Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi

Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale

L'etologa Palagi e il neuroscienziato Caruana firmano insieme questa soprendente indagine sul riso

  • Condividi l'articolo su Facebook
  • Condividi su Twitter

 Elisabetta Palagi, etologa e professoressa dell’Università di Pisa è autrice insieme al neuroscienziato Fausto Caruana del volume Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (Il Mulino, 2024). I due autori sfatano una serie di luoghi comuni a partire dall’idea, molto diffusa, secondo cui il riso sarebbe una prerogativa esclusiva degli esseri umani o che il ridere sia strettamente connesso all’humor. Il tema in realtà è un altro: la risata secondo Palagi e Caruana è la Stele di Rosetta del comportamento sociale da cui derivare una vera e propria teoria dell’interazione sociale.

Pubblichiamo di seguito l’introduzione al volume.

************************

Una decina di anni fa, uno degli autori di questo libro – il neuroscienziato – si era trovato nella rara condizione di poter dire qualcosa di scientificamente interessante sulle basi neurali del riso (diremo poi come e perché) e ha colto l’occasione. Molto cinico, ma l’occasione era ghiotta. Considerate che in neurologia il tema è molto serio, dato che esistono numerose condizioni patologiche che hanno il riso come tratto distintivo (una di queste, la «sindrome di riso e pianto patologico» associata alla paralisi pseudobulbare, è stata studiata da Joaquin Phoenix per dare vita alla sua celebre interpretazione di Joker). Tuttavia, per le neuroscienze, il riso – il nostro comportamento più frequente, la cosa che facciamo più spesso nell’arco delle nostre giornate – è un enigma, un comportamento misterioso. Terra incognita, come dicevano gli antichi. Perché?

Il problema principale è che il riso si sottrae a uno studio neuroscientifico rigoroso con tutte le sue forze. Robert Provine – psicologo americano e massimo studioso di questo comportamento (sentirete spesso il suo nome in questo libro) – una volta scrisse che il riso è quel comportamento che scompare quando si mette un individuo sotto scrutinio in laboratorio. Porti un soggetto sperimentale in un laboratorio scientifico e, appena si sente isolato e studiato come una cavia, per prima cosa smette di ridere. Ma se anche riusciste a farlo ridere, non potreste studiare il suo cervello a causa di un secondo problema: quando ride muove la testa, e tutto il corpo, e ogni sistema di rilevazione dell’attività neurale perderebbe il segnale e registrerebbe solo artefatti da movimento. Per questo molti neuroscienziati hanno cercato di aggirare il problema, studiando cosa succede quando ascoltiamo una risata, anziché quando siamo noi a ridere, anche se ovviamente non è la stessa cosa. Tornando a noi, poco meno di dieci anni fa, dicevamo, uno degli autori inizia una collaborazione con l’importantissimo centro di chirurgia dell’epilessia «Claudio Munari», all’Ospedale Niguarda di Milano, un gruppo di medici leader al mondo nella cura dei pazienti con epilessia farmacoresistente mediante approccio neurochirurgico. Una delle pratiche cliniche utilizzate al «Claudio Munari» prevede l’utilizzo della stimolazione elettrica intracerebrale, che viene applicata tramite elettrodi in grado di attivare artificialmente una piccola porzione di materia cerebrale. La stimolazione elettrica – una tecnica largamente utilizzata in neurochirurgia e il cui scopo è quello di individuare con la massima precisione il focus epilettogeno – viene eseguita su pazienti svegli e produce due tipi di risposte: risposte comportamentali (cioè movimenti osservabili da chiunque sia presente nella stanza) o risposte soggettive (ovvero effetti percepiti solo dal paziente: sensazioni, allucinazioni visive o uditive, ricordi, sapori ecc.). Ma i neurologi avevano notato che, in alcuni casi, i pazienti rispondevano alla stimolazione scoppiando a ridere e che spesso il riso era associato a una vera e propria esplosione di divertimento. Che diavolo stava succedendo? Ecco aperta una finestra esclusiva sulle basi neurali del riso: se non è possibile registrare segnali neurali dal cervello di una persona mentre ride, almeno è possibile indurre questo comportamento stimolando alcune regioni del cervello.

 

palagi.jpg

 

Più o meno negli stessi anni, all’Università di Pisa, l’altro autore di questo libro (l’etologa) cominciava a interessarsi ai meccanismi alla base della condivisione degli stati d’animo tra i compagni di gruppo, fossero questi umani o non umani. Quali sono i meccanismi attraverso cui gli uomini e gli animali trasmettono emozioni o informazioni in modo automatico e veloce, senza necessità di utilizzare meccanismi di comunicazione complessa? Il primo comportamento su cui cadono gli occhi dell’etologa è lo sbadiglio. Che nulla ha a che vedere con il riso, penseranno i lettori. Vero. Tuttavia, lo sbadiglio è contagioso e lo sappiamo bene quando siamo in gruppo e uno di noi comincia a sbadigliare. Tempo qualche secondo e la combriccola si trasforma in un insieme di persone a bocca aperta, impegnate in grandi respiri e mugolii. Dopo poco tempo, l’idea che è ora di andare a dormire viene condivisa da tutti. Attraverso un comportamento semplice, o meglio attraverso la sua contagiosità, il gruppo si sincronizza. Vedremo più tardi, nel corso di questa narrazione, come il contagio di sbadiglio sia uno dei meccanismi alla base della nostra socialità e di quella degli altri animali. Lo sbadiglio è contagioso, ma lo è anche la risata. E l’etologa lo sapeva bene! Per il suo dottorato di ricerca (più di dieci anni fa!) decide infatti di concentrarsi sulle espressioni facciali, condite da vocalizzazioni che le grandi scimmie emettono quando giocano. Appare immediatamente evidente che tali «schiamazzi» avvengono non tanto quando le scimmie giocano da sole, ma quando si solleticano, si rotolano e rincorrono le altre. In parole povere, le risate sono intercalate nelle diverse azioni ludiche effettuate dagli animali. La risata appare quindi un elemento essenziale quando si gioca insieme, un elemento di punteggiatura che dà senso alle azioni che si susseguono velocemente. Ma come fanno gli animali a comprenderne il significato, elaborarlo e tradurlo in informazione emotiva. Esattamente come avviene per lo sbadiglio, la risata è contagiosa, Ecco che tutto ruota di nuovo intorno al concetto «faccio mio ciò che vedo sulla tua faccia» per entrare in sintonia con te. Ecco quindi trovata la chiave per la comprensione del riso, guardarlo sulla faccia dell’altro.

In entrambi i filoni di studio, sia in quello legato alle basi neurali del riso umano sia in quello legato al comportamento animale, le domande suscitate dalle prime evidenze hanno aperto la porta ad altre domande, per rispondere alle quali è necessario uscire dall’ambito ristretto di una singola disciplina, per intavolare un dialogo con discipline incredibilmente lontane e disparate, che includono neurologia, filosofia, linguistica, psicologia dello sviluppo, semiotica e altre ancora più lontane, come la storia romana o l’arte visiva (esiste anche lo yoga della risata, ma in realtà non ne sappiamo nulla: sappiamo solo che esiste). Ed ecco cosa emerge: per secoli e secoli sulla risata sono circolate due assunzioni che a questo punto, però, pensiamo siano totalmente sbagliate e che hanno bloccato la strada a ogni progresso. La prima è che la risata è un comportamento unicamente umano e, quindi, che gli altri animali non ridano. La seconda è che la risata è qualcosa di strettamente connesso allo humor. Questo dialogo interdisciplinare ci ha invece convinto di due cose. La prima è che le due assunzioni appena citate siano sbagliate. La seconda è che la risata sia la Stele di Rosetta del comportamento sociale. E da qui l’idea di unire le forze e scriverci sopra un libro. Abbiamo dato un nome a questa idea: teoria dell’interazione sociale.

Questo libro vuole fornire una fotografia del riso presa da diverse prospettive – neuroscienze, etologia, filosofia, psicologia sociale, linguistica – ma tutto tenuto insieme all’interno di una narrazione coerente, ovvero quella fornita da un approccio evoluzionista. Ci sono solo alcuni libri sul riso, e questi libri sono scritti per lo più da critici letterari, da antropologi, da psicologi sociali e, soprattutto, da filosofi. Di conseguenza, questi volumi si focalizzano sugli aspetti più tipicamente umani del riso, allontanandosi inevitabilmente da un approccio naturalistico. Questo libro invece è scritto da un neuroscienziato e da un’etologa, e questo rende il libro molto diverso, con un orientamento «neuroetologico», smaccatamente naturalistico ed evoluzionista. Ma partiamo dall’inizio. E quando diciamo dall’inizio diciamo sul serio: partiamo dai filosofi greci.

  •  
  • 13 settembre 2024

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa