Undici incontri per raccontare i 150 anni di storia dell’unità di Italia dal punto di vista del lavoro e delle sue organizzazioni: è l’obbiettivo ambizioso di un ciclo organizzato dalla Camera del Lavoro, dal Dipartimento di storia e dalla Fondazione Di Vittorio.
L’inaugurazione si è tenuta venerdì 16 in una sala che si è riempita pian piano, con un pubblico misto di studenti e quadri del sindacato.
Di questi tempi il tema dell’unità di Italia è estremamente attuale, al di là delle celebrazioni, di un’attualità che forse era difficile da immaginare qualche anno fa.
Gian Franco Francese, segretario della Camera del Lavoro di Pisa, nel suo intervento introduttivo ha ricordato che Bossi ha da poco affermato che l’Italia va a picco e che il futuro è la Padania . “Troppo tempo abbiamo sorriso di questi atteggiamenti” afferma Francese “il 150° dell’unità non è un momento liturgico, ma deve essere un’ occasione per riflettere su una storia a cui il movimento operaio ha dato un contributo decisivo.”
Francese ha ricordato come le battaglie di emancipazione del sindacato siano state sempre legate all’affermarsi della democrazia in Italia: dallo sciopero generale proclamato a Milano nel 1904 per l’eccidio di Buggerru in Sardegna, agli scioperi del marzo ’43 che prepararono la resistenza, al ruolo di Di Vittorio nella Costituente, alle lotte degli anni 70 degli operai del Nord per lo sviluppo del meridione, fino all’impegno contro la mafia dopo le stragi dei primi anni novanta.Il ciclo di incontri, ha affermato Francese, è un’occasione per il dialogo tra sindacato, mondo accademico e città, ed è anche un ‘occasione di formazione per il gruppo dirigente della Camera del Lavoro.
Ma in che senso la riflessione storica può essere utile e formativa per un sindacato, e più in generale per i cittadini?
Luca Baldissara, del Dipartimento di Storia, ha cominciato il suo intervento ricordando quando, alla vigilia del suo primo giorno di scuola, il nonno, vecchio militante socialista, lo aveva portato davanti alla scuola per dirgli quanto fosse importante lo studio per l’emancipazione e la libertà di tutti.
Sulla scuola campeggiava la scritta “Historia magistra vitae”.
Ma la storia non insegna nulla, ha affermato provocatoriamente Baldissara: gli storici non hanno capacità previsionali, non possono dare ricette per il futuro. Possono però fornire ragioni sul presente, possono aiutare a inquadrare i fenomeni attuali all’interno di un movimento più ampio, di cui si possono comprendere le radici e valutare i diversi possibili esiti. La riflessione storica serve a dare coscienza e consapevolezza del nostro essere parte di un processo di mutamento.
Il ciclo di seminari, rivendica Baldissara, è stato organizzato a bella posta nella seconda metà dell’anno, quando ormai la foga celebrativa si è un po’ attenuata. Purtroppo l’occasione di riflettere sulla nostra storia è andata in gran parte perduta: c’è stato un fiorire di retorica apologetica e celebrativa, dovuta anche al folclore leghista, che ha fatto sì che i balconi si riempissero di tricolori (un chiaro segnale politico), e che si oscurasse la riflessione seria, in primo luogo sulla questione del lavoro.
Il caso italiano, ha affermato Baldissara, è particolare rispetto ad altri paesi dell’occidente europeo perché la sua storia è caratterizzata da una forte conflittualità sociale a ondate.
Ciò è spia di un problema strutturale del nostro paese: una non piena rappresentanza del mondo del lavoro, una mancata legittimazione da parte delle classi dirigenti per la rappresentanza politica del mondo del lavoro.
Il ciclo di seminari vuole essere un’occasione per ragionare con più freddezza su questi temi.
Gli incontri, ha affermato Pasquale Cuomo del Dipartimento di Storia, ripercorrono l’evoluzione del tessuto sociale ed economico italiano, dedicando attenzione particolare al ruolo del sindacato, che ha spesso dovuto supplire alla funzione non sua di rappresentanza anche politica del mondo del lavoro.
Nel programma verranno poi sempre considerate due questioni che sono costanti della storia d’Italia, lo sfruttamento del lavoro femminile da una parte, e l’emigrazione dall’altra, legata al problema dell’urbanizzazione selvaggia e al mutamento del paesaggio delle nostre città nella seconda metà del secolo scorso.
Ha concluso l’incontro Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Di Vittorio, con l’intervento più direttamente politico della giornata. Pepe ha insistito sull’attenzione alla dimensione metanazionale che il sindacato deve avere oggi per non perdere la propria funzione. Dato che la nostra sovranità nazionale è fortemente limitata dalle scelte dei governi francese e soprattutto tedesco, il sindacato deve confrontarsi con gli altri sindacati europei ma anche prepararsi a trattare con i governi che effettivamente decidono.
Gli undici incontri toccheranno le fasi cruciali della storia italiana postunitaria, le prime organizzazioni sindacali dell’’800 (è il tema del prossimo incontro il 29 settembre), la Grande Guerra, il biennio rosso, il fascismo, la resistenza, gli anni sessanta, la conflittualità degli anni settanta, le sconfitte degli anni 80, le trasformazioni degli anni 90.
Il ciclo si chiuderà il 16 dicembre con l’incontro “Crisi, trasformazioni sociali e lavoro. Quale sindacato per il XXI secolo?” a cui interverrà la segretaria generale della CGIL Susanna Camusso.