Nel 1993 venne scoperto in Puglia lo scheletro pressoché completo di un Neanderthal, in una delle prime esplorazioni di un sistema carsico appena individuato nell'Alta Murgia. Si tratta di un reperto paleoantropologico che risale a circa 150.000 anni fa e racconta la storia di una tragedia, non ancora del tutto spiegata, che portò un neandertaliano a restare intrappolato nel buio di una grotta senza poterne più uscire. Oggi il suo scheletro scomposto giace tra stalattiti e stalagmiti in un cunicolo quasi inaccessibile della grotta di Lamalunga (presso Altamura, Bari), ricoperto di concrezioni calcaree coralloidi
I risultati dello studio internazionale, a prima firma di Antonio Profico del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa a cui hanno partecipato anche Giovanni Boschian e Damiano Marchi dello stesso Dipartimento, sono stati pubblicati sulla rivista “Communications Biology”. Al progetto coordinato dalla Sapienza Università di Roma (Giorgio Manzi e Mary Anne Tafuri) erano presenti anche Costantino Buzi (IPHES di Tarragona, Spagna) e Fabio Di Vincenzo (Università di Firenze).
Lo studio descrittivo e quantitativo del cranio rivela come la morfologia di questo importante reperto si inserisca nella variabilità del Neanderthal, pur mostrando alcuni tratti meno tipici, cioè più arcaici rispetto ad altri fossili europei datati tra 300 e 40 mila anni fa. Alcuni di questi tratti non sono mai stati osservati in Homo neanderthalensis, il che suggerisce che la loro origine possa risalire a lunghe fasi di isolamento geografico delle popolazioni umane nei rifugi ecologici rappresentati dalle regioni meridionali della penisola italiana.
"Le parti digitalizzate in grotta non hanno punti di giunzione, perciò è stato necessario sviluppare un nuovo metodo per ricomporle – dichiara Antonio Profico, primo autore dell’articolo – Abbiamo così deciso di combinare virtualmente le due metà come se fossero porzioni disarticolate di un cranio, utilizzando campioni di riferimento su cui basare la migliore corrispondenza".
Il cranio, così come l’intero scheletro di Altamura, si trova all'interno di una piccola camera all'estremità nord-occidentale del sistema carsico, chiamata "Abside dell'uomo". La maggior parte degli elementi scheletrici è collassata qui dopo la morte dell'individuo e la decomposizione dei tessuti molli. I ricercatori hanno acquisito con tecniche digitali le due parti esposte del cranio, separatamente: la parte anteriore in modo diretto con sensori laser, essendo visibile dall'Abside dell'Uomo, mentre l'altra metà ha richiesto l’uso combinato di fotogrammetria e sonde telescopiche in quanto accessibile solo attraverso aperture nella cortina di colonne oltre lo scheletro. Le due parti sono state poi ricomposte e analizzate attraverso tecniche avanzate di morfometria geometrica, a seguito di una valutazione comparativa basata su diversi campioni di confronto.
Ricostruzione virtuale del cranio di Altamura (in ocra) mediante tecniche di paleoantropologia virtuale; il reperto di confronto in grigio (g) è il Cranio 5 di Atapuerca-SH.
“La morfologia della grotta mostra diversi pozzi verticali, oggi occlusi da sedimenti, attraverso i quali potrebbe essere caduto il malcapitato – aggiunge Giovanni Boschian – Tuttavia, non è escluso che in passato la grotta avesse anche altri ingressi più praticabili, ma in questo caso diviene ancor più difficile spiegare perché questo neandertaliano vi rimase prigioniero". “I risultati ottenuti dallo studio della morfologia dell’Uomo di Altamura che lo studio del cranio ci ha fornito sono estremamente utili per compredere l’evoluzione dei Neanderthal – conclude Damiano Marchi – Sarà molto interessante capire cosa ci racconterà il resto dello scheletro”.
"Alla luce dei nostri dati, riteniamo che il cranio di Altamura possa fare luce sul dibattito sull'evoluzione dei Neanderthal – aggiunge Giorgio Manzi, coordinatore della ricerca – La forma del cranio dell'uomo di Altamura rientra nella variabilità di questa specie estinta, condividendo caratteristiche con esemplari comunemente riferiti ai cosiddetti “Neanderthal classici" ma allo stesso tempo mostra affinità con Neanderthal antichi – come quelli di Saccopastore, qui a Roma – o con reperti ancora più arcaici, come il cranio di Ceprano (Lazio meridionale), che risale a circa 400 mila anni fa.”