Ben nota è la diversità della forma urbana di Pisa dall’odierna nel corso della storia più antica, prima cioè che si fissasse quella fisionomia di città sul fiume così caratteristica da connotarne indelebilmente l’identità, con l'Arno che la divide – è vero – nelle due grandi ripartizioni di Mezzogiorno e Tramontana, contrapposte in occasione del Gioco del Ponte, ma per il resto unisce intimamente le due sponde con il grande anello dei Lungarni e i suoi ponti. La Pisa etrusca invece e la Pisa romana, come la Pisa altomedievale, non si sviluppavano sulle due rive: si affacciavano sì sull'Arno, che ne costituiva il confine, il limite meridionale, ma anche sull'Auser, il fiume proveniente dalla Lucchesia che, attraverso la stretta di Ripafratta, si dirigeva verso Pisa per lambirne il lato settentrionale. Erano, insomma, città tra due fiumi.
È all’indomani dell’anno Mille che il baricentro dell’insediamento si spostò decisamente verso l’Arno e, mentre sulla riva sinistra decollava lo sviluppo dell’abitato intorno a S. Cristina, elemento generatore del futuro quartiere di Chinzica, si affermò il 'primato' dell’Arno. Da allora l'Arno è divenuto una presenza costante per i Pisani, ed elemento di riferimento insostituibile della vita quotidiana è il rimando spaziale al 'di qua d'Arno' e al 'di là d'Arno'; e all'Arno sono legate le principali manifestazioni di festa cittadine, a cominciare dalla Luminaria in onore del patrono S. Ranieri, ma anche le grandi paure collettive, come quando si fa sentire la minaccia del fiume in piena. All’Arno, infine, è affidato lo sviluppo futuro della vocazione turistica di Pisa con il grande progetto dell’asse museale dei Lungarni, perseguito dall’Amministrazione comunale in questi ultimi anni. E in questi giorni l’Arno è ancora una volta protagonista, ospitando la 50a edizione della Regata Universitaria Pisa-Pavia.
Principale direttrice di collegamento fluviale con l’entroterra, l’Arno rappresentava lo sbocco al mare della città; e nel suo tratto urbano, sino alla foce, non dovette tardare a trasformarsi in una sorta di percorso trionfale ove si celebrarono i successi riportati sui Musulmani nella difesa delle coste del Tirreno e del Mediterraneo occidentale.
Ciò accadde in occasione della vittoriosa spedizione dei Pisani contro i Saraceni delle Baleari nel 1113-1115. Se il Liber Maiorichinus – il poema in cui un testimone oculare, prete Enrico canonico della cattedrale pisana e pievano di Calci, restituì in esametri dattilici d’ispirazione virgiliana il racconto veritiero dei fatti – racconta i preparativi per allestire la grande flotta che avrebbe preso il mare il 6 agosto 1113, ai versi di un’epigrafe fu affidato il compito di celebrare il ritorno trionfale degli eroi di Maiorca, reduci da due lunghi anni d’assedio. A fissare per sempre la memoria della grande impresa compiuta fu la Porta Aurea, affacciata sull’Arno nel lato meridionale della cinta urbana precomunale, che immetteva nel cuore della civitas quanti provenivano dal mare. La testimonianza è racchiusa nei distici dell’iscrizione apposta sopra la porta (e oggi murata sulla facciata della chiesa di S. Maria dei Galletti), vero e proprio arco di trionfo per i vincitori che risalendo il fiume facevano ritorno in patria, che si presentava così, quasi rivolgendosi ad un ipotetico passante in procinto di varcarla: «Questa porta è chiamata Aura perché ne è riservato l’accesso ai cittadini che si sono distinti: così vuole l’onore dovuto alle nobili imprese», per proseguire poi definendo Pisa «onore dell’Impero» a motivo della missione svolta – al pari dell’antica Roma – per imporre ai malvagi il rispetto delle regole della convivenza tra i popoli.
Possiamo solo immaginare i cittadini accorsi sulle sponde del fiume per accogliere le galee parate a festa, che riportavano in patria i vincitori, mentre i caduti erano stati seppelliti nel monastero di S. Vittore di Marsiglia «affinché il lutto non turbasse la gioia [ne turbet gaudia luctus]», come recitano i versi scolpiti che ancora si conservano laggiù.
C’è però un altro episodio che, più esplicitamente, mostra questa folla festante assieparsi lungo l’Arno per assistere ad una sorta di parata. È la partenza dell’arcivescovo Federico Visconti per la visita pastorale in Sardegna, effettuata nella Settimana Santa del 1263 con l’intento di ribadire i diritti di primazia e legazia della Chiesa pisana sull’isola, restituita dal puntuale resoconto del viaggio. La delicatezza della missione dà ragione del grande impegno del Comune nei preparativi per la partenza, con l’allestimento di una galea che recava le insegne rosse della città, oltre alla mitra e al pastorale, e armata con cento uomini reclutati tra Piombino, Vada e Livorno. Un folto e qualificato seguito accompagnava il presule: quindici chierici (tra i quali due canonici, i titolari di alcune tra le più importanti chiese della città e del territorio, tre cantores) e trentacinque laici, personaggi d’alto rango ivi inclusi due ambasciatori del Comune di Pisa. E il racconto della partenza offre un’idea precisa dell’innesto tra navigazione fluviale e marittima, che avveniva a valle della città. Il viaggio prese avvio il 23 marzo, Venerdì delle Palme, «circa mactutinum» da S. Pietro in Vincoli, la chiesa in posizione centrale nell’arco del lungarno ove Federico risiedeva [dia 8]. Con lui, su imbarcazioni utilizzate per la navigazione interna («barcas»), salpò una parte del seguito, dirigendosi a S. Rossore dove fu celebrata una messa «pro navigantibus christianis». Qui li aspettava la galea dell’arcivescovo pronta a prendere il largo: ad accompagnarla lungo le rive, «usque ad litus maris», un corteo di canonici, prelati e chierici e molti altri laici a cavallo che la seguivano con lacrime e singhiozzi.
Un’ultima testimonianza medievale che pone l’Arno al centro di festeggiamenti cittadini è offerta dalla cronaca anonima, scritta in volgare pisano e databile ai primissimi anni del XV secolo, recentemente pubblicata da Cecilia Iannella. Nell’inverno del 1355, mentre alla vigilia dell’incoronazione imperiale [5 aprile] Carlo di Boemia soggiornava a Pisa, si registrò un evento assolutamente non comune: «E del mese di giennaio a la ’ntrata ghiacciò Arno tutto che lle persone v’andavano suso chome per le vie e per tutto, e févisi suso li fuochi, e giocovisi a le braccia e a massaschudo [...]. E ognuno diciea: “Questo tenpo non è senssa grande chagione, questa è cosa fatturata divina ed è fuor di natura”, parea a ognuno fusse uno grande segno che llo ditto inperadore dovessi fare ogni bene» [Iannella, pp. 159-160], quasi a dire che a Pisa stava riaffiorando, inattesa e singolare, l’antica concezione del ‘re taumaturgo’, la cui venuta era annunciata da fenomeni atmosferici eccezionali [Pailer, pp. 10-11, 38-39].
Gabriella Garzella
docente di Storia medievale