Matematici da tutto il mondo si ritroveranno a Pisa per discutere del lascito intellettuale e scientifico di Ennio De Giorgi uno dei più grandi matematici del Novecento scomparso 20 anni fa. ”A Mathematical tribute to Ennio De Giorgi” è il titolo del convegno organizzato da Luigi Ambrosio (Scuola Normale Superiore) Gianni Dal Maso (SISSA, Trieste), Marco Forti (Università di Pisa), Antonio Leaci (Università del Salento) e Sergio Spagnolo (Università di Pisa) per il Centro di Ricerca Matematica De Giorgi. I lavori si svolgeranno al Palazzo Congressi da lunedì 19 fino a venerdì 23 settembre.
Nato a Lecce nel 1928, laureatosi in matematica a Roma, dopo un breve soggiorno a Messina, nel 1959 De Giorgi fu chiamato alla Scuola Normale, dove rimase fino alla sua morte, avvenuta il 25 ottobre 1996. De Giorgi ha lasciato una traccia profonda sulla matematica del suo tempo ed in particolare è conosciuto per aver risolto uno dei problemi formulati da Hilbert agli inizi del Novecento al quale si erano dedicati per oltre mezzo secolo numerosi studiosi (fra cui anche il futuro Nobel per l'economia John Nash che lo risolse in modo indipendente e con altro metodo).
In onore del grande matematico pubblichiamo di seguito un ricordo del suo allievo e professore dell'Università di Pisa Sergio Spagnolo. Il testo fa parte di un articolo apparso su "Lettera Matematica", Springer, marzo 2016.
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Un ricordo degli anni ’60
La sua venuta a Pisa alla fine del 1959 era stato preceduta dalla fama del prestigiosissimo Teorema di De Giorgi - Nash (1957). Noi studenti non vedevamo l’ora che ce ne parlasse ma rimanemmo presto delusi: Ennio era già totalmente proteso verso nuove ricerche.
Anche le sue lezioni ci apparivano all’inizio un po’ deludenti. Non se le preparava, né si basava su libri od appunti (cosa che ha continuato a fare anche in seguito per tutti i suoi seminari) limitandosi a pensarle durante il tragitto dal palazzo del Timpano a piazza dei Cavalieri e a rifinirle nei momenti in cui, senza fretta, cancellava la lavagna. Ma attraverso quelle lezioni, al tempo stesso informali e rigorose, dove non erano infrequenti delle sviste che ci autorizzavano a guardarlo con una certa indulgente complicità, Ennio era capace di infondere la passione per la ricerca.
La Normale di quegli anni era molto diversa da quella attuale. Pur rappresentando un polo di attrazione per giovani di ogni regione, assomigliava più a un collegio che a un “centro d’eccellenza”. Gli studenti e i perfezionandi erano un centinaio; le ragazze abitavano al Timpano mentre i ragazzi erano alloggiati nel palazzo della Carovana dove trovavano posto anche la biblioteca, la mensa e gli uffici amministrativi, oltre agli studi e alcune camere dei professori.
All’inizio De Giorgi alloggiava alla Carovana, in una camera-studio del terzo piano affacciata su piazza dei Cavalieri; pochi anno dopo si trasferì al Timpano. Gli piaceva enormemente intrattenersi con noi studenti, nel suo studio, al tavolo di un ristorante o per le vie di Pisa, disquisendo fino a notte inoltrata su qualunque argomento.
Ci appariva un po’ strambo, con i suoi tic e quella buffa cadenza verbale, ma lo avevamo in grande simpatia. Più che un genio della matematica era per noi un piacevole compagno di gite sulle Apuane, una fonte inesauribile di ragionamenti logici e di congetture storiche.
Nel giro di pochi anni aveva raccolto intorno a sé un folto gruppo di allievi. Il suo studio in Normale era il continuo approdo di studenti, ma anche di illustri studiosi italiani, francesi o americani. Questi riversavano sulla lavagna i loro problemi mentre Ennio, seduto nella sua poltrona di cuoio con l’immancabile sigaretta in bocca, li stava ad ascoltare con un’aria che sembrava più distratta che assorta. A un certo punto si alzava di scatto, si portava alla lavagna, la cancellava minuziosamente e iniziava a riempirla delle sue ampie formule.
Era a disposizione di tutti senza distinzioni, prestando la stessa attenzione allo studente del primo anno e al matematico affermato, sempre felice di enunciare le sue congetture e le sue teorie ma anche di cogliere dagli altri qualche spunto o qualche informazione bibliografica.
Il suo studio traboccava letteralmente di carte: corrispondenza spesso mai aperta e lavori matematici che gli arrivavano quotidianamente da ogni parte del mondo. Quando le pile di carte diventavano troppo alte, qualche volonterosa segretaria prendeva l’iniziativa di trasferirle in un ripostiglio, l’anticamera del macero. Fedele al falso aforisma Scripta volant, verba manent, Ennio non consultava quasi mai libri o articoli di matematica, limitandosi a recepire le poche informazioni essenziali dalla viva voce dei suoi interlocutori. Sembrava quasi che nell’affrontare un problema egli preferisse non conoscere il confine fra le cose già note e quelle da scoprire per non porre limiti alla sua libertà di ricerca. Il ritrovare un bel teorema, anche se poi risultava già noto, rappresentava per lui una scoperta importante.
Un’altra caratteristica di Ennio De Giorgi era la sua modestia (dote rara nel mondo accademico) e il disinteresse ad inseguire nuovi traguardi scientifici per accrescere il proprio prestigio personale. Il suo atteggiamento verso la ricerca lo avvicina a Pascal, il filosofo da lui amato, che scriveva: Nous ne cherchons jamais les choses, mais la recherche des choses.
Sergio Spagnolo
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Si ringraziano le Edizioni Ets per le foto tratte dal volume Scripta volant, verba manent. Ennio De Giorgi matematico e filosofo.
Nelle immagini, a partire dall'alto: l’incontro tra John F. Nash e Ennio De Giorgi, avvenuto a Povo di Trento il 6 marzo 1996: tra i due, Mario Miranda; De Giorgi sulle Alpi Apuane, insieme a Sergio Spagnolo (a sinistra) e a Ettore Remiddi, seduto; De Giorgi durante una sua lezione a Trento nel 1990 e, infine, una foto che lo ritrae nel suo studio alla Scuola Normale.