Sul mito di Marilyn Monroe, il sex symbol femminile per antonomasia, tanto bella quanto dannata e perciò degna dell’Olimpo delle star finite tragicamente, si sono prodotti documentari e spettacoli, scritti fiumi di inchiostro fra biografie e diagnosi psichiatriche. E ne è emerso sempre il quadro di una creatura magnifica ma vittima della sua estrema fragilità, una donna psicopatologicamente segnata, dal corredo genetico e dalla vita. I suoi psicoanalisti – perché non esistono lettere di dimissione dai suoi numerosi ricoveri psichiatrici - l’hanno definita un soggetto ‘borderline’ per indicare la complessità della diagnosi in un paziente difficile affetto contemporaneamente da disturbo bipolare, d’ansia, post-traumatico da stress, ossessivo-compulsivo, dipendente da farmaci, alcool e sesso. In pratica Marilyn possedeva, se non tutte, buona parte delle patologie contemplate nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
A questa lettura disordinata della sua parabola infelice si oppongono due psichiatri della scuola pisana, la professoressa Liliana Dell’Osso, ordinario di Psichiatria nonché direttore della Clinica psichiatrica dell’Università di Pisa e Riccardo Dalle Luche, psichiatra, psicoterapeuta ed esperto di cinema, nel saggio “L’Altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un cold case” (Le lettere editore, 292 pagine, 21 euro). L’idea del libro nasce da un’intuizione originale, partorita nel corso dell’VIII campus degli specializzandi delle scuole di psichiatria italiane organizzato dalla docente a Roma nel dicembre 2013 e incentrato sulle figure di Lady Diana, Kurt Cobain e Marilyn Monroe, tutti e tre morti prematuramente e tragicamente.
In particolare Marilyn è stata scelta come case study per capire come sia stato possibile che una persona così malata, con una ereditarietà psichiatrica pesantissima nella linea materna (la madre e la nonna morte in manicomio, il bisnonno suicida) possa essere diventata al contempo un mito immortale. La risposta che si sono dati gli studiosi pisani, l’una basandosi sulla psichiatria clinico-biologica, l’altro sulla psicoterapia fenomenologico-dinamica, dopo un lavoro documentale poderoso e una raccolta quasi maniacale di tutti gli scritti sulla diva, compresi i Fragments (frasi di suo pugno), è che Marilyn fosse affetta da uno spettro autistico sottosoglia, ossia da un substrato di fondo, che teneva insieme tutti i disturbi manifestatisi negli anni, che l’avesse aiutata a costruire la sua maschera. E che poi inevitabilmente questo pesantissimo fardello psicopatologico sia esploso nella malattia conclamata in una deflagrazione a catena.
A sostegno della diagnosi di autismo subclinico ci sarebbero numerosi indizi quali la gravissima ansia sociale (Marilyn ambiva a diventare una vera attrice ma non si sentiva all’altezza del ruolo), la ruminatività (i cosiddetti ‘chiodi fissi’), il perfezionismo ossessivo (nella cura dell’aspetto fisico; bocciava tutte le sue fotografie, compresa quella della copertina del libro, vergata da una implacabile X), l’insonnia (abusava di barbiturici senza riuscire a trarne beneficio), le peculiarità linguistiche, le pose e i manierismi e i disturbi dell’empatia e del rapporto.
Nel libro le diverse diagnosi fatte negli anni su Marilyn vengono definite come “un arcipelago in cui le isole, le terre emerse, sono collegate sotto la superficie dell’acqua (cioè sotto la soglia diagnostica), in un continuum meno strutturato e quindi meno differenziabile (...) Il modello di spettro considera infatti la soglia diagnostica un concetto arbitrario e in questo modo relativizza il confine tra normalità e patologia e ricollega le manifestazioni cliniche con quelle sub-cliniche (sommerse) che precorrono spesso di anni o seguono la fase conclamata di malattia. In questa visione il disturbo psichico attraversa l’intero arco dell’esistenza (...)”. Insomma, secondo Dell’Osso e Dalle Luche, Marilyn nei primi anni ha beneficiato di questa sua condizione psicopatologica (autismo sottosoglia), godendone dei riflessi positivi sulla capacità di costruire il personaggio-diva che voleva diventare, aiutata ovviamente dalla sua prorompente fisicità. La patologia però scavava in profondità e presto le avrebbe chiesto il conto. Marilyn giunge infatti alla fase discendente della sua breve parabola (i tremendi anni ’60) in una situazione ‘ingravescente’ appesantita da terapie farmacologiche inefficaci, con alle spalle i fallimenti sentimentali e professionali (desiderata da tutti ma da tutti abbandonata, incapace di procreare per i troppi aborti, allontanata anche dai Kennedy, inaffidabile sul lavoro tanto da essere licenziata dalla Fox). A questo punto, che sia morta per mano della mafia americana (per mettere a tacere i suoi presunti ricatti, è una delle teorie) o per abuso di barbiturici o per volontà di farla finita, non è importante. Marilyn è morta comunque per le conseguenze della sua gravissima psicopatologia, ossia un disturbo di spettro autistico dell’adulto. Le argomentazioni degli autori a sostegno della tesi sono un vero e proprio compendio della psichiatria e psicoterapia di oggi, non mancando critiche verso certe modalità di esercitare questo lavoro oggi, il tutto descritto con un linguaggio godibile e accessibile a tutti, riservando le sezioni più specialistiche alle note, per gli approfondimenti degli addetti ai lavori e un album fotografico che la raffigura in tutte le fasi della sua maledetta e meravigliosa esistenza. (edm, ufficio stampa Aoup)
L’Altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un cold case
La diva di Hollywood al centro dell'ultimo libro di Liliana Dell’Osso e Riccardo Dalle Luche
-
11 aprile 2016