Nel corso del trilogo del 22 gennaio, i negoziatori di Parlamento e Consiglio sono giunti a un accordo definitivo sulla direttiva relativa al riutilizzo dell'informazione del settore pubblico.
Il testo riguarda espressamente tutti i dati che vengono prodotti dagli enti pubblici durante la loro attività e pertanto influisce anche sui dati di ricerca. Per sottolineare l’interesse che il tema degli open data riveste all’interno della direttiva stessa, il titolo è stato modificato per includerne il riferimento. In breve, la direttiva permette l’accesso ai dati pubblici, in particolare quelli identificati come high-value, a costo zero o marginale per quanti, ad esempio nel settore privato, volessero accedervi. I dati così messi a disposizione devono essere conformi ai noti principi FAIR. Alla soddisfazione di molti osservatori corrisponde però la delusione di quanti speravano in una formula ispirata all’apertura totale: l’introduzione del principio guida “aperto quanto possibile, chiuso quanto necessario” all’interno del testo stesso lascia in realtà ampio margine di manovra ai governi nazionali per introdurre legislazioni più conservatrici sulla materia. Qualche perplessità è stata sollevata anche sull’ambiguità che la direttiva suscita se contrapposta alla stretta tutela dei diritti d’autore contenuta nella direttiva europea sul copyright, in fase di approvazione.
(Pubblicato nella Newsletter della ricerca europea e internazionale n° 25 – febbraio 2019)
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