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L'evoluzione della Hep27, una proteina 'pisana'

Il contributo di Sergio Tofanelli, responsabile del Laboratorio di Antropologia molecolare di Biologia

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Nel 1991, nel laboratorio di Franco Gabrielli presso l'Università di Pisa, fu isolata una nuova proteina umana chiamata Hep27, la cui sintesi era regolata con il ciclo cellulare. La proteina Hep27 è un enzima con attività riduttasica NADP-dipendente capace di inattivare composti tossici presenti negli alimenti o prodotti nei nostri tessuti durante gli stati di stress ossidativo. Successivi studi hanno dimostrato che la proteina Hep27 non ha solo una funzione detossificante ma ha anche un'attività non enzimatica. Essa partecipa al complesso meccanismo di regolazione dell'apoptosi, la morte cellulare programmata, che si attiva automaticamente quando una cellula ha una fisiologia alterata che la può portare a una proliferazione continua e quindi alla carcinogenesi. La sintesi di Hep27 durante il ciclo cellulare e la regolazione dell'apoptosi spiega la sua alta concentrazione in centinaia di diversi tipi di cellule cancerose umane. Mentre in condizioni fisiologiche l'inibizione dell'apoptosi indotta dalla Hep27 assicura la vitalità delle cellule, in condizioni alterate permette una proliferazione incontrollata. Utilizzando i dati molecolari della proteina Hep27 è stato isolato, sequenziato e mappato fisicamente il gene DHRS2 che la codifica.
 

Sergio Tofanelli, responsabile del Laboratorio di Antropologia molecolare del dipartimento di Biologia, spiega l'evoluzione della proteina Hep27:

Molecola Hep27«Recentemente, il professor Gabrielli ha chiesto la mia collaborazione per studiare l'evoluzione del gene DHRS2. È risultato che questo gene è una forma duplicata del gene DHRS4 e che la duplicazione è avvenuta prima della radiazione della classe dei mammiferi. Il gene precursore DHRS4 è conservato in tutti i vertebrati e in alcuni invertebrati, mentre solo i mammiferi, placentati e non, posseggono entrambi i geni funzionali. Le proteine codificate da questi due geni hanno la stessa attività catalitica riduttasica ma diversa specificità di substrato, diversa distribuzione tissutale e subcellulare, diversa regolazione della sintesi e diversa funzione fisiologica.

La spiegazione più semplice che si può trarre dal confronto delle sequenze è che in un antenato comune a tutti i mammiferi attuali sia avvenuta una duplicazione e che da allora i due geni abbiano avuto un'evoluzione divergente. Il gene ancestrale avrebbe continuato a codificare per la proteina DHRS4, che è localizzata solo nei perossisomi. Il gene duplicato avrebbe invece acquisito una mutazione a carico della sequenza della "Protein Targeting Sequence" (PTS).

Tale mutazione determinò la diffusione della proteina Hep27 in distretti sub-cellulari differenti: nei mitocondri e nel nucleo. Il nuovo"ambiente molecolare" avrebbe successivamente indotto una pressione di selezione sulla proteina, portando Hep27 ad avere una azione protettiva più specifica verso i composti tossici e ad acquistare una nuova proprietà, quella di regolare l'apoptosi.

Un aspetto interessante è che, dalla duplicazione in poi, la proteina Hep27 risulta essersi trasformata molto più rapidamente della proteina DHRS4 a livello dei residui aminoacidici che si legano al substrato, da qui la diversa specificità, mentre non risultano differenze a carico dei residui aminoacidici responsabili della catalisi. Questo suggerisce che lo studio dell'evoluzione del genoma può fornire importanti informazioni sulla funzione molecolare dei vari domini di un enzima e, quindi, orientarne gli studi biochimici e cellulari.

Gli stessi dati confermano l'ipotesi che la duplicazione e successiva evoluzione divergente di un gene sia uno strategia evolutiva molto praticata. Uno dei due geni continua a modificarsi con lentezza, frenato dalla necessità di dover assicurare una antica e fondamentale funzionalità cellulare. La sua copia diventa una avanguardia genomica capace di esplorare nuove possibilità adattative. Questa può evolvere velocemente acquisendo una nuova funzione o perdere definitivamente ogni attività. Gli pseudogeni, così sono dette le copie non attive di geni funzionali, sono molto comuni anche nel genoma umano e costituiscono le tracce molecolari fossili di tentativi evolutivi senza esito avvenuti nello spazio e nel tempo di nostri antenati».

Sergio Tofanelli

 

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