Nell'ambito del convegno dal titolo "Quale volontariato?", che si è svolto lunedì 28 maggio nell'Aula Magna Storica della Sapienza, è stato presentato il numero monografico della rivista "Sociologia e ricerca sociale", edita da Franco Angeli, dedicato a "Forme e dinamiche del volontariato in Italia". Curato da docenti, giovani ricercatori e dottorandi dell'Università di Pisa, il volume mira a ricostruire i caratteri essenziali che il volontariato ha assunto nella realtà sociale del nostro Paese, approfondendo soprattutto le dinamiche di trasformazione che lo stanno attraversando e che implicano una riflessione sulla natura, sull'identità e sugli orizzonti del fenomeno.
Pubblichiamo di seguito un estratto del saggio finale del professor Andrea Salvini su "Paradossi e direzioni verso il futuro. Per un volontariato aperto e reticolare".
Il volontariato costituisce un fenomeno particolarmente diffuso e consolidato nel nostro Paese sia pur con intensità diverse; esso gode di particolare apprezzamento e consenso per le attività che svolge, per i risultati che raggiunge e per i generali riferimenti etico-valoriali che ne sono a fondamento. Ma, allo stesso tempo, esso presenta una serie di paradossi e di ambivalenze, che ne segnalano la situazione di difficoltà nell'immaginare il proprio sviluppo, una sorta di crisi di identità che in questi ultimi anni ha costituito un fattore di preoccupazione per gli operatori e molti studiosi...
Le trasformazioni legislative, organizzative e culturali che hanno coinvolto il fenomeno negli ultimi anni, hanno di fatto modificato la vecchia immagine di un volontariato genericamente supplementare (e finanche oppositivo) rispetto alle istituzioni pubbliche (a suo tempo segnalata dall'espressione "il volontariato opera laddove lo stato e il mercato non arrivano"). Oggi le organizzazioni di volontariato, o almeno gran parte di esse, realizzano intensi rapporti di collaborazione con gli enti locali, senza il cui apporto molte delle attività e dei progetti che vengono realizzati non potrebbero nemmeno essere immaginati. Si tratta di una collaborazione reciprocamente vantaggiosa, dato che il volontariato costituisce una risorsa formidabile per la tenuta del sistema di Welfare, ma anche come "scuola" di partecipazione e, ovviamente, bacino di consenso. Tuttavia questa collaborazione – come ogni processo complesso in ambito politico-sociale – produce effetti non sempre desiderati, sebbene non necessariamente perversi. Dal punto di vista del volontariato, le dinamiche degli ultimi anni segnalano un incremento della dipendenza delle fonti di finanziamento dal settore pubblico, in corrispondenza di una più consistente presenza in termini sia di progettazione che di erogazione dei servizi negli ambiti socio-sanitari. Va ricordato che queste dinamiche costituiscono un tratto essenziale, comunque lo si valuti, delle scelte di politica socio-sanitaria adottata dagli enti locali da alcuni decenni. Le conseguenze di queste dinamiche sono state, almeno in passato, una maggiore capacità delle politiche e degli interventi di far fronte alla diffusione dei bisogni sul territorio, stante la capacità del volontariato di partecipare da vicino alla vita delle persone e alle loro sofferenze, in modo capillare e sostanziale, contribuendo alla riduzione delle derive individualistiche che si stanno pericolosamente radicando nel nostro Paese. Tuttavia queste dinamiche hanno contestualmente comportato un incremento dei livelli di professionalità per i volontari coinvolti in attività non più soltanto di "welfare leggero" (come ad esempio accompagnare i malati all'ospedale, il sostegno affettivo-psicologico alle persone, ecc...). Oggi il volontariato è impegnato in iniziative che hanno a che fare con il fronteggiamento della povertà delle famiglie, dei minori, della popolazione anziana, l'inclusione sociale degli emarginati, il supporto ai malati terminali o ad una grande quantità di patologie sanitarie complesse, la donazione del sangue e degli organi, la lotta contro l'usura, la promozione dei diritti degli immigrati e della loro integrazione sociale, la cooperazione internazionale, la tutela dei beni culturali ed ambientali, la difesa dei diritti di cittadinanza, e molte altre ancora potrebbero essere elencate. Si tratta di attività che richiedono continuità, dedizione, ma anche preparazione, adeguamento ai criteri di qualità – per il rispetto dovuto ai "terzi beneficiari" e alla loro dignità. Questo ha prodotto, nel tempo, un paradosso singolare: il volontariato non può più fondarsi su elementi di tipo meramente "volontaristico", ed esige organizzazione, progettazione, e finanche professionalizzazione e burocratizzazione – in qualche misura, si assiste all'alienazione del volontariato da se stesso. In questo senso, peraltro, il volontariato italiano si sta avvicinando sempre di più alle caratteristiche del volontariato europeo. La produzione di questa "sfera pubblica allargata" (Wagner, 2000) ha anche aumentato la dipendenza di una parte considerevole del volontariato dalle risorse pubbliche, vicenda che rischia oggi di tramutarsi in un terribile boomerang stante la situazione di crisi economica e di tagli alla spesa sociale, sanitaria, culturale e ambientale. Eccoci, dunque di fronte ad un altro paradosso: la crisi economica attuale non solo produce l'aumento dei bisogni materiali delle persone e delle famiglie, specie di quelle più deboli, ma nel contempo riduce la capacità non soltanto istituzionale, ma anche quella del terzo settore, cioè della solidarietà organizzata, di farvi fronte. Non soltanto perché si riducono i fondi a disposizione per le politiche, ma anche perché i volontari – persone come tutte le altre – sono e saranno sempre più impegnati a fronteggiare gli effetti della crisi nelle dimensioni della loro vita quotidiana riducendo, loro malgrado, il tempo a disposizione per gli altri. Dobbiamo dunque riconoscere che è sempre più difficile essere volontari e "fare" volontariato, per quanto le statistiche non segnalino, almeno fino ad ora, un arretramento complessivo del numero dei volontari nel nostro Paese. Nel contempo, il "terzo settore" diviene sempre meno "tertium" mentre il volontariato, al suo interno, costituisce un anima relativamente discontinua rispetto all'impresa sociale e alla cooperazione.
Ma c'è un altro paradosso, di cui parlare. Il volontariato costituisce oggi, come si diceva, una risorsa formidabile per il territorio, non soltanto e non tanto per i servizi che eroga o le attività che svolge, ma prima di tutto per la sua capacità di stare accanto alle persone e di testimoniare solidarietà reale e direttamente vissuta nelle interazioni sociali. Tuttavia il volontariato rappresenta anche un soggetto frammentato e differenziato in una miriade di associazioni – soprattutto piccole e medie – spesso impegnate a perseguire i propri specifici obiettivi organizzativi (o a sopravvivere!), in questo manifestando una scarsa propensione alla collaborazione e al coordinamento delle attività, salvo eccezioni. Paradossalmente, dunque, il volontariato non costituisce (e non si percepisce come) un soggetto collettivo non voglio dire "unitario", ma almeno in grado di generare un pensiero sociale condiviso; esso si presenta come un universo individualizzato e "separato" al suo interno; e, come si sa, un soggetto sociale e politico frammentato è anche un soggetto debole e vulnerabile – come dimostra la situazione attuale di difficoltà...
...la funzione fondamentale del volontariato non potrà non essere quella di operare per il graduale ampliamento della sfera della cittadinanza, per il raggiungimento di livelli sempre più elevati di coesione sociale e di giustizia sociale specie in un quadro di estesi particolarismi ed egoismi.
Sono due, dunque, a mio parere, i punti su cui il volontariato dovrà recuperare prima di tutto il suo protagonismo: il primo ha a che fare con il recupero dei margini di autonomia e di capacità critica rispetto alla sfera politico-istituzionale, con la quale dovrà instaurarsi un rapporto dialettico di confronto e di eventuale compartecipazione alla realizzazione delle politiche locali soltanto quando esse non siano il prodotto di una delega "istituzionale" che genera deresponsabilizzazione per l'ente di governo ed un carico non sostenibile per il volontariato. Il recupero di tale autonomia di lavoro è prima di tutto recupero di capacità di pensiero, di cultura e di testimonianza sociale, anche a costo di rinunciare a compiere qualche servizio in più...
Il secondo punto riguarda il fatto che l'autonomia e la partecipazione alla network governance allargata non può realizzarsi senza aumentare il livello di confronto, di condivisione e di produzione di pensiero dentro il volontariato, in modo che si riducano i livelli di frammentazione interna. Questo implica, di fatto, operare in direzione della diffusione di una cultura di rete come derivata in linea diretta della cultura della solidarietà che informa l'azione delle OdV verso la società allargata. La cultura di rete è intesa qui come una forma di apprendimento di tipo inter-organizzativo esteso a livello di rete, dove cioè il soggetto che apprende è costituito dalla rete stessa (di OdV), e dove gli outcomes sono costituiti dai cambiamenti che si verificano nel tempo nelle proprietà della rete di governance e nelle caratteristiche delle organizzazioni-nodi della rete (White, 2008; Prell, 2006). Infatti, la cooperazione inter-organizzativa non rappresenta un modo per creare nuove forme e nuovi soggetti organizzativi, ma per rivisitare ed eventualmente ristrutturare le forme organizzative dei nodi membri della rete alla luce delle stesse connessioni con altri soggetti.
Quanto più le organizzazioni di volontariato cominceranno a parlarsi, a confrontarsi, a lavorare insieme, a condividere idee e risorse, come si dice oggi "a mettersi in rete", e a superare la presunzione di "potercela fare da soli", tanto più la solidarietà che testimonieranno sarà efficace ed in grado di contrapporsi non soltanto alle derive individualistiche della società, ma anche alla burocratizzazione e alla economicizzazione della propria presenza sociale.
Andrea Salvini
docente di Sociologia del terzo settore