Fabio Dei insegna Antropologia culturale al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e si occupa prevalentemente di epistemologia delle scienze sociali e di temi della cultura popolare e di massa nell’Italia contemporanea. Insieme a Pietro Meloni, professore di Antropologia dei media all’Università di Milano Bicocca, ha appena pubblicato il volume “Antropologia della cultura materiale” (Carocci, 2015) che qui presenta con una breve introduzione.
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Nella tradizione dell’antropologia e delle scienze sociali vi sono due modi di studiare la cultura. Uno consiste nella osservazione (per quanto possibile “partecipante”) del comportamento sociale, delle azioni e dei discorsi delle persone, delle istituzioni che le regolano. L’altro è l’analisi degli oggetti nei quali gli aspetti immateriali della cultura (i suoi valori, saperi, codici, strutture) sono incorporati e assumono forma visibile e durevole. Questa è appunto la “cultura materiale”.
Gli studi in questo campo si sono concentrati nel corso del Novecento sugli oggetti unici e autentici caratteristici delle culture “primitive”, esotiche e popolari: ad esempio i prodotti dell’arte e dell’artigianato nativo, gli attrezzi del lavoro contadino tradizionale, e tutte le altre cose costruite manualmente per mezzo di saperi tramandati di generazione in generazione. Oggetti di questo tipo hanno riempito i musei etnografici e hanno spesso affascinato le stesse avanguardie artistiche e scientifiche dell’Occidente (si pensi all’importanza delle maschere africane per Picasso o a quella dei feticci per Freud). Al contrario, l’antropologia ha dedicato scarso interesse agli oggetti che popolano la vita quotidiana nei contesti sociali moderni: cose prodotte in modo industriale e seriale, scambiate come merci e “alienate” rispetto alla competenza tecnica delle persone che le usano. Cose che esprimerebbero più la deculturazione imposta dal consumismo che non una autentica cultura umana.
Questo libro propone una prospettiva diversa. Suggerisce che per capire la nostra cultura, nel senso antropologico del termine, occorra studiare in primo luogo il nostro rapporto con gli oggetti che costituiscono i mondi della vita quotidiana. Ciò significa in primo luogo ripensare il concetto stesso di consumo. I consumatori non sono soltanto soggetti passivi e alienati: piuttosto, usano il flusso delle merci per costruire attivamente le proprie identità sociali, i propri mondi di significato. Apparentemente intercambiabili, le merci attraversano in realtà processi di “singolarizzazione” e “densificazione” quando entrano in rapporto con i soggetti umani. Non è solo il modo in cui sono prodotte che ne determina il significato, ma anche e soprattutto le pratiche al cui interno vengono usate.
Il libro discute le principali ricerche e teorie che supportano questo studio ad ampio raggio della cultura materiale nella società contemporanea. Mostra che gli oggetti hanno una loro “carriera” o ciclo di vita, attraversano diversi “regimi di valore”, costituiscono “dispositivi socio-tecnici”, giocano un proprio ruolo di agenti sociali attivi. È un percorso difficile per l’antropologia culturale, troppo legata alla classica svalutazione del moderno-inautentico a favore del tradizionale-autentico. Ma anche un percorso necessario per una disciplina che aspira a cogliere la grana profonda e sottile della cultura, che si nasconde oggi nel nostro complesso rapporto quotidiano con l’universo delle merci e del consumo di massa.
Fabio Dei