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Da un premio di ricerca finalizzato a documentare la presenza di Franz Liszt a Pisa nella prima metà dell'Ottocento è emersa una storia affascinante, che assegna alla nostra città la primogenitura storica per quanto riguarda la nascita del recital solistico per pianoforte. I risultati dello studio - condotto dalla musicologa Mariateresa Storino con il sostegno dell'Università di Pisa e dell'Agenzia Generale UnipolSAI divisione SAI di Pisa - sono stati presentati lunedì 9 luglio a Palazzo alla Giornata, per l'Ateneo, dal rettore Paolo Mancarella, dal direttore generale Riccardo Grasso, dai professori Maria Antonella Galanti, responsabile del "Centro per la diffusione della cultura e della pratica musicale", e Alessandro Cecchi; per la Direzione e Agenzia Generale UnipolSAI, dai dottori Giorgio Chiarini, Fabrizio Cusin, Dario Sarti e Maurizio Sbrana.
Erano inoltre presenti Carlo Cardella, proprietario del fortepiano su cui ha suonato Liszt, la professoressa Gabriella Garzella, in rappresentanza dell’Opera della Primaziale Pisana, e la professoressa Mariateresa Storino, vincitrice del premio di ricerca intitolato a Liszt.

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L’atto di nascita del recital solistico moderno a pagamento si registra ufficialmente il 9 giugno 1840 a Londra con un concerto di Franz Liszt, emblema del virtuosismo pianistico ottocentesco; fin dal marzo del 1839 però, nel corso del suo viaggio in Italia in compagnia della contessa Marie d’Agoult, il pianista si era esibito a Roma in “soliloqui musicali”, una novità importante in un mondo dominato dall’opera e dalle cosiddette accademie. Sebbene per decenni i musicologi abbiano sostenuto tale ricostruzione, l’accenno di Marie d’Agoult a un recital solistico tenuto da Liszt a Pisa nel gennaio del 1839 – di cui sembrava non esistere alcuna traccia – lasciava aperta l’indagine.
A metà del 2017, l’Agenzia Generale UnipolSAI – divisione SAI – ha deciso di promuovere e sovvenzionare un premio di studio finalizzato a ricostruire la vicenda, sulla scia delle varie attività culturali, sociali, sportive e comunicazionali poste in essere nel tempo. Il concorso, bandito dal "Centro per la diffusione della cultura e della pratica musicale" dell’Università di Pisa con la supervisione della professoressa Maria Antonella Galanti e del dottor Alessandro Cecchi, ha assegnato il premio alla musicologa Mariateresa Storino, che da anni svolge ricerche su Liszt, con importanti pubblicazioni. L’interesse dell’Agenzia UnipolSai per Liszt nasce dal quasi casuale ritrovamento di un fortepiano Graf, di proprietà della famiglia Cardella, riconducibile a un concerto tenuto da Liszt a Pisa nel 1839.

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"La scoperta del fortepiano Graf su cui Liszt suonò e di documenti a esso legati – ha affermato la musicologa Mariateresa Storino – consentono per la prima volta di poter confermare la testimonianza della d’Agoult rivedendo il percorso cronologico e geografico di creazione del recital pianistico. Questa scoperta ne retrodata la nascita e determina in Pisa il luogo di gestazione dello stesso conferendo alla città un primato nella storia della musica. Si riapre così l’interesse sui giorni italiani di Liszt che, sebbene negli ultimi decenni siano stati oggetto di importanti contributi – per esempio ad opera di Luciano Chiappari e Gregorio Nardi – hanno ancora molti aspetti inesplorati".

La borsa di studio offerta dall’Agenzia Generale UnipolSAI ha permesso alla musicologa Storino di portare alla luce documenti inediti e i risultati della ricerca confluiranno in un volume di prossima pubblicazione che sarà presentato in occasione di una giornata di studi dedicata all’argomento.

In conclusione della conferenza la professoressa Gabriella Garzella ha annunciato che, all’interno della manifestazione di musica sacra "Anima Mundi", sarà programmato un concerto del pianista Michele Campanella, stella di prima grandezza del pianismo mondiale, che si svolgerà nel Camposanto Monumentale utilizzando lo stesso strumento suonato nel 1839 da Liszt ed eseguendo composizioni dello stesso musicista ungherese.

Sarà pubblicato entro il 2 di luglio prossimo e chiuderà il 3 agosto il bando per poter accedere al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria (http://formazioneprimaria.cfs.unipi.it), novità assoluta e di grande rilievo all’interno dell’offerta formativa dell’Università di Pisa. I dati occupazionali (forniti dal consorzio AlmaLaurea) relativi a questo percorso formativo sono particolarmente significativi: la percentuale di occupati raggiunge l'88% dopo un anno dal conseguimento del titolo, arrivando al 96% a cinque anni dalla laurea.

Il corso, a numero programmato, è l'unico che abilita all'insegnamento nella scuola pre-primaria e primaria, permettendo di partecipare ai successivi concorsi per l'immissione in ruolo e finora, in Toscana, era attivo solo presso l’Università di Firenze.

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"La cancellazione del vincolo che prevedeva per ogni regione un solo corso in Scienze della formazione primaria - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - ha permesso al nostro Ateneo di venire incontro alle esigenze e alle richieste del territorio, sviluppando un progetto formativo variegato, particolarmente innovativo e affascinante, che prevede lezioni interattive e multidisciplinari, laboratori e, dal secondo anno, tirocini negli istituti scolastici. Tutto ciò è reso possibile dalla presenza nella nostra Università di molteplici e specifiche competenze nei campi della formazione e della ricerca".

Proprio lo sviluppo di un progetto formativo e culturale di alto livello che possa valorizzare le specifiche competenze dell’Ateneo ha impegnato da circa un anno il gruppo di lavoro, coordinato da Pietro Di Martino, delegato del rettore per la Formazione degli insegnanti, e dalla professoressa Cecilia Iannella (nella foto subito in basso). A testimonianza del coinvolgimento complessivo dell'Ateneo, il progetto nasce come interdipartimentale (al dipartimento di Civiltà e forme del sapere, referente, si affiancano i dipartimenti di Matematica e di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica) e include docenti di molti altri dipartimenti.

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Accanto all'acquisizione di solide conoscenze nei diversi ambiti disciplinari oggetti di insegnamento, il corso mirerà a sviluppare competenze pedagogiche, psicologiche, antropologiche e didattiche, con particolare attenzione alle didattiche disciplinari. Rispetto a quest’ultimo aspetto, l’Università di Pisa può vantare, in particolare, una radicata tradizione di ricerca nel campo della didattica della matematica e una lunga esperienza nella formazione scientifica degli insegnanti a livello di scuola dell’infanzia e primaria.

Il progetto formativo intende puntare anche sulla conoscenza e valorizzazione del nostro territorio, da un punto di vista storico, geografico e naturalistico, anche come strumento per generare curiosità nei bambini e realizzare occasioni empiriche per l’osservazione e la scoperta del mondo circostante. Un'attenzione specifica riguarderà, inoltre, lo sviluppo di competenze e strumenti per l’integrazione scolastica di bambini con disabilità, bisogni speciali o disturbi specifici di apprendimento, così come la capacità di gestione di contesti multiculturali.

"Con questo progetto culturale - ha detto il delegato per la Formazione degli insegnanti, Pietro Di Martino (nella foto in basso) - l'Ateneo pisano conferma l’interesse per la formazione degli insegnanti e l’attenzione prestata al rapporto con il tessuto educativo di base nel suo complesso, coprendo in modo organico un arco che parte dalla scuola dell’infanzia e arriva alla scuola secondaria di secondo grado. L’attivazione del nuovo corso rinnova e fa crescere le possibilità di contaminazione positiva tra università e scuola, rispondendo a un’esigenza formativa molto forte espressa da scuole e istituzioni di diverso tipo e offrendo un’opportunità molto importante ai tanti studenti della Toscana occidentale interessati al mestiere di insegnante della scuola dell’infanzia o primaria”.

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Sono in crescita i dati occupazionali dei laureati dell'Università di Pisa che emergono dal XX Rapporto AlmaLaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati, che è stato presentato lunedì 11 giugno a Torino. Il tasso di occupazione dei laureati triennali pisani a un anno dal titolo sale infatti al 71%, un punto in più dello scorso anno e tre in più rispetto a quello precedente; mentre il tasso di occupazione dei laureati magistrali biennali aumenta dal 74 al 78% a un anno dalla laurea e dall'86 all'88,3% a cinque anni dalla laurea.

Più in generale, l'indagine AlmaLaurea, che ha coinvolto 6.927 laureati del 2018 (3.829 di primo livello, 2.223 magistrali biennali e 834 a ciclo unico), conferma e migliora molti dei tradizionali punti di forza. L’Ateneo pisano si dimostra più attrattivo di circa 5 punti percentuali rispetto alla media degli altri atenei della Toscana, potendo contare su un terzo dei laureati (33,2%) che proviene da fuori della Toscana, quota che sale quasi al 44% per quanto riguarda i magistrali biennali. I laureati pisani sono inoltre più bravi dei colleghi, con un miglior voto medio di laurea, anche se più lenti, con una minore percentuale di studenti che riescono ad acquisire il titolo di laurea entro gli anni di corso.
Sostanzialmente in linea con i dati toscani, i laureati dell'Ateneo pisano si dichiarano soddisfatti dell’esperienza universitaria e del rapporto costruito con i docenti, con una percentuale che tocca rispettivamente l’85% e l'83%.

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L’indagine sulla condizione occupazionale ha riguardato complessivamente 12.572 laureati dell'Università di Pisa. I dati si sono concentrati sull’analisi delle performance dei laureati triennali e magistrali biennali usciti nel 2016 e contattati a un anno dal titolo e su quelle dei laureati magistrali biennali usciti nel 2012 e coinvolti dopo cinque anni. La retribuzione media dei laureati pisani, di 1.080 euro mensili netti, è superiore a quanto guadagnano in media i colleghi della Toscana (1.051 euro), così come superiore è la percentuale di chi ha un lavoro da dipendente a tempo indeterminato (il 22,7 contro il 18,9%)
Il tasso di occupazione sale al 78% per i laureati magistrali biennali, un dato migliore rispetto a quello toscano (76,4%) e italiano (73,9%). Più alta è anche la retribuzione media, che per i pisani è di 1.258 euro mensili netti, contro i 1.161 euro della Toscana e i 1.153 euro su base nazionale.
A cinque anni dal conseguimento del titolo, l’88,3% dei laureati magistrali biennali è occupato, il 58% dei quali è assunto con contratto a tempo indeterminato. Sul piano delle retribuzioni, l'Università di Pisa si conferma come un ottimo investimento, registrando una media di guadagno netto mensile di 1.498 euro, contro i 1.415 euro della Toscana e i 1.428 euro dell'Italia.

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La scheda completa con il Rapporto 2018 sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati dell'Università di Pisa è disponibile sul sito del Job Placement, all'indirizzo: goo.gl/d72fzg

“Sapere che i nostri studenti si laureano meglio, trovano più facilmente lavoro e guadagnano di più della media nazionale e di quella toscana, con dati anche migliori rispetto al passato, non è poca cosa - commenta il rettore Paolo Mancarella - Un riconoscimento oggettivo del nostro lavoro che punta sulla qualità e perciò offre più possibilità ai nostri giovani. Alcuni aspetti sono ancora da migliorare e ci stiamo dando da fare per questo. Ringrazio tutti coloro che con il loro quotidiano impegno rendono possibili questi risultati – e conclude - ci sono giorni come questo che mi rendono orgoglioso di essere alla guida di un Ateneo che conferma, coi fatti, il suo antico prestigio”.

Il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa ha approvato all’unanimità il Regolamento per la Contribuzione degli studenti, relativo al prossimo anno accademico, che evidenzia una significativa riduzione di quanto gli studenti andranno a pagare.
Particolare attenzione è stata prestata agli studenti appartenenti a fasce di Isee basse e medie con due decisioni fondamentali: la prima che fa salire a ben 22.000 euro (a fronte dei 13.000 previsti dalla legge di stabilità ed i 18.000 del regolamento dell’anno scorso) la no-tax area, cioè quell’area in cui gli studenti, in regola con il percorso accademico, hanno una contribuzione pari a 0; la seconda prevede anche per le fasce successive di Isee, una riduzione generalizzata della contribuzione, con percentuali più alte nelle fasce di reddito medio-basse.

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Per capire la reale portata delle decisioni prese, occorre tenere anche presente che, a differenza di quanto fatto da altri atenei, Pisa mantiene al minimo previsto dalla legge le maggiorazioni per studenti “fuori-corso”, oltre ad abbassare il livello di contribuzione annua per gli studenti part-time (in larga parte studenti lavoratori).
Complessivamente le decisioni prese comporteranno per l’Ateneo una riduzione del gettito relativo alla contribuzione studentesca stimato attorno al milione e settecentomila euro. In una fase d’incertezza relativa al finanziamento ministeriale alle Università, questa è una scelta coraggiosa, che è stata resa possibile dalla situazione positiva dei conti dell’Ateneo che anche l’ultimo bilancio consuntivo approvato ha evidenziato con chiarezza.

Con l'inizio della formazione generale obbligatoria, mercoledì 4 aprile ha preso il via la nuova tornata del Servizio Civile Regionale all'Università di Pisa, curata dal CISP-Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace. I volontari coinvolti sono 67, tutti rigorosamente dai 18 ai 29 anni, e sono suddivisi in 12 progetti generali. Le varie strutture e realtà dell'Ateneo che accoglieranno i giovani sono: il Centro Linguistico di Ateneo (CLI), il Centro di Ricerche Agro-ambientali "Enrico Avanzi", i dipartimenti di Farmacia, di Filologia, letteratura e linguistica, di Ingegneria civile e industriale, di Scienze della terra e di Veterinaria, le direzioni Didattica, Edilizia e telecomunicazione e Programmazione, valutazione e comunicazione istituzionale (in particolare con l'Ufficio stampa e comunicazione), la Fondazione Arpa, il Sistema Bibliotecario di Ateneo, il Sistema Informatico Dipartimentale, il Sistema Museale d'Ateneo e in particolare il Museo di Storia naturale di Calci e l'Orto Botanico, l'Unità di servizi per l'integrazione degli studenti con disabilità (USID).

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A distanza di pochi mesi dalla precedente esperienza, giunta al termine a dicembre scorso, l’Università di Pisa, tramite il CISP, consolida l'esperienza del servizio Civile Regionale, offrendo questa straordinaria occasione formativa e valoriale a nuovi giovani precedentemente selezionati, e si conferma come polo di riferimento nazionale nell’ambito delle attività di documentazione e studio dei processi di pace, anche in relazione al Servizio Civile Regionale e Nazionale.
I volontari, che hanno appena iniziato il loro servizio, saranno impegnati per otto mesi nell'ambito dei 12 progetti approvati dalla Regione Toscana. Avranno così l'opportunità di vivere, all’interno dell'Università, un’esperienza di alto valore formativo e di impegno civile, oltre che significativamente professionalizzante, come risulta dal fatto che alcuni giovani volontari, a partire dalla prima esperienza del 2015, hanno colto dopo il servizio civile e grazie a questo, delle interessanti occasioni di lavoro tuttora in essere.

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"In conclusione - ha dichiarato il dottor Flavio Croce, responsabile del Servizio Civile Regionale per l'Università di Pisa - possiamo affermare che questa esperienza si rafforza ogni anno di più puntando sui valori di impegno civile, solidarietà, partecipazione, inclusione e utilità sociale dei servizi resi dall'Ateneo. Inoltre fortifica l'impegno formativo delle giovani generazioni, potenziandone le capacità professionali e di inserimento lavorativo, con importanti ricadute sul territorio."

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È volato in prestito al Museo Nazionale del Bardo, in Tunisia, il ritratto di Giovanni Pagni che normalmente è esposto nella Sala dei Mappamondi di Palazzo alla Giornata, sede del rettorato dell'Università di Pisa. L'opera d'arte resterà a Tunisi dal 18 marzo al 30 settembre come emblema della mostra "Antichità d'Africa alla Galleria degli Uffizi. Giovanni Pagni, medico e archeologo pisano nella Tunisia del XVII secolo".

La mostra del Bardo - organizzata a tre anni dall’attentato del 18 marzo 2015 in cui hanno perso la vita 24 persone, in gran parte turisti, tra i quali anche quattro italiani - presenta un nucleo di antichità provenienti dalla Tunisia raccolte nel 1677 dal medico e archeologo Giovanni Pagni, illustre professore dell'Università di Pisa.

Questi, oltre a raccogliere un vasto materiale in Tunisia studiando in particolare le rovine di Cartagine, fu per un anno al servizio del Bey Murad II che, riconoscente per la guarigione ottenuta grazie al suo intervento, gli dette in dono diversi reperti preziosi. Fra questi vi era una raccolta di oltre venti opere fra epigrafi, stele funerarie e stele votive di età imperiale, che da subito entrarono nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi e del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

I rilievi e le iscrizioni, fra le prime testimonianze dell’Africa romana che era possibile ammirare in Europa, sono stati per due secoli al centro dell’interesse degli studiosi internazionali. Tornano ora in Tunisia per iniziativa della Regione Toscana, in collaborazione con il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, l’Ambasciata italiana e l’istituto Italiano di Cultura a Tunisi, i musei degli Uffizi e del Bardo.

Il dipinto di Giovanni Pagni, realizzato dall'artista Giovanni Stella, faceva parte della serie dei ritratti realizzati alla fine del XVIII secolo per la Sala delle Lauree nel Palazzo Arcivescovile, dal quale fu poi trasferito all’Università di Pisa.

La scheda del quadro per la mostra è stata redatta dal professor Alessandro Tosi, tra i massimi esperti italiani di storia dell'arte moderna. La consegna della tela alla Società Cooperativa A.R.A., in qualità di ditta incaricata del trasporto, è avvenuta lo scorso 9 marzo, alla presenza della dottoressa Donatella Montanari, in rappresentanza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della provincia di Pisa, e della dottoressa Aurelia De Simone, in qualità di Economo dell’Università di Pisa.

 

 

 

Aurelio Saffi, con Carlo Armellini e Giuseppe Mazzini uno dei triumviri che governarono la Repubblica romana del 1849, nelle sue memorie ha scritto che in quel periodo “Mazzini amava, sapendosi solo e non ascoltato - talora fra giorno, più spesso a tarda notte - cantare sotto voce, accompagnandosi colla chitarra; e avea tal voce che, modulata dal canto, scendeva al core". In effetti la musica è stata una delle grandi passioni di Giuseppe Mazzini, che soprattutto da giovane se ne era interessato sul piano teorico e aveva imparato a suonare la chitarra, eseguendo brani classici con una tecnica da molti contemporanei giudicata come nient’affatto rudimentale.

Questo tratto meno noto della personalità di Mazzini sarà al centro del programma di iniziative per l'apertura dell'anno della Domus Mazziniana tra venerdì 9 e domenica 11 marzo, in coincidenza con il 146° anniversario della sua morte, avvenuta a Pisa il 10 marzo del 1872. Sabato 10, alle ore 16, nella sede della Domus sarà infatti ricollocata una delle chitarre appartenute a Mazzini e sarà scoperta la relativa targa commemorativa, mentre alle 17 alla Gipsoteca di arte Antica si terrà la conferenza del Maestro Liutaio Federico Gabrielli sul restauro della chitarra e subito dopo il concerto dal titolo "Sola favella comune a tutte le Nazioni", in cui il Maestro Marco Battaglia si eserciterà nella prima esecuzione moderna con la chitarra appartenuta a Mazzini, suonando musiche di Niccolò Paganini, Mauro Giuliani e Johann Kaspar Mertz. Al concerto assisterà la ministra dell'Istruzione, Università e Ricerca, Valeria Fedeli.

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La chitarra pisana - restaurata grazie al contributo dei Rotary Club di Milano Naviglio Grande San Carlo e di Milano Borromeo Brivio Sforza - si aggiunge nella sua piena fruibilità agli altri due esemplari esistenti, uno conservato all’Istituto Mazziniano di Genova e l'altro di proprietà del Maestro Battaglia. Apparteneva alla madre di Mazzini e su di essa Mazzini apprese da ragazzo i primi rudimenti musicali, sviluppando un amore per la musica che lo ha accompagnato per tutta la vita. Scorrendo le pagine del suo saggio sulla "Filosofia della musica" del 1836, Mazzini individua nella musica la “sola favella comune a tutte le Nazioni”, un linguaggio in grado cioè di trascendere le divisioni tra popoli e culture diverse. In numerose lettere inviate ad amici e alla madre, inoltre, Mazzini accenna ai suoi interessi musicali citando, con competenza sorprendente, autori e opere considerati capisaldi della storia della chitarra dell’Ottocento.

Il resto del programma per l'apertura dell'anno della Domus Mazziniana si articolerà nel modo seguente. Venerdì 9 la Domus sarà aperta dalle ore 8.30 alle 18, con la possibilità di effettuare una visita guidata alle ore 11.00 e alle 16,30 a cura del direttore Pietro Finelli. La mattina di sabato 10, alle ore 12,30, in Piazza Mazzini sarà deposta una corona davanti al monumento dedicato al patriota risorgimentale, mentre dalle ore 9 alle 13 la Domus sarà aperta con la possibilità di effettuare una visita guidata alle ore 11.30 con il professor Finelli. Anche domenica 11 la Domus sarà aperta la mattina dalle ore 10 alle 13, con visite guidate alle 10 e alle 12, e il pomeriggio dalle ore 15 alle 17, con visita guidata alle 16.

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"Con le iniziative legate all'apertura dell'anno della Domus Mazziniana e con il restauro della chitarra appartenuta a Mazzini - ha detto il rettore Paolo Mancarella, che da alcuni mesi è stato nominato presidente della Domus - intendiamo consolidare e valorizzare quel legame tra Università di Pisa e Domus che fa parte della tradizione dell'Istituto, se solo pensiamo che tra i suoi fondatori c'è il rettore Augusto Mancini e che tra i presidenti molti sono stati i docenti dell'Ateneo, come Ezio Tongiorgi. Grazie a questa rinnovata collaborazione, la Domus ha ampliato i giorni e gli orari di apertura al pubblico, con aperture straordinarie un fine settimana al mese e la possibilità di visite su prenotazione. Un legame che sta trovando concreta attuazione in un fitto programma di iniziative legate al duplice appuntamento del 70° anniversario della Costituzione e del 170° della battaglia di Curtatone e Montanara”.
"Nel prossimo futuro - ha concluso il professor Mancarella - intendiamo operare per restituire sempre più la Domus ai cittadini e agli studiosi, con il progressivo ripristino di tutti i servizi: dal museo alla biblioteca, dall'archivio al centro di ricerca. La Domus, in definitiva, si dovrà caratterizzare non solo come centro di ricerca, ma soprattutto come luogo dove la ricerca scientifica si trasforma in dibattito pubblico e la storia diventa educazione alla cittadinanza attiva. In questo senso stiamo valutando proposte interessanti che ci vengono da qualificati interlocutori, come ad esempio quella di dare vita a un 'Centro per lo studio della democrazia' che potrebbe avere sede proprio qui”.

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Alcuni giorni fa è scomparsa la professoressa Regina Pozzi, a lungo docente di Storia moderna all’Università di Pisa. Nata nel 1940 a Valenza, in provincia di Alessandra, la professoressa Pozzi si era laureata all’Università di Pisa come allieva della Scuola Normale, iniziando la sua carriera accademica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Ateneo pisano nel 1980. È stata direttore del dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dal 1987 al 1990 e dal 1995 al 1998. Dal 2006 era in pensione.

Per ricordare la sua figura, pubblichiamo qui di seguito l’introduzione al volume «Pensare l’Ottocento» (Pisa University Press, 2012), a firma della professoressa Cristina Cassina, ricercatrice di Storia delle discipline politiche al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e sua allieva. Il libro rende omaggio alla lunga carriera negli studi della professoressa Pozzi e la sua “Introduzione” restituisce un ritratto esauriente del suo pensiero scientifico, i cui tratti distintivi, come - si legge qui di seguito - furono il “genio” e l’“audacia”.

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Cover pensar webù«Per Regina Pozzi» recita il sottotitolo. Si allude, così, in punta di piedi, quasi sottovoce, alla ragione da cui muove questo volume, “pensato” per rendere omaggio alla studiosa che invita a «Pensare l’Ottocento». Un gioco di parole e un gioco di azione-reazione: riflettere sul laboratorio del diciannovesimo secolo, oggi, vuol dire riflettere anche sulla sua produzione scientifica. Che difatti è al cuore di questo volume nato, a sua volta, in due tempi. Il primo ci riporta al 18 febbraio 2010: a una giornata, organizzata a Pisa, per salutare l’attività di Regina Pozzi come docente universitaria. Molti saggi qui raccolti sono stati presentati quel giorno. Altri sono giunti in un secondo momento: ad allargare l’orizzonte dei problemi, certo, ma anche per tentare di superare un limite comune a tante iniziative editoriali nate con il medesimo intento.

I libri concepiti per rendere omaggio a una lunga carriera negli studi, voglio dire, nascono quasi sempre con un difetto: sono un poco claudicanti perché il più delle volte lacunosi. E il presente volume non fa eccezione. Pur affrontando tante questioni, esso non riesce a rendere conto di tutte le linee di ricerca aperte da Regina Pozzi. Il problema, per fortuna, ha due facce: se molte sono le domande e ancor più gli interessi, è forse possibile racchiudere tutto in un volume? Insomma, la studiosa a cui questi studi e queste ricerche sono dedicati di un tale limite non deve affatto rammaricarsi.

Così come non me ne vorrà se, invece di ricostruire cronologicamente la biografia accademica, procederò in modo disordinato e partirò da uno spunto che, se venisse dalla sua penna, potrebbe dirsi di ego-histoire: da un rilievo sul nome.

Un nome importante e molto impegnativo: Regina. non a caso i compagni di studi preferirono chiamarla Ginetta, come nel suo ambito familiare e d’origine, e così hanno continuato. Poi, con il tempo, parallelamente allo sviluppo della carriera, il nome ha ritrovato una dimensione “normale”, più consona e proporzionata al nuovo ruolo assunto in campo professionale.

Questi due modi di rivolgersi a lei ancor oggi coesistono. Lo si è visto nella giornata del 18 febbraio. Se torno con il pensiero a chi ha portato i saluti delle istituzioni (Alfonso Maurizio Iacono e Giuseppe Petralia, Salvatore Settis e Daniele Menozzi); a chi ha presieduto le sessioni (Claudio Pavone e Adriano Prosperi); ai relatori (Michele Battini, Luca Scuccimarra, Cristina Cassina, Girolamo Imbruglia, Franco Sbarberi, Pier Paolo Portinaro, Mauro Moretti, Françoise Mélonio, Lucien Jaume); e soprattutto ai molti presenti, tra cui tanti colleghi venuti anche da parecchio lontano, ciò che subito salta all’occhio è la presenza di più generazioni. Così, quel giorno, per gli uni era Ginetta, per gli altri Regina; non è un caso se anche nei saggi qui raccolti i due diversi modi ritornano. Aggiungo che io l’ho conosciuta nella seconda fase della sua carriera e, per me, è sempre stata Regina.

Anche i luoghi che hanno ospitato quella giornata molto ci dicono sul suo percorso. La prima parte presso il dipartimento di Storia, dove Regina Pozzi era entrata nel 1968 come assistente di ruolo. Nel 1980, il passaggio a professore ordinario. Nell’Istituto, poi dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea, poi dipartimento di Storia, ha svolto la maggior parte della sua attività didattica e scientifica: ha tenuto corsi di «Storia moderna» e di «Storia della Francia», di «Storia della storiografia contemporanea» e di «Storia contemporanea»; ha coordinato progetti di ricerca locali e nazionali, con il contributo finanziario dell’Ateneo, del CNR, del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica. Per due volte è stata chiamata alla direzione del dipartimento, un ruolo che ha ricoperto nel triennio 1987-90 e poi dal 1994 al 1997.

La seconda parte della giornata, nella sala degli Stemmi della Scuola normale Superiore, ci porta ancora più indietro. Dopo gli studi al liceo classico di Alessandria, Regina Pozzi si trasferisce a Pisa, dove aveva vinto il concorso come allieva della classe di Lettere. Più che i singoli passaggi del corsum studiorum è utile ricordare chi furono, alla Facoltà di Lettere e Filosofia e alla Scuola normale, i suoi maestri “pisani”: Nicola Badaloni, Ottorino Bertolini, Delio Cantimori, Emilio Gabba, Arsenio Frugoni, Giovanni Miccoli, Ettore Passerin d’Entrèves, Guido Quazza, Carlo Ludovico Ragghianti, Luigi Russo. E tra tutti, Armando Saitta, a sua volta allievo di Gentile e Cantimori, il relatore della sua tesi di laurea e del diploma di perfezionamento in Normale.

Dipartimento di Storia e Scuola Normale Superiore: per chi non conoscesse Pisa, queste istituzioni distano poche centinaia di metri. Dunque una breve porzione di spazio che però, nel caso di Regina Pozzi, racchiude un bel tratto della sua carriera scientifica. La quale, per quanto attiene ai luoghi, abbraccia anche lunghi periodi trascorsi a Parigi: prima, come studentessa e perfezionanda, anche grazie alle opportunità offerte dalla Scuola Normale; poi, più volte, in qualità di professore invitato presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Dopo tanta Pisa, e tanta Parigi, una lunga parentesi istituzionale romana: presso il prestigioso Centro Interdisciplinare «Beniamino Segre» dell’Accademia nazionale dei Lincei, dove Regina Pozzi è stata chiamata nel triennio 1990-1993.

Questa tessitura di rapporti, di scambi e di esperienze, umane e culturali, si è ri essa nell’occasione del 18 febbraio. Che ha riunito, per Regina, studiosi provenienti dalle università di Parigi, Torino, Siena, Macerata, Napoli e, naturalmente, Pisa. Per dare conto del suo lavoro, hanno preso la parola francesi e italiani, studiosi di storia moderna e di storia contemporanea, di storia del pensiero politico e di storia della storiografia. Quasi a ricordare, di contro alla tendenza a uniformare le strutture della ricerca (tendenza, questa, che, contrariamente al secolo a cui Regina più si è consacrata, si potrebbe a ragione dire “stupida”), come e quanto sia invece fecondo, se non necessario, il dialogo tra diversi ambiti disciplinari.

Venendo al volume, ho detto che gran parte dei saggi sono stati presentati nel corso della giornata a lei dedicata. I primi due, che formano una sezione a sé, si confrontano con il tema delle sue domande storiografiche, delle scelte da lei compiute, di un modo tutto suo di guardare al lungo ottocento: mi riferisco ai lavori di Michele Battini, che a lungo dialoga con Regina attraverso il variegato prisma delle culture post-illuministiche; e di Françoise Mélonio, autrice di uno schizzo sintetico, penetrante e intuitivo. Nella seconda sezione sono invece raccolti contributi che si soffermano su nodi specifici dei suoi interessi. Tutti affrontano, in modo diretto o indiretto, uno o più cantieri aperti dalle sue molteplici ricerche. Ma forse è il caso di dire di più: tornano a lavorare i temi – antipolitica, scientismo, la nuova storia, il pensiero della decadenza, i molti volti e i mille dilemmi del liberalismo – e soprattutto gli autori a lei più cari, nel senso che maggiormente l’hanno sollecitata nel suo percorso: in particolare Guizot, Tocqueville, Taine, Renan.

Sarebbe riduttivo rendere conto del contenuto e del significato di questi saggi. Ancor più difficile entrare nei vuoti e nelle assenze di cui dicevo in apertura. Mi viene in mente, tra quelle macroscopiche, l’assenza di Thierry e della questione del pensiero razziale (a parte un breve richiamo nel lavoro di Battini); soprattutto il discorso, complesso, articolato, ripreso in più momenti e sotto varie forme (“regina”, tra queste, la recensione), sulla rivoluzione francese. La bibliografia che segue, forse non del tutto completa, è utile per orientarsi anche in questa parte della sua produzione.

Torno allora al suo modo di lavorare. Non intendo però pronunciarmi sul metodo storiografico di Regina Pozzi. Prendendomi un certo rischio, ho invece da proporre una notazione non del tutto estranea all’ordine, per così dire, morale (non saprei in quale altro modo definirlo). Se guardo al suo percorso scientifico, vedo brillare anche una punta di audacia (non d’imprudenza). Perché, inutile negarlo, ce n’è voluta una bella dose per andare a sollevare i veli della storia politica alla fine degli anni Settanta. Sì, certo, l’acuto sguardo dell’osservatrice straniera, Françoise Mélonio, rileva che gli studi politici nel nostro paese vantavano, allora, una tradizione più consolidata. Ma è necessario aggiungere che Regina Pozzi, quel velo, lo ha sollevato in tempi in cui anche da noi imperava quella che si definiva storia sociale. Ed è in quella particolare stagione che, da storica, attraverso ricerche di storia della storiografia, ha additato i nodi della politica ai colleghi della disciplina. Ha perorato una causa che, in quel momento, non sembrava certo vincente. Una certa audacia occorre pure per resistere a certi imperativi accademici: le pubblicazioni mostrano che più che la quantità, venuta poi a ruota, Regina ha perseguito la qualità e, in questa, lo scavo profondo; del resto, il suo frequente ritorno a certi autori, interrogati ogni volta da prospettive nuove e diverse, così come la messa a tema di categorie e concetti particolarmente pregnanti, risponde e – in qualche modo – enuncia un preciso progetto culturale, coltivato con perspicacia e infaticabile curiosità. Così come, nel confronto scientifico, non si è certo tirata indietro quando c’era da battagliare; ne ricordo bene un esempio, a un colloquio a Cérisy, in Francia: ripensandoci, c’è voluto un coraggio da leonessa a suggerire tratti proto-fascisti nel pensiero di Auguste Comte nel corso di un’importante riunione di appassionati “comtisti”.

«L’audacia» scrisse Goethe «ha del genio, del potere, della magia». A me sembra che nel percorso scientifico di Regina Pozzi queste cose ci siano tutte. Dell’audacia ho già detto. Del genio può offrire un’idea, certo molto parziale, anche questo volume; più che oggi, però, è questo un lato che si potrà valutare meglio nel tempo. Alle responsabilità del potere, intendo quello accademico, non si è sottratta; l’ha esercitato con intelligenza e fermezza fin dalla sua nomina, ancora molto giovane, a professore ordinario.

Quanto alla magia, che dire? Perché molte sono le forme che essa può assumere: quantomeno la forma della professione docente e quella di una prosa “intrigante”, ma anche quella che nasce da domande profonde, mai di moda, mai banali. Nel suo percorso, però, la magia è apparsa anche in altra veste. I testi – bellissimi – con cui Regina Pozzi si è confrontata nel corso del suo lavoro, sono infatti testi ricchi di insidie. Il tempo da lei studiato, non a caso, è anche detto il tempo dei profeti: è l’età degli “incantatori” e dei mages romantiques. Ebbene, alla magia di quelle seduzioni lei sa opporre la solidità di un lucido progetto intellettuale, qui riassunto nella formula «Pensare l’Ottocento». Sicché a me sembra che se hanno cantato, le sirene, di fronte a Regina hanno cantato invano.

Cristina Cassina

Il 5 settembre del 1938, nella tenuta di San Rossore a Pisa, il re Vittorio Emanuele III appose la firma al primo provvedimento in difesa della razza: il “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Iniziò con questo atto la discriminazione delle persone di razza ebraica da parte dello Stato italiano, che nel giro di qualche anno portò alla persecuzione, alla deportazione e allo sterminio di quasi 8.000 ebrei (ai quali vanno aggiunti circa 2.000 deportati dai possedimenti), dei quali solo 826 riuscirono a sopravvivere. Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di questo processo. Solo nell'Ateneo di Pisa furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al 1938.
La consapevolezza di tutto ciò ha spinto l'Università di Pisa, insieme con la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna, a ricordare quel periodo oscuro con una serie di iniziative che si svolgeranno nel prossimo mese di settembre, nell'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore, volte a trasferire memoria e consapevolezza di questo orrore alle generazioni a venire e a rendere omaggio e risarcimento alla memoria di coloro che ne furono vittime.

In prossimità del Giorno della Memoria del 27 gennaio, le tre istituzioni universitarie hanno illustrato il programma di massima degli appuntamenti, che stanno definendo in collaborazione con il Comune di Pisa, la Regione Toscana, le Comunità ebraiche nazionali e locali, il Provveditorato agli studi di Pisa, la RAI, l'Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreco) di Livorno e la Fondazione Palazzo Blu. Alla presentazione, che si è tenuta lunedì 22 gennaio a Palazzo alla Giornata, sono intervenuti la prorettrice vicaria dell'Università di Pisa, Nicoletta De Francesco, e la delegata dell’Ateneo per la comunicazione e la diffusione della cultura, Sandra Lischi, il rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, Pierdomenico Perata, la storica contemporanea Ilaria Pavan, in rappresentanza della Scuola Normale Superiore, il sindaco Marco Filippeschi, il presidente della Comunità ebraica pisana, Maurizio Gabbrielli, lo storico dell'Università di Pisa, Michele Battini.
Toccante e altamente significativa è stata poi la testimonianza di Guido Cava, presidente emerito della Comunità ebraica pisana, che oggi ha 88 anni e che nel settembre del 1938 aveva 8 anni. "Mio padre - ha ricordato - si presentò a casa e disse a me e mio fratello Enrico che dall'indomani non saremmo più potuti andare a scuola. Alle nostre domande, non seppe rispondere. Non poteva spiegare una cosa inspiegabile e borbottò solo 'perché non si può più'".

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Il programma di iniziative su "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali", che è in attesa dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, si aprirà il 5 settembre con la Cerimonia del ricordo nei luoghi della firma a San Rossore e proseguirà secondo il calendario seguente:

Cerimonia del ricordo: Il 5 settembre nella tenuta di San Rossore.
Attività di divulgazione per gli studenti: Nell’Ateneo e nelle scuole del territorio attività d’incontro, confronto e divulgazione.
Mostra “Ebrei in Toscana XX e XXI secolo”: A cura di Istoreco Livorno e Scuola Normale Superiore in collaborazione con il Comune di Pisa.
Convegno: “Tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e sulla Shoah”: Il 20 e 21 settembre Convegno internazionale con il contributo di storici da: Pisa, Torino, Chicago, Edinburgo, Cambridge, Gerusalemme, Providence, Parigi e altre.
Ciclo di film e spettacoli nella sede della mostra, in teatro e in strada sui temi dell’antisemitismo e della Shoah.
Ciclo di incontri con la cittadinanza: Varie sedi
Anche l'Internet Festival e il Festival della Robotica ospiteranno attività inerenti l’anniversario.
In ricordo degli studenti e dei docenti allontanati dall’università a causa delle leggi è prevista un’iniziativa specifica e la collocazione di testimonianze di memoria perenne.

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Note storiche e intenzioni degli organizzatori

In un luogo a due passi da noi – la tenuta di San Rossore - iniziò il calvario degli ebrei italiani. Fu lì, infatti, che il 5 settembre del 1938, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento in difesa della razza: “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Era la concretizzazione di un’intenzione annunciata già nel ‘37 da un libello di Paolo Orano, “Gli ebrei in Italia”, il primo atto di una campagna di discredito e falsità che comprese anche la ristampa e la diffusione di un testo, già noto come clamoroso falso storico: “I protocolli degli Savi Anziani di Sion”. Le leggi dovevano trovare il loro humus nel favore dell’opinione pubblica.

Il decreto di quella prima firma fu poi integrato con quello sulla scuola che promuoveva “la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana” allontanando tutti i docenti e gli studenti ebrei. Dopo aver disegnato il profilo burocratico dell’appartenente alla razza ebraica, si vietarono matrimoni misti, si cancellarono gli ebrei dagli impieghi pubblici, dalle aziende partecipate, dall’esercito, dalle banche. Successivamente, sempre a San Rossore, altre firme, nel ‘39, nel ‘40, nel ‘42, in cui gli ebrei venivano, come in un crescendo, impediti dall’esercitare professioni, e si completò l’azione di spoliazione dei loro beni e immobili. La conseguenza estrema delle leggi di quegli anni furono la deportazione e lo sterminio.

Nel nostro paese (che vide nascere campi di concentramento e smistamento: Calvari, Bagno a Ripoli, Bagni di Lucca, Tonezza, Forlì, Fossoli, San Sabba), in nome di quelle leggi, furono organizzati rastrellamenti che talvolta culminarono in stragi sul posto, come sul lago Maggiore, 54 morti, o in deportazioni: dal cuneese, da Merano, dal ghetto di Roma dove, la comunità, dopo aver accettato l’imposizione di una taglia che fu consegnata, dall’alba al tramonto del 16 ottobre ‘43, subì il più organizzato rastrellamento mai visto con la deportazione di più di 1.000 persone. Come per un segno del destino, sempre a Pisa, si chiuse questa infame parentesi con uno degli atti più feroci e gratuiti che, nell’agosto del ‘44, vide l’eccidio di Giuseppe Pardo Roques e degli undici ospiti della sua abitazione in via Sant’Andrea. Tra gli ebrei italiani vittime dell’Olocausto 615 erano toscani.

Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di tutto questo. Solo nel nostro Ateneo furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al ’38. Le iniziative che l’Ateneo, con la collaborazione della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna, intraprende oggi, sono anelli di una catena di messaggi fra la storia, la memoria e l’oggi. Si torna a Pisa 80 anni dopo non solo perché qui furono siglati i decreti, ma perché il sistema universitario pisano, nel campo, per molti aspetti, un’eccellenza internazionale, ritiene di dovere guidare un'azione di risarcimento coinvolgendo tutti gli atenei d'Italia, offrendo i risultati della ricerca internazionale sul tema e molte altre iniziative di divulgazioni per trasferire memoria e consapevolezza alle generazioni future.

 

Foto in alto: da sinistra, Maurizio Gabbrielli, Marco Filippeschi, Guido Cava, Nicoletta De Francesco, Pierdomenico Perata, Ilaria Pavan, Sandra Lischi.
Foto in basso: l’abbraccio tra la professoressa Nicoletta De Francesco e Guido Cava.

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