Gli effetti dannosi di un’esposizione prematura all’eccesso di ossigeno (iperossia) nei neonati pretermine – con tutte le patologie conseguenti - possono essere neutralizzati con una stimolazione farmacologica del recettore β3-adrenergico visto il suo ruolo indispensabile durante la vita intrauterina, dove permette al feto di vascolarizzarsi, adattarsi e sopravvivere in ambiente fortemente scarso di ossigeno (ipossia).
E’ quanto emerge da studi preclinici su modelli sperimentali appena pubblicati in questo lavoro (http://doi.org/10.1002/med.22092), redatto da un gruppo multidisciplinare di ricerca di Aoup e Unipi insieme ad altri centri (Università di Firenze e Irccs Meyer) e uscito sulla rivista di farmacologia Medicinal Research Review, nel quale viene illustrata non solo una nuova interpretazione dei meccanismi che portano i neonati pretermine a sviluppare alcune caratteristiche malattie, ma anche una specifica strategia terapeutica che potrebbe indurre in loro un virtuale riavvicinamento all’utero materno e, dunque, ricreare le condizioni favorevoli a uno sviluppo fisiologico anche dopo un parto prematuro.
Il benessere fetale è infatti strettamente legato all’ambiente dinamicamente ipossico. La nascita prematura comporta l’esposizione precoce del feto immaturo a un ambiente più ricco di ossigeno rispetto all’utero. Di conseguenza, i neonati prematuri affrontano una condizione di relativa iperossia, che altera lo sviluppo postnatale degli organi e contribuisce alle malattie legate alla prematurità (retinopatia del prematuro, enterocolite necrotizzante, diplasia broncopolmonare, leucomalacia periventricolare). Fino a qualche tempo fa era poco chiaro il meccanismo molecolare attraverso cui l’elevata tensione di ossigeno alterasse la normale differenziazione fetale. Questo studio, oltre a dimostrare su modelli animali che l’esposizione precoce a un ambiente relativamente iperossico possa compromettere i nati pretermine a causa della ridotta espressione del β3-adrenorecettore, suggerisce l’ipotesi che i disturbi conseguenti alla nascita prematura possano essere contrastati o persino prevenuti proprio attraverso la stimolazione farmacologica dei rimanenti β3-adrenorecettori, creando una sorta di placenta artificiale farmacologica.
Questo filone di ricerca era stato inaugurato a Pisa circa 14 anni fa per testare l’efficacia del propranololo (un beta-bloccante) nel contrastare la progressione della retinopatia del prematuro. In questo contesto emerse in modo sempre più evidente la sensibilità dei recettori adrenergici β3 ai livelli di ossigeno ambientale (e la loro particolare attivazione in ambiente ipossico). Da lì la ricerca si è diramata in due direzioni, portate avanti da più gruppi toscani: una sul loro ruolo chiave nell’induzione della crescita embrio-fetale, di cui appunto lo studio appena pubblicato rappresenta l’ultimo avanzamento con una prospettiva terapeutica e l’altra, più propriamente oncologica, diretta a trovare un loro potenziale antagonista (questi recettori vengono infatti impiegati anche dalle cellule tumorali per vascolarizzarsi, ingannando i meccanismi di difesa dell’ospite). Vedi notizia correlata: Usurpare le capacità embrionali: individuato meccanismo biologico che governa crescita del feto e sviluppo di tumori aggressivi. Studio pisano su Medicinal Research Review
“Data la rilevanza delle patologie interessate, la fragilità dei pazienti coinvolti e l’innovatività di questo approccio – dichiara il direttore dell’Unità operativa di Neonatologia dell’Aoup, Luca Filippi, associato di Pediatria generale e specialistica all’Università di Pisa nonché prima firma dello studio - l’auspicio è che quanto finora emerso su modelli sperimentali possa presto traslarsi con successo all’uomo” (fonte: ufficio stampa Aoup).