È scomparso a Roma Carlo Azeglio Ciampi, già decimo Presidente della Repubblica, che è stato studente del nostro Ateneo prima alla Facoltà di Lettere, conseguendo la laurea nel 1941 come allievo della Scuola Normale, e poi alla Facoltà di Giurisprudenza, dove ha preso la seconda laurea nel 1946 discutendo una tesi dal titolo “La libertà delle minoranze religiose”.
"L'Università di Pisa - ha dichiarato il rettore Massimo Augello - si stringe alla signora Franca e alla sua famiglia nel ricordare con affetto, commozione e gratitudine la figura di Carlo Azeglio Ciampi, che fin da giovane aveva sviluppato un legame forte e intenso con il nostro Ateneo, la Scuola Normale e la città di Pisa".
Anche nei periodi successivi Carlo Azeglio Ciampi è tornato spesso a Pisa e nella "sua" Università. Nel 2006 è intervenuto alla cerimonia di conferimento del "Campano d'Oro" al suo grande amico, l'ex rabbino capo Elio Toaff, partecipando con la moglie Franca a una cerimonia intensa e sentita.
Nel 2010 la ripubblicazione della sua tesi di Giurisprudenza, da parte de “Il Mulino”, ha offerto l’occasione per tornare sulla formazione economico-giuridica dell’ex presidente della Repubblica con un convegno che si è svolto nel Palazzo della Sapienza, al quale Ciampi non ha potuto partecipare di persona per problemi di salute. In quell'occasione ha voluto inviare un messaggio di saluto, nel quale ricordava "la città e i luoghi dove si è compiuta in massima parte la mia formazione culturale e umana'".
Ripubblichiamo di seguito alcune immagini relative alla cerimonia del 2006 e l'intervento dell'allora preside di Giurisprudenza, Eugenio Ripepe.
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Carlo Azeglio Ciampi, dottore in Giurisprudenza a Pisa
Sarebbe stato davvero imperdonabile se alla pubblicazione in volume - a oltre sessanta anni di distanza - della tesi di laurea di uno studente destinato a diventare Presidente della Repubblica, non fosse stato dato adeguato rilievo nella Facoltà nella quale quella tesi fu discussa. È per questo che al saluto e al ringraziamento che rivolgo agli studiosi che hanno accettato l’invito a prendere parte a questo incontro, dedicato appunto alla presentazione di quel volume, tengo ad aggiungere un ringraziamento particolare al nostro Pier Luigi Consorti, che dell’iniziativa si è fatto carico conducendola in porto con la consueta bravura.
Inutile sottolineare che la laurea in giurisprudenza conseguita nella nostra Facoltà da Carlo Azeglio Ciampi costituisce per noi motivo d’orgoglio; anche se nessuno ignora che i vincoli di affetto e di gratitudine che legano Ciampi a Pisa riguardano in primo luogo la Scuola Normale e la Facoltà di Lettere, delle quali fu allievo a cavallo tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, quando si laureò, appunto, in lettere. Poi la guerra, l’immane tragedia della guerra, e le vicissitudini personali ad essa legate, la scelta di campo coraggiosa - e dalla parte giusta - e infine la decisione di iscriversi alla Facoltà di giurisprudenza del giovane Ciampi, per il quale forse proprio così cominciava l’età della prosa.
Ma anche di quest’altro periodo “pisano” della sua vita, e non solo di quello della Normale e degli studi letterari, il livornese Ciampi avrebbe conservato un affettuoso ricordo, come ha dichiarato più volte, e da ultimo nel corso dell’incontro avuto qualche anno fa con i giovani della Scuola Superiore S. Anna, del quale è rimasta traccia nel “Sant’Anna News”, il bel periodico pubblicato dall’Associazione degli ex allievi della Scuola. In quell’occasione il presidente Ciampi tenne a sottolineare il debito di gratitudine che sentiva di avere nei confronti della Facoltà di Giurisprudenza di Pisa; cosa del resto perfettamente comprensibile, perché proprio agli studi compiuti per ottenere la sua seconda laurea fu in gran parte dovuta la formazione iniziale di quel mirabile bagaglio di competenze economico-giuridiche, incessantemente arricchitosi negli anni, che gli ha consentito di ricoprire in modo esemplare le altissime cariche alle quali è stato via via chiamato.
Oltre tutto, i giorni dell’immediato dopoguerra che lo videro frequentare la nostra Facoltà qui in Sapienza costituirono anche per ragioni private un periodo cruciale per il giovane ufficiale in congedo, che proprio in quel periodo “mette famiglia”, come allora si usava dire (anche se nella vita da civil servant - quale è sempre stato - di questo italiano atipico - quale pure è sempre stato - invano si cercherebbe una qualche traccia dell’italico “avere famiglia”). Un panorama di macerie, non solo materiali, alle spalle; un orizzonte fatto più di speranze che di certezze: questa l’Italia di quegli anni. E a distanza di tempo, appare quasi sorprendente che, nonostante tutto, in quell’Italia un giovane come Carlo Azeglio Ciampi abbia potuto imboccare la sua strada in salita - come sono, o dovrebbero essere, tutte le strade che portano in alto - e percorrerla fino in fondo, o meglio fino in cima, con nessun altro sostegno che quello delle sue qualità e dei suoi meriti.
Purtroppo il presidente Ciampi non può essere oggi con noi, come fino all’ultimo aveva sperato, perché i piccoli acciacchi dell’età lo hanno trattenuto a Roma. Ma ci chiede di considerarlo idealmente presente, e ha voluto rivolgerci l’indirizzo di saluto che ora vi leggo, che è assai più di un semplice indirizzo di saluto:
“Desidero innanzitutto esprimere il mio più vivo ringraziamento alle tre istituzioni accademiche pisane che hanno promosso un incontro dedicato al tema della libertà delle minoranze religiose, tema oggetto della mia tesi di laurea in giurisprudenza nel lontano 1946. L’attenzione che in questa occasione la città e i luoghi dove si è compiuta in massima parte la mia formazione culturale e umana riservano a quel mio giovanile lavoro mi onora e mi emoziona. È, per me, un riannodare legami mai spezzati; una trama in cui memorie e sentimenti si intrecciano con volti e personaggi, molti dai tratti ancora nitidissimi, altri resi più sfocati dal tempo. Popolano tutti il mondo dei ricordi che custodisco più gelosamente. A Pisa, negli anni della Normale, come ho più volte ricordato, ho appreso l’alfabeto della libertà, attraverso la lezione che Croce impartiva con le sue opere e con l’azione. A una più matura consapevolezza degli ideali di libertà e democrazia avrebbe provveduto il contatto diretto, quotidiano con i Maestri della mia stagione pisana. Lavoravo alla tesi di laurea in giurisprudenza, mentre si accendeva la discussione sui contenuti di quello che sarebbe stato l’articolo 7 della Costituzione. In proposito, più di una volta mi tornavano in mente la violenza e la villania con cui Mussolini aveva reagito, nel maggio del 1929, all’intervento del senatore Croce contro il Concordato, annoverandolo tra “gli imboscati della storia”; tra coloro che “per impotenza creatrice, non potendo cioè fare la storia prima di scriverla, si vendicano dopo diminuendola senza pudore”.Da quando mi ero avvicinato per la prima volta alla Storia d’Europa di Croce – alla sua “religione della libertà” erano passati meno di dieci anni: un tempo non lunghissimo, ma quasi un’era geologica, per gli eventi, le esperienze attraverso i quali ero passato, e con me milioni di italiani, giovani e meno giovani. Gli anni di guerra, il tempo confuso e atroce seguito all’8 settembre 1943 avevano impresso per sempre nelle nostre coscienze il sigillo della libertà, del rifiuto di ogni discriminazione, del primato della persona umana e della sua dignità sempre e dovunque. Con questi pensieri, con questi sentimenti consideratemi tra di voi, con voi, a questo incontro per il quale rinnovo ancora il mio grazie ai promotori, agli organizzatori, ai relatori e ai presenti tutti. E a tutti giunga il mio saluto più affettuoso”.
Quasi a rimarcare il carattere affettuoso del suo messaggio, il Presidente si firma informalmente Carlo Ciampi. “Consideratemi tra di voi, con voi, a questo incontro per il quale rinnovo ancora il mio grazie ai promotori, agli organizzatori, ai relatori e ai presenti tutti...”.
No, caro Presidente: siamo noi a doverle dire grazie per quello che ha fatto in tutti questi anni, per come ha rappresentato l’Italia, per quello che ha rappresentato e rappresenta per l’Italia. E grazie, da ultimo, anche per queste sue parole: per quello che ha voluto dirci, naturalmente, ma anche, appunto, per le parole adoperate per dirlo. “...La violenza e la villania con cui Mussolini aveva reagito all’intervento del senatore Croce...”: ecco, queste parole forti sono in realtà parole che danno conforto perché sono le parole di un uomo che è rimasto evidentemente immune da quella rapida mitridatizzazione che ha finito col privare molti italiani della capacità di indignarsi di fronte a ciò che non può non indignare, a cominciare dall’arroganza e dalla volgarità che sembrano diventate pane quotidiano nella vita politica e istituzionale di oggi. Grazie per aver riproposto un termine forse non a caso desueto: villania.
Ecco, anche chiamare villania la villania può essere una lezione preziosa; e così pure sottolineare implicitamente che la villania (come del resto la tracotanza, la pacchianeria, l’improntitudine) non cessa di essere tale solo perché riconducibile a un Capo di Governo che magari si era munito di ghette e cilindro al momento dell’investitura. Non solo per questo, naturalmente, ma anche per questo, grazie al presidente Ciampi. Nel leggere il suo messaggio quando lo ho ricevuto, e nel rileggerlo ora per voi, confesso che mi sono tornate alla mente certe parole dell’epigrafe dettata per i partigiani di Valenza da un poeta forse sopravvalutato ieri, ma certo sottovalutato oggi, Salvatore Quasimodo: Di questi uomini / non resti mai povera l’Italia.
Ma, se devo essere sincero, mi sono tornate alla mente con una variante: Di questi uomini / resta sempre più povera l’Italia.
Eugenio Ripepe