Per cui in ogni situazione in cui dobbiamo rapidamente mettere in relazione il numero di oggetti che vediamo (es. il numero di castagne su un tavolo) con il numero di azioni necessarie a conseguire un certo scopo (es. raccogliere tutte le castagne dal tavolo e porle in un paniere), un sistema integrato riuscirebbe immediatamente a interfacciare i due processi (quello visivo e quello motorio) diminuendo la possibilità di errori ed il tempo necessario per l’elaborazione di tali informazioni”.
Le ricerche effettuate hanno anche una ricaduta sul legame ipotizzato tra abilità matematiche formali (quelle apprese a scuola) e abilità motorie. La nuova teoria apre ulteriori prospettive anche su questo fronte, promuovendo un nuovo approccio per la comprensione e il trattamento dei disturbi evolutivi che impediscono l'apprendimento della matematica (discalculia).
Lo studio è frutto di una rete di eccellenza che coinvolge i due atenei toscani e ben quattro progetti finanziati dal Ministero dell’Istruzione Italiana e dalla Commissione Europea: il progetto ERC GenPercept di cui è titolare David Burr, due progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN) di cui sono responsabili David Burr e Roberto Arrighi ed infine un progetto Marie Curie Individual Fellowship, ospitato all’Università di Pisa e coordinato da Elisa Castaldi.