La svista è la quarta raccolta di Elena Salibra, uscita dopo Il martirio di ortigia (Lecce, Manni, 2010), Sulla via di Genoard (Lecce, Manni, 2007), Vers.es (Reggio Emilia, Diabasis, 2004). Il libro è composto da tredici poemetti che presentano una loro uniformità tipologica e si configurano come i capitoli di una storia tutta orientata al presente.
La svista: l'errore 'lieve' di un medico che sbaglia diagnosi e, al tempo stesso, la fine di una felice distrazione; il ritrovarsi improvvisamente costretti a fissare lo sguardo dove non si vorrebbe; la malattia [...] è tema centrale di questo intenso libro, che costringe il lettore a smontarsi come il pellegrino di Magritte (cfr. la copertina) e a riflettere sulla disattenzione universale: la vita, nascosta dalle due consonanti (svista), è abbaglio e sbaglio che scuote l'io con inaspettati mutamenti di scena.
La raccolta si apre con Ballando Diego, un attacco sognante, passionale e malinconico: il ballerino di flamenco è un dio pagano; nel suo invito, alla sensualità profana della danza si intrecciano allusioni bibliche al Cantico dei cantici e riferimenti all'Inferno di Dante ("e tu... come sei bella. vieni con me/ nell'altra sponda. asseconda il ritmo/ d'una fantasia oppure labbra accese/ concedimi...").
'Fitta in questo limo', la poetessa riscopre il coraggio del quotidiano e medita su altri abbagli, altre sviste, come quella, apparentemente innocua, del giardiniere in altre erbe (p. 9): un'erba 'più buona' che non impiglia le radici, che non cresce tra le fessure del corpo, si avviluppa allo steccato ed impedisce la vista del mare; ma esiste qualcosa di veramente incolpevole? "c'era anche la siepe del vicino// troppo alta per vedere la mia vita/ doppiarsi nella sua.[...]": tutto ciò che è umano appare, in realtà, colpevole o comunque mai del tutto innocente; il dottore, il giardiniere, la poetessa a cui è preclusa la vista del mare sono frammenti di un mondo ambiguo e segnato dalla dismisura; riappropriarsi di quanto era familiare è possibile soltanto a prezzo di uno sforzo sovraumano, indossando una corazza, cambiando pelle (cfr. Il verdetto).
La svista è un libro di sguardi, di continui mutamenti di prospettiva: stanze, finestre, balconi, terrazze sul mare; piazze e porti; in un labirinto di interni ed esterni, l'io si perde, torna indietro, riparte dall'inizio; pallina inconsapevole sbatte contro il birillo del proprio destino (cfr. La svista, p. 29).
L'ironia non impedisce visioni di acceso lirismo; come quando la poetessa, nel giro di pochi versi, dà un'immagine folgorante della vita (e della morte): spiaggia, gelsi, meduse, pesci che boccheggiano sul fondo di una barca; sabbia, pomice, bianco sulla roccia che diviene grigio; il porto, la piazza, gli sposi, le meduse alla deriva; un tutto fragile, confuso, bellissimo, che rivela all'io la consapevolezza di "non voler morire nemmeno un poco" (Il secondo lavoro, p. 15).
La raccolta si chiude con I campi elisi: non discesa agli inferi, ma ascesa attraverso un sentiero di pietre; non più la pallina impazzita che sbatte contro un imprevedibile birillo, ma la tenace scalatrice che ride al crocevia e si volta ad aspettare il compagno che arranca dietro di lei (cfr. Explicit).
(Silvia Morotti)
Elena Salibra
La svista
Postfazione di Marco Santagata
Catania, A§B editrice, 2011
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