Gli editori digitali che sono attivi anche nella stampa tradizionale hanno una maggiore probabilità di rimanere nel mercato e di proseguire le loro attività.
E’ questo quanto emerge da uno studio condotto dal professore Andrea Mangani e dalla dottoressa Elisa Tarrini del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa che è stato pubblicato sulla rivista “Online Information Review”. La ricerca ha analizzato l'industria italiana dei media e della comunicazione dal 1995 e 2014 e le 2.838 imprese attive nel settore nello stesso periodo.
“In generale, la percentuale di editori ‘solo digitali’ è costantemente aumentata negli anni presi in considerazione – spiega Andrea Mangani - un fenomeno che non stupisce, visto che le barriere all'entrata nel mercato sono basse e il numero di imprenditori ‘nativi digitali’ è sempre più alto”.
Circostanze che però non garantiscono il successo delle imprese e infatti circa il 17 per cento delle 2.838 aziende considerate oggi non esistono più. Chi invece è sopravvissuto è perché ha diversificato la propria attività dedicandosi anche alla stampa tradizionale - quotidiana e periodica - oppure a settori contigui come, ad esempio, quello televisivo e radiofonico. Un risultato che vale a parità di dimensioni delle imprese, di forma legale e per ogni area geografica considerata.
“L’analisi statistico-econometrico dei dati ci pone di fronte ad una sorta di paradosso – conclude Mangani - per cui nonostante le imprese tendano a specializzarsi nell'editoria digitale, quelle che diversificano hanno maggiore probabilità di restare sul mercato”.
Editoria digitale: sopravvive chi è attivo (anche) nella stampa tradizionale
I risultati del primo studio sull’andamento del settore in Italia dal 1995 al 2014
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15 maggio 2017