Un team internazionale ha per la prima volta sequenziato e paragonato il genoma di alcune specie di calabroni per capire i motivi del successo ecologico di questi insetti che si stanno diffondendo, con effetti nocivi, anche in Europa e identificare le possibili strategie per contenerli. La ricerca pubblicata su Scientific Reports è stata realizzata dall’Università di Pisa nell’ambito di un ampio partenariato che comprende l’University College London e l’Università di Firenze.
Lo studio ha riguardato Vespa crabro, una specie nativa dell’Europa, ed il calabrone dalle zampe gialle, Vespa velutina, specie nativa del Sud Est Asia che negli ultimi venti anni si è diffusa in gran parte dell'Europa occidentale, minacciando l’apicoltura e gli impollinatori selvatici. Il genoma di queste due specie è stato quindi sequenziato e paragonato a quello di Vespa mandarinia, una specie anch’essa nativa dell’Asia, arrivata recentemente negli Stati Uniti, dove potrebbe rappresentare un rischio per la biodiversità locale.
Vespa velutina e api (crediti: Antonio Felicioli)
“In quanto predatori, i calabroni sono dei ‘disinfestanti naturali’ nei loro ecosistemi nativi, aiutando a regolare varie popolazioni di insetti che possono essere localmente nocivi, come ad esempio i bruchi di alcune farfalle e falene - spiega Alessandro Cini, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – e tuttavia come specie invasive hanno talvolta effetti economici, ecologici e sociali molto negativi negli habitat che colonizzano”.
Capire perché i calabroni sono invasori così efficaci è dunque fondamentale per gestire le invasioni future e ridurre al minimo l'impatto sulla biodiversità nativa. Da questo punto di vista, la conoscenza dettagliata delle caratteristiche genetiche e genomiche delle diverse specie è basilare.
“Il nostro studio suggerisce per esempio che i calabroni possano avere numerosi geni coinvolti nella rilevazione dei segnali chimici dell’ambiente - dice Cini – e questo potrebbe renderli particolarmente bravi a cacciare nuove prede in ambienti non nativi, dove spesso arrivano trasportati accidentalmente dall’uomo. Bastano infatti solo alcune regine, magari nascoste in qualche carico di merci, per dare il via ad una nuova invasione. Ovviamente, questi dati genetici andranno integrati con analisi etologiche ed ecologiche sul campo”.
“Il calabrone dalle zampe gialle continua la sua avanzata sul territorio italiano - aggiunge Federico Cappa, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze – la specie è presente con un numero sempre crescente di colonie in Liguria e Toscana, oltre a segnalazioni puntiformi in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Data la sua rapida espansione, risulta fondamentale la messa a punto efficaci strategie di monitoraggio e gestione sostenibile per salvaguardare il settore apistico italiano e gli impollinatori nativi”.
“E’ un momento entusiasmante per la ricerca sui calabroni e le altre vespe- concludono i professori Seirian Sumner ed Emeline Favreau dell'UCL Centre for Biodiversity & Environment, senior author/corresponding author dell’articolo - il sequenziamento di questi nuovi genomi è solo l’inizio, nei prossimi anni molti altri si aggiungeranno, permettendo di conoscere più approfonditamente questi insetti affascinanti e cosi significativi per gli ecosistemi terrestri".
Cini, insieme ad altri autori dello studio e ad alcuni colleghi dell’Ateneo pisano, fa parte della rete nazionale Stopvelutina, un network di studiosi e portatori di interessi che da anni monitora la diffusione del calabrone invasivo Vespa velutina, valutando possibili tecniche di controllo e sensibilizzando la popolazione riguardo a questa minaccia per l’apicoltura e per la biodiversità.
Insieme all’Università di Pisa la ricerca pubblicata su Scientific Reports ha coinvolto l’University College London, il Centre for Genomic Regulation (Spagna), l’Università di Firenze, University of Haifa (Israele), Université de Bordeaux (Francia), Manaaki Whenua (New Zealand), University of Natural Resources and Life Sciences (Austria), Wellcome Sanger Institute (Gran Bretagna), Universitat Pompeu Fabra (Spagna).