Patrocinata dal Comuni di Pisa e di Calci, organizzata e ospitata dall'Università di Pisa nella sede espositiva del Museo di Storia Naturale di Calci, sabato 8 novembre è stata inaugurata la mostra "Il doppio sguardo. La frammentazione del cosciente", di Mauro e Michele da Caprile, rispettivamente pittore e fotografo, padre e figlio.
Pubblichiamo di seguito l'introduzione alla mostra, che resterà aperta fino al 10 dicembre, scritta dall'architetto e docente esterno dell'Ateneo, Andrea Bulleri, sul tema "Riflessione sull'urbanesimo contemporaneo".
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La mostra "Il doppio sguardo. La frammentazione del cosciente" propone due visioni (anche generazionali) a confronto sul tema della identificazione e riconoscibilità urbana. Pitture e rielaborazioni digitali propongono una consolatoria rappresentazione oggettiva dei luoghi profondamente simbolica: materializzando scenari metafisici intrisi di una malinconia dolente, in cui il senso di perdita e straniamento è definitivo. Gli edifici e le pareti divengono teatro allegorico, sono distorti nell'impasto cromatico dei pixel: l'umanità è assente e quando si manifesta assume sembianze oniriche o le fattezze artificiali di una bambola. La nostra coscienza frammentata nega ogni possibile radicamento. I luoghi mantengono un loro innegabile carattere, senza la presenza dei loro artefici. Il fascino generato dal loro degrado conduce ad una dimensione naturale pronta a riprendere il sopravvento: permane una speranza, mista a disincanto, verso un'ineludibile dimensione ciclica che rimanda ad Hesse.
Negli scatti fotografici proposti il distacco emotivo si dissolve in istantanee che esplorano un paesaggio urbano trascurato, senza progetto, senza prospettive: ormai precluso appare ogni possibile riavvicinamento con la natura. La presenza dell'uomo è costante discreta e problematica: anima spazi privi di ogni connotazione qualificativa.
Mauro (1935) e Michele (1970) da Caprile, padre e figlio, pittore e fotografo, definiscono due diverse dimensioni esistenziali, due differenti prospettive che discendono dalla medesima consapevolezza dell'irrimediabile frammentazione di ogni codice storico identificativo. La città generica cresce quando la città storica si irrigidisce, cristallizzandosi nella sua immagine stereotipata. L'immagine è consumata così come lo era lo spazio. Si assiste alla messa in scena della città e dell'immaginario della città stessa (Las Vegas), alla celebrazione rituale del suo doppio parodistico ed iperbolico. Ormai consumato appare il passaggio da "funzione" a "finzione". La città sembra adagiarsi sempre più su una rete infrastrutturale di comunicazione e trasporti allargata ed estesa. Il "passeggero", caratterizzato solo dalla sua destinazione, prevale sul "visitatore", che ancora ha la possibilità di definire un percorso. Il "visitatore" sembra aver preso il posto del "civis". La codificazione omologante di un sistema di informazioni, necessarie per garantire l'orientamento, ha sostituito il linguaggio. La "segnaletica" ha svuotato di senso i "segni".
Andrea Bulleri
docente esterno di Composizione Architettonica