Dopo quasi 500 anni è stata individuata un’infezione batterica da Escherichia coli nella mummia di un nobile italiano del XVI secolo, Giovanni d’Avalos, morto nel 1586 a 48 anni e sepolto nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli. È la prima volta che viene individuato e sequenziato questo batterio in resti umani antichi, grazie ad una ricerca svolta da un team internazionale di cui fanno parte Valentina Giuffra e Antonio Fornaciari della Divisione di Paleopatologia del Dipartimento di Ricerca Traslazionale. Giovanni d’Avalos, capitano dell’esercito spagnolo sotto Filippo II, era affetto da una colecistite cronica calcolosa e proprio da uno dei calcoli biliari proviene il germe di cui è stato sequenziato il genoma.
La mummia di Giovanni d'Avalos (1538-1586)
“L'Escherichia coli, un germe intestinale assai comune, può però agire come un patogeno opportunista infettando il suo ospite durante periodi di deficit immunitario- spiega il dottor Antonio Fornaciari. A differenza delle pandemie ben documentate come la peste, che si protrasse per secoli e uccise fino a 200 milioni di persone in tutto il mondo, non ci sono documentazioni storiche di decessi causati da commensali come l’Escherichia coli, sebbene l'impatto sulla salute umana e sulla mortalità delle popolazioni del passato sia stato probabilmente notevolissimo”.
L'Escherichia coli moderno si trova in genere nell'intestino di persone o animali in buona salute. Sebbene la maggior parte dei ceppi sia innocua, alcune varianti sono responsabili di gravi dissenterie, a volte fatali e setticemie.
Ottenere il genoma di un antenato vecchio di oltre 400 anni del moderno batterio può fornire ai ricercatori informazioni per capire come il germe si è evoluto ed adattato nel tempo.
I ricercatori hanno dovuto isolare con cura frammenti di DNA dell’antico batterio per ricostruirne il genoma con sofisticate tecnologie bioinformatiche; hanno così scoperto che questo germe del ‘500 rientra in un ceppo filogenetico caratteristico dei germi commensali umani, che ancora oggi causano colecistiti croniche calcolose.
I calcoli della colecisti di Giovanni d'Avalos
Il confronto con il genoma del batterio attuale ha rivelato che l'antico ceppo era privo dei geni-chiave che gli avrebbero consentito di diffondersi nei tessuti. Ciò suggerisce che l'infezione era probabilmente di tipo opportunistico e non aveva dato sintomi, se si escludono i sintomi dovuti ai calcoli biliari.
La scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista Communications Biology (Nature), è frutto di una collaborazione tra Italia e Canada avviata già da diversi anni ed è stata realizzata da un team internazionale multidisciplinare composto dai ricercatori della canadese McMaster University (George S. Long, Jennifer Klunk, Ana T. Duggan, Madeline Tapson, G. Brian Golding e Hendrik Poinar), dell'Università di Paris Cité (Olivier Clermont e Erick Denamur), delle Università di Pisa (Gino Fornaciari, Valentina Giuffra, Antonio Fornaciari) e di Catania (Lavinia Gazzè), e dell’Università di Melbourne (Sebastian Duchene).