Da giovane laureato in Ingegneria meccanica e ricercatore, Lapo è stato uno dei primi Team Leader dell'E-Team squadra corse. Entrato nel mondo della consulenza quasi per gioco, negli ultimi 15 anni ha vissuto tra Belgio, Thailandia e Stati Uniti supportando le industrie di oltre 40 paesi sui temi delle tecnologie innovative. Questa è la storia di Lapo Mori, consulente strategico nella sede di Denver della McKinsey & Company.
Lapo è uno dei protagonisti di "Vox Alumni", il podcast di Alumni che racconta le storie di laureate e laureati dell'Università di Pisa.
Ascolta "Ep. 10 | Dalle gare con l'E-Team a consulente McKinsey: Lapo Mori" su Spreaker.
Ciao Lapo, raccontaci un po’ dei tuoi anni a Pisa, tra gli studi, la ricerca e la gestione dell’E-Team.
Da sempre appassionato di materie scientifiche (nonostante abbia fatto il classico…) volevo trovare un lavoro che mi permettesse di usarle tutti i giorni. La scelta di ingegneria fu scontata. Ho svolto la mia triennale e specialistica a Pisa in Ingegneria Meccanica e poi ho fatto il mio PhD alla Northwestern University a Chicago.
Di ritorno a Pisa per un postdoc, ho svolto per un periodo anche il ruolo di Team manager e Direttore tecnico dell’E-Team Squadra Corse, che era allora agli albori del progetto. Si è trattata di un’esperienza molto diversa da tutte le altre vissute all’università. Per la prima volta, ho vissuto un vero lavoro di gruppo in un’atmosfera molto simile alle start-up, fatta di grandi ambizioni, nessuna ricetta per risolvere i problemi, inventiva e improvvisazione, passione. Cose che mi sono poi trovato ad usare spesso nel mio lavoro.
Come sei passato dal mondo della ricerca a quello della consulenza strategica, e di cosa ti occupi esattamente?
Ci sono arrivato per puro caso. Quando ero all’università non sapevo nemmeno cosa fosse la consulenza. Ho preparato i colloqui seguendo il consiglio di un amico di esplorare questa strada come un modo per fare esperienza e poi andare nell’industria. Sono entrato con l’idea di restare qualche anno o fino a quando mi fossi divertito…Qualche anno sono diventati oltre dodici e continuo a divertirmi.
Mi occupo di molti settori ma in generale aiuto aziende nei settori della chimica, estrazione mineraria, agricoltura, metalli, carta, a migliorare la loro produzione, supply chain e sostenibilità utilizzando nuove tecnologie, per lo più legate ad analisi avanzate, big data, e automazione.
Negli ultimi quindici anni hai vissuto tra Europa, Asia e Stati Uniti, lavorando in oltre quaranta paesi. Quali sono, secondo la tua esperienza, i pro e i contro di trasferirsi all’estero per lavoro?
Fare esperienze all’estero è l’unico modo per capire come collaborare con aziende e persone che hanno una cultura diversa. Data la globalizzazione di tutti i settori, non credo che sia un’opzione, ma una necessità. Detto questo, vivere all’estero non è certamente la scelta giusta per tutti, ma consiglio per lo meno di sperimentare e decidere in base ai fatti e non a preconcetti.
Per chiudere, la domanda che facciamo a tutti: se potessi tornare indietro nel tempo a quando eri uno studente, quale consiglio ti daresti?
Non ho un solo consiglio ma due. Il primo è fare un periodo all’estero. Durante l’università l’unico obiettivo era lo studio e non ho mai considerato un periodo all’estero perché lo vedevo come una perdita di tempo. Solo più tardi ho capito che queste esperienze aiutano a crescere in un modo che non si misura con i mesi guadagnati o persi. Il secondo è esplorare discipline che non hanno niente a che vedere con quella di studio. Durante l’università, per esempio, non avevo idea che finanza e intelligenza artificiale sarebbero state materie che avrei usato molto più della progettazione nell’ambito in cui mi sono trovato a lavorare.
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