Da quando Tycho Brahe, nel 1572, ha osservato una “stella nova” estremamente luminosa comparire nella costellazione di Cassiopea sappiamo che il cielo ha una storia e che anche le stelle nascono e finiscono, come tutte le cose corruttibili che affollano il nostro mondo sublunare.
Cosa sono le stelle “novae”, le stelle che compaiono all’improvviso e poi spariscono?
La rivista Nature ha pubblicato un articolo su una ricerca che, grazie all’elaborazione di un modello tridimensionale, ci aiuta a comprendere come si sviluppano.
Ne abbiamo parlato con Steven Shore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa, uno degli autori della ricerca, insieme a Jordi Casanova e Jordi José (Politecnico di Barcelona e Institut de Estudis Espacials de Catalunya), Enrique Garcia Berro (Institut de Estudis Espacials de Catalunya) e Alan C. Calder (Stony University di New York).
“Bombe nucleari, le novae sono enormi bombe all’idrogeno” è l’esordio del professor Shore, che comincia a parlare cercando un foglio di carta e una penna su una scrivania in cui riviste, pubblicazioni e quaderni sono impilati in mucchi di diversa altezza e dimensione, “senza disegnare mi spiego male”.
L’esplosione avviene in un sistema binario, cioè in una coppia di stelle che sono molto vicine tra loro. “Molto vicine” ovviamente in termini di distanze stellari: le due stelle orbitano ad una distanza simile a quella tra la terra e la luna (circa 250.000 km).
Tutte e due hanno circa la massa del sole, ma una delle due, chiamata “nana bianca”, è molto piccola, è grande più o meno come la terra ma è un milione di volte più densa ed ha quindi una grande forza di attrazione gravitazionale.
L’altra stella viene distorta da questa forza e cede alla nana bianca una grande quantità di materia che si va accumulando in un disco che circonda quest’ultima. Dal disco poi la materia si scarica sulla superficie a velocità elevatissime (mille o più km al secondo).
La densità della nana bianca è così grande che la materia si comprime in maniera drastica e, se si raggiunge la temperatura critica di alcune centinaia di milioni di gradi, si innesca una reazione nucleare non controllata che fonde i nuclei di idrogeno e carbonio.
Dato che la reazione nucleare si avvia in superficie, niente contiene la materia, che viene espulsa nello spazio ad una velocità pari circa all’1% della velocità della luce. Il materiale caldo che si espande continua ad essere illuminato dalla nana bianca che ora è gonfia e il sistema binario appare come una stella la cui luminosità è aumentata di un milione di volte.
È così che avviene l’esplosione di una nova, la più grande bomba all’idrogeno che c’è in natura: la stella irradia in pochi minuti tanta energia quanta ne ha emesso il sole in tutto il corso della storia umana.
Nell’esplosione si fondono i nuclei di idrogeno ed elio e vengono prodotti elementi più pesanti, come Ossigeno, Azoto, Silicio, fino al Calcio. La presenza di questi elementi nel mezzo interstellare è dovuta in misura rilevante alle novae.
Il processo è molto rapido: in circa 100 secondi si passa da uno stato quieto ad uno esplosivo in cui si consuma il materiale accumulato anche per millenni. Nell’esplosione viene espulsa una massa pari a quella della terra (circa 5.974.200.000.000.000.000.000 tonnellate di materia). Nonostante tutti quegli zeri, non è una grande quantità rispetto alla massa della stella: si tratta infatti di un’esplosione che avviene sulla superficie, il nucleo della stella non fonde, e l’evento può ripetersi.
Proprio questa è la differenza tra novae e supernove: una supernova è una stella che esplode interamente, è un catastrofico collasso del nucleo, come un infarto alla fine della vita di una stella. Novae e supernove sono state distinte soltanto circa un secolo fa e oggi sappiamo che la stella osservata da Tycho era una supernova e non una nova.
Che relazione c’è tra le novae e le supernove?
“È possibile che siano le nove ad originare le supernove, ma per capire come ciò avviene noi dobbiamo avere un quadro più completo dell’esplosione e di quanta massa viene perduta o trattenuta durante ogni evento.”
Noi non possiamo osservare direttamente il momento dell’esplosione, perché è nascosto dal disco che circonda la nana bianca e dallo spesso strato di materia che si è accumulato in precedenza. Però possiamo determinare indirettamente la dinamica dell’esplosione nucleare studiando le scorie sintetizzate durante l’esplosione.
La composizione finale degli elementi nel materiale espulso cambia infatti se la temperatura supera il miliardo di gradi o si mantiene sotto poche centinaia milioni, e ciò alla fine dipende dalla massa della nana bianca.
Così si possono usare i prodotti finali dell’esplosione per “sondare” la nana bianca e anche per determinare il suo destino. Possiamo capire se espelle più massa di quanta ne accumula tra le esplosioni ed è quindi destinata ad avere alla fine una massa bassa e stabile, o se invece si accresce in massa con ogni evento e alla fine arriva a superare il suo limite di stabilità.
Queste stelle infatti , per la loro struttura interna e per l’interazione di pressione e gravità, hanno un limite superiore alla loro massa: non possono superare del 50% quella del Sole.
Se una nana bianca, vicina al limite, continua ad accumulare materia, può venire spinta oltre il suo limite e collassare. L’evento seguente , che si pensa sia una supernova di tipo Ia, è abbastanza luminoso da essere visibile per metà del nostro universo.
Il modello in tre dimensioni elaborato per questa ricerca è riuscito a riprodurre l’esplosione, simulandone l’inizio e il propagarsi, che avviene richiamando materiale anche dalla parte esterna del nucleo della nana bianca.
Per avere un’idea della complessità del fenomeno basta pensare che per simulare in maniera soddisfacente un processo che in natura avviene in circa 300 secondi, sono state necessarie 300.000 ore di calcolo.
L’articolo pubblicato su Nature è un calcolo teorico di ciò che succede nello strato di materia accumulata nell’involucro che copre la nana bianca nei 500 secondi che vanno dall’avvio delle reazioni nucleari fino all’espansione e all’inizio dell’espulsione esplosiva.
Ciò è stato possibile grazie alla combinazione di tecnologia informatiche ( il calcolo necessita grandi macchine che lavorano in parallelo come quelle del CINECA di Bologna e del Centro Marenostrum di Barcellona) e di miglioramenti nella comprensione della struttura.
È la prima volta che un modello comprende un calcolo di idrodinamica nucleare pienamente coerente, capace di includere tutte le turbolenze e le strutture sottili che accompagnano queste esplosioni.
Dal modello risulta che attraverso movimenti caotici, che hanno la forma di dita e vortici, la materia dall’interno della nana bianca si mescola con lo strato esterno che brucia e ciò accelera il propagarsi dell’esplosione incontrollata,
“Oggi, grazie a strumenti di osservazione sempre più potenti e ai nuovi calcolatori”, conclude Shore “abbiamo accumulato una maggior consapevolezza sulla complessità delle strutture delle stelle. Ciò ha portato ad un ripensamento dell’astrofisica. Ci troviamo ad avere tantissimi dati sperimentali che non riusciamo a spiegare, e questo è il paradiso degli astrofisici.
Quando la teoria va più veloce degli esperimenti e non abbiamo osservazioni che ci fanno scegliere una teoria piuttosto che un’altra, ci troviamo in una condizione di pericolo. È un pericolo perché si rischia di sprecare tempo, energie e risorse in direzioni che sono insensate.”
Lo sviluppo e l’utilizzo di modelli tridimensionali potrà avere applicazioni anche in ambiti diversi dall’indagine sulle stelle: uno di questi è sicuramente quello delle previsioni meteorologiche.
Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Unità Toscana
Ansa.it
Repubblica.it
Tirreno.it
LaNazione.it
InToscana.it
Pisanotizie