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Grande successo del Coro dell’Università per l’esecuzione della Messa di Gloria di Giacomo Puccini

La gallery fotografica del concerto nella chiesa di Santa Caterina d'Alessandria

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Grande successo per il tradizionale Concerto del Coro dell’Università del Giugno Pisano, giunto alla sua venticinquesima edizione. Venerdì 7 giugno alle ore 21:30, nella chiesa di Santa Caterina d'Alessandria, il Coro dell'Università ha eseguito la grandiosa Messa a quattro voci con orchestra (detta Messa di Gloria) di Giacomo Puccini, composta a Lucca nel 1880. La serata è stata organizzata nell’ambito delle celebrazioni in occasione del primo centenario dalla morte del compositore lucchese. Per l’occasione, alle nutrite fila del Coro pisano si sono uniti i coristi del Coro dell’Università di Perugia in scambio culturale col nostro Ateneo. Solisti il tenore Marco Mustaro e il baritono Carlo Morini, insieme all’Orchestra Sinfonica Città di Grosseto, sotto la direzione di Stefano Barandoni.

 

Note di sala
Il XXV Concerto annuale nel Giugno Pisano del Coro dell’Università di Pisa cade nell’anno delle celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo Puccini, il grande compositore lucchese che tante istituzioni musicali si stanno impegnando a ricordare.

L’occasione era dunque propizia per presentare, nella splendida cornice della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, l’unica grande opera sacra del Maestro: la Messa a quattro voci con orchestra. A rendere ancora più solenne l’evento è la presenza, nelle file del Coro, delle amiche e degli amici del Coro dell’Università di Perugia, giunti a Pisa per uno scambio culturale col nostro Coro, che nello stesso mese di giugno si recherà a Perugia per una seconda esecuzione congiunta della messa pucciniana. “Pisa e Perugia: due cori universitari per Giacomo Puccini” potrebbe essere il motto di questo progetto che ci ha visti alacremente impegnati da mesi di studio e prove.

La Messa a quattro voci con orchestra fu composta a Lucca da Puccini nel 1880 (a ventidue anni, dunque) per conseguire il diploma presso l’illustre Istituto Musicale “G. Pacini”, lo stesso di cui era stato direttore il padre di Giacomo, Michele. Spesso è indicata con il titolo Messa di Gloria: si tratta tuttavia, come ha anche precisato la specialista Gabriella Biagi Ravenni, di un errore, perché generalmente, e salvo poche eccezioni, quel titolo indica una composizione che comprende solo le due prime sezioni (Kyrie e Gloria), mentre qui sono presenti tutte e cinque le parti consuete di una messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei).

Quella pucciniana però, della quale il suo autore non volle mai pubblicare il manoscritto completo e che, una volta raggiunta la notorietà, definì “peccato giovanile”, cadde presto nell’oblio: dopo la prima esecuzione nella Chiesa di San Paolino di Lucca (il 12 luglio), infatti, sarebbero trascorsi settantadue anni prima che fosse eseguita di nuovo, a Chicago (1952) e alcuni mesi dopo a Napoli.

La sua riscoperta fu al centro di una vicenda confusa e rocambolesca: alla fine della Seconda guerra mondiale, Dante Del Fiorentino, il parroco della St. Lucy’s Church (Brooklyn) incaricato di scrivere una biografia del compositore (dall’eloquente titolo Immortal Bohemian: An intimate memoir of G. P., 1952) fece pubblicare quella che riteneva essere la partitura autografa, acquistata dalla famiglia Vandini di Lucca. Trattandosi invece di una copia, la Messa entrò in una battaglia legale che terminò con la divisione dei diritti d’autore tra la Ricordi e l’editore americano.

Al tempo della sua composizione, Puccini, che in quello stesso anno si tra- sferirà a Milano per frequentare il Conservatorio, poteva dirsi già un esperto esecutore di pianoforte e soprattutto di organo, il cui imponente spessore ispira qui molte pagine. Il Credo peraltro era stato già composto nel 1878 come pezzo autonomo, eseguito insieme al Mottetto Plaudite Populi, per la chiesa di San Paolino. Puccini aveva inoltre composto un Preludio a orchestra, la cantata I figli d’Italia bella e un valzer per la banda cittadina; ma soprattutto aveva già assistito a uno spettacolo operistico di rilievo, un’Aida rappresentata con grande fasto al teatro Nuovo di Pisa, dove si recò da Lucca insieme a un gruppo di amici, in un viaggio notturno fatto in gran parte a piedi, rimasto leggendario. L’influenza del tardo Verdi è evidente del resto fin dalle prime note del Kyrie, o nel successivo Qui tollis; ma tutte le prime prove sacre del giovane e talentuoso Giacomo erano spesso criticate (anche in famiglia) per indulgere a toni mondani, profani e troppo operistici.

La prima opera teatrale di Puccini sarà Le Villi, scritta tre anni dopo questa Messa per un concorso indetto a Milano dall’editore Sanzogno, e rappresentata nel 1884. Dopo Le Villi, lo straordinario destino artistico di Puccini non dimenticherà mai l’importanza della componente religiosa, sia nel teatro, sia nella produzione sacra (ancora nel 1905 comporrà un Requiem in memoria di Verdi). È nota la presenza, nella Messa, di alcuni temi che, con opportune trasformazioni, il melomane riconosce subito come familiari: il Gloria riemerge nel finale del primo atto di Tosca, l’Agnus Dei nel secondo atto della Manon (il celebre madrigale Sulla vetta tu del monte), il Kyrie nell’Edgar.

Ma la Messa ha ben altro peso nella formazione pucciniana perché, seppur in forma aurorale, vi si ritrovano quasi tutti gli aspetti innovativi che caratterizzeranno la successiva e più famosa produzione. A una generale e diffusa sensibilità di tipo drammaturgico, usuale per l’epoca (basti pensare al Requiem di Verdi, del 1874), si sommano, specie nel ritmo, molte finezze coloristiche che conferiscono alla melodia un tono sentimentale e a tratti pastorale, e che garantiscono una continuità tra i diversi pezzi fatta anche di fughe frenetiche e con- trasti trionfali che saranno poi tipici del teatro pucciniano. Anche se sono presenti fin dall’inizio del Gloria delle concessioni “mondane” (ad esempio le impennate di tromba di stampo garibaldino), che la stessa sorella Iginia rimproverava a Giacomo, la Messa è comunque musica sacra di altissimo livello.

La scrittura vocale si ispira allo stile imitativo della polifonia classica di Palestrina, che a quel tempo era un modello di studio nei Conservatori italiani. L’Et in terra pax e il Laudamus te mostrano chiare impronte della mu- sica religiosa del suo tempo, a partire dai grandi oratori di Mendelssohn. Più autenticamente pucciniano è il Gratias agimus tibi, per voce di tenore solista, dove emerge il calore espressivo e l’accento profondamente umano del futuro compositore delle arie di De Grieux, Rodolfo e Cavaradossi.L’ombra di Verdi si stende invece sul Qui tollis, pagina comunque animata dalla sensibilità per i valori razionali ed estetici dell’armonia. Il Cum Sancto Spiritu poi, che venne definito “un fugone coi baffi” dal critico della “Provincia di Lucca”, si rivela un esercizio bachiano di alta scuola (nonché di impervia esecuzione), che arriva ambiziosamente a incorporare nella doppia fuga finale il tema del Gloria. Siamo quindi al recupero di quel Credo composto due anni prima, una bellissima, forse solo un po’ ingessata e poco innovativa, professione di fede in do minore, che si apre in fortissimo e alterna episodi monoritmici a scambi contrappuntistici. Più originali risultano decisamente tutti e quattro i brani che seguono: il Crucifixus, affidato alla sola sezione grave maschile del coro, il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei. Il Benedictus, in particolare, intonato dal baritono solista, si dispiega con l’immediatezza comunicativa tipica del compositore, ma leggero e intimista è anche il duetto finale tra baritono e tenore (Agnus Dei), punteggiato in modo semplicissimo dal richiamo del coro (Miserere nobis). La Messa si conclude così con un ritmo di valzer, accompagnato dai fiati e dal pizzicato degli archi, quasi a evocare un’uscita spensierata, verso giovanili svaghi serali, da una chiesa lucchese.

Fabrizio Cigni
Responsabile del Polo Musicale “Maria Antonella Galanti” dell’Università di Pisa

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  • 10 giugno 2024

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