A giugno scorso la professoressa Enrica Salvatori del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Ateneo è stata eletta presidente della Associazione Italiana di Public History (AIPH). Studiosa di storia specializzata nell’età di mezzo e in cultura digitale, Enrica Salvatori insegna nei corsi di laurea di Storia, Archeologia e Informatica Umanistica. Convinta che lo storico debba impegnarsi per far percepire l’utilità sociale del suo mestiere nel tempo ha cominciato ad occuparsi di Storia Digitale e Storia Pubblica, ossia dei nuovi modi di poter “condividere” la storia con il resto del mondo.
Professoressa Salvatori, che cosa è la Public History e quale è la specificità di questa disciplina nel contesto italiano?
La Public History (Storia pubblica) è un campo delle scienze storiche a cui aderiscono coloro che svolgono attività attinenti alla ricerca, alla comunicazione e alla pratica della storia, come alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, materiale e immateriale. Tali attività si realizzano "con e per" diversi pubblici, tanto all’interno quanto all’esterno degli ambiti accademici e istituzionali, nel pubblico e nel privato. In sostanza la Public History è allo stesso tempo un insieme di pratiche e una corrente di pensiero, che invita gli storici a lavorare insieme a pubblici diversi, condividendo, non semplificando, la complessità del ragionamento storico, portando le persone "dentro" quella stessa complessità con iniziative che mirino a renderle partecipi della scrittura della storia. L'Italia è la prima nazione europea ad aver creato un'associazione nazionale dedicata alla Public History, l'AIPH appunto, nata nel 2016 con il sostegno della International Federation for Public History (IFPH) e della Giunta Centrale per gli Studi Storici (ora Giunta Storica Nazionale). Nel giugno del 2017 a Ravenna si è tenuto il primo congresso nazionale, che nel 2018 è stato replicato proprio all'Università di Pisa. Quest'anno a Roma si è svolto il nostro sesto incontro.
Quali sono i progetti di Public History che ha portato avanti in questi anni e quelli futuri?
Effettivamente tanti, perché la Public History era nelle mie corde ben prima che venissi a conoscenza dell'esistenza di questa disciplina nata oltreoceano e che si fondasse la stessa Associazione, soprattutto grazie al mio impegno nelle Digital Humanities e nel corso di laurea di Informatica Umanistica. Infatti, ogni anno il mio corso di Storia Pubblica Digitale alla Magistrale fa realizzare agli studenti un progetto concreto: l'ultimo in ordine di tempo una mostra virtuale e partecipata sulla Cancel Culture avente per oggetto la statua di Costanzo Ciano conservata alla Spezia.
Tra i miei primi grandi progetti direi TraMonti. Itinerari di generazioni lungo i crinali della Val di Vara (2011): che ho gestito come P.I. di un consorzio di comuni: la produzione di articoli scientifici è andata di pari passo con la narrazione e la condivisione dei risultati, accessibili grazie a due volumi e un WebGIS con le evidenze di interesse storico-archeologico; fondamentale un archivio Web delle testimonianze-video degli abitanti sul “sapere locale” e sull’alluvione che nel 2011 ne ha colpito le esistenze e cancellato parte del patrimonio. Nel 2020 è poi terminato un progetto di cui sono estremamente orgogliosa: l'edizione digitale del Codice Pelavicino, edizione scientifica di un manoscritto del XIII secolo concepita e realizzata in modo che potesse al tempo stesso essere utile agli studiosi e favorire la partecipazione attiva del pubblico interessato.
Se si guarda al futuro il prossimo impegno è verso il mondo della Rievocazione, con il corso di perfezionamento Il rievocatore come Public Historian che partirà a ottobre 2024. Il corso è indirizzato a chi intende apprendere gli strumenti necessari per operare consapevolmente nella partecipazione, organizzazione, allestimento, promozione di eventi rievocativi che si fondino sulla ricerca storica e archeologica. Per questo motivo si richiama esplicitamente ai metodi e alle pratiche della Public History, nella convinzione che la rievocazione ricostruttiva possa costituire una settore importante per la condivisione della storia e la valorizzazione corretta del patrimonio culturale.
Pensa che lo “storico pubblico” possa diventare un vero e proprio lavoro al di là dell’accademia?
Non solo lo penso, lo so. In questi anni di attività come docente e membro dell'AIPH ho incontrato diversi laureati in storia o in discipline vicine (come archivistica o archeologia ad esempio) che lavorano già come Public Historian, magari senza essere ufficialmente riconosciuti come tali (questa è una delle finalità dell'Associazione): nell'ambito della Rievocazione come organizzatori o co-organizzatori di eventi, nella progettazione di festival, nella didattica laboratoriale, nella predisposizione di mostre per enti pubblici e privati, in sostanza in tutte le attività legate alla promozione del patrimonio culturale e del territorio. Non solo, le pratiche della public history, portando fuori dell'Università gli strumenti per la comprensione critica dei contesti storici e dei processi in atto, aiutano le comunità ad affrontare la complessità del presente, favorendo la comprensione e l’incontro fra persone che provengono da luoghi ed esperienza diverse e che sono portatrici di memorie talvolta contrastanti. Questo, credo, risponde in pieno alla Terza Missione dell'Università.
La strada innovativa dello "storico pubblico" rispetto alla semplice divulgazione o "buona comunicazione" della storia sta proprio nel suo impegno per il coinvolgimento diretto dei diversi pubblici in attività di condivisione e di scrittura della storia. Per farlo deve però possedere non solo una ottima preparazione da storico, ma anche essere capace di dialogare e mediare con istituzioni, enti, gruppi, comunità e portatori di interesse, organizzare iniziative che promuovano il loro coinvolgimento oltre che conoscere i nuovi media e i principali strumenti dell'infosfera.
Quali gli obiettivi di questo suo mandato da presidente dell’AIPH?
L’associazione che ho ereditato ha ormai passato la prima fase pionieristica e sta avviandosi verso l’età matura, in cui deve aver ben chiari gli scopi e i bisogni dei suoi associati. Da un lato non siamo, e mai saremo, una associazione corporativa, orientata solo verso il mondo universitario, ma dobbiamo comunque promuovere la formazione di Public Historian nelle sedi appropriate. Abbiamo bisogno di esprimere linee guida condivise riguardanti il codice etico e lo statuto scientifico della Public History e contemporaneamente promuovere la professionalità dello storico nell’arena pubblica. Una serie di sfide importanti che passano attraverso la promozione di convegni tematici interdisciplinari con forte coinvolgimento di tutte le realtà non accademiche, la promozione delle buone pratiche di Public History, la fondazione di una rivista, la promozione della disciplina nelle scuole e infine la creazione di sinergie con le altre Società storiche. Crediamo, infatti, molto nel fare rete con chi ha a cuore l'avanzamento degli studi storici, che siano intesi in maniera tradizionale o innovativa.
Un compito non piccolo, ma che per fortuna mi vede affiancata da un Consiglio Direttivo di altissima qualità e dal supporto costante del presidente uscente, nonché fondatore dell'AIPH, Serge Noiret.