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Sono 153 i ragazzi che sabato 27 gennaio, con una cerimonia istituzionale che si è tenuta a Palazzo dei Congressi, hanno ritirato il diploma di laurea di primo livello in Ingegneria conseguita nel secondo semestre del 2017 all’Università di Pisa. I neolaureati hanno presentato una breve sintesi dell’attività svolta come prova finale, ricevendo poi il loro diploma di laurea o, se laureati con lode, una medaglia della Scuola interdipartimentale di Ingegneria appositamente realizzata.

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Un momento iniziale della cerimonia.

Alla cerimonia hanno partecipato Alberto Landi, presidente della Scuola di Ingegneria, l’assessora alle politiche socio-educative e scolastiche del Comune di Pisa, Maria Luisa Chiofalo, e il presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pisa, Chiara Fiore, che hanno rivolto messaggi di augurio e saluto ai neo-dottori e ai loro ospiti. Il 27 gennaio era anche la giornata della memoria. Il professor Landi ha letto un messaggio di saluto del rettore Paolo Mancarella che, in concomitanza del Giorno della Memoria, ha voluto ricordare la discriminazione e la persecuzione degli ebrei a cui dette avvio il primo provvedimento in "difesa della razza" firmato proprio a Pisa, nella tenuta di San rossore, invitando tutti a un minuto di raccoglimento.

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Alcuni neo-ingegneri ritirano il diploma.

La commissione, abbigliata nella tradizionale divisa comprendente toga, tocco e pettorina, era formata dal professor Massimo Ceraolo, presidente di cerimonia, e dai vari presidenti dei corsi di laurea che si sono alternati nelle varie sessioni della giornata. A Palazzo dei Congressi erano presenti per l’occasione anche alcuni stand di aziende che, grazie alla mediazione del Career Service dell’Università di Pisa, hanno potuto incontrare i neolaureati per la valutazione di future collaborazioni.

Un team internazionale ha identificato per la prima volta tutti i geni trascritti nella pianta di girasole “potenziata” grazie alla simbiosi con un fungo benefico che ne favorisce la crescita e lo sviluppo. La ricerca è stata condotta dai genetisti e microbiologi dell’Università di Pisa, coordinati rispettivamente dal professore Andrea Cavallini e dalla professoressa Manuela Giovannetti, e dai bioinformatici del Centro di ricerca inglese Rothamsted Research. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo editoriale "Nature".

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Il gruppo di ricerca: da sinistra, in basso: David Hughes, Rodolfo Bernardi, Alberto Vangelisti, Alessandra Turrini, Cristiana Sbrana, Andrea Cavallini; da sinistra, in alto: Manuela Giovannetti, Lucia Natali, Tommaso Giordani

“Il girasole è una delle quattro più importanti piante produttrici di olio, il prezioso olio di girasole, ricavato dai suoi semi e ricco di acidi grassi insaturi e vitamina E, che è sempre più utilizzato nell’industria alimentare - spiega Andrea Cavallini - Noi con questo studio abbiamo dimostrato che l’espressione di alcuni geni, fondamentali per la crescita e l’assorbimento dei nutrienti nel girasole, aumenta a seguito dell’instaurarsi della simbiosi con un fungo benefico”.

La collaborazione tra i genetisti, microbiologi e bioinformatici ha dunque portato alla identificazione del “trascrittoma”, cioè di tutti i geni espressi nella radice del girasole micorrizato, ovvero quando la pianta si trova a vivere in simbiosi con il fungo Rhizoglomus irregulare.


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“La disponibilità del trascrittoma del girasole così potenziato potrà portare in futuro alla selezione di piante più resistenti agli stress ambientali e all’attacco dei patogeni da impiegare in sistemi produttivi più sostenibili e resilienti - conclude Manuela Giovannetti – oltre che promuovere ulteriori studi sui meccanismi molecolari che sono alla base degli incrementi di crescita e di assorbimento dei nutrienti da parte del girasole per prodotti destinati all’alimentazione umana con elevate proprietà nutritive”.

 

fermi copertina libroE’ uscito per i tipi della Pisa University Press “Se il risultato è contrario all'ipotesi. I manoscritti giovanili di Enrico Fermi, un tesoro dell'Università di Pisa”. Nel volume sono pubblicati per la prima volta le copie fotografiche e autografe dei testi di Fermi, nove articoli usciti sulla rivista “Nuovo cimento” che vanno dal 1921 al 1924, corredati da un apparato critico con saggi di Giuseppe Pierazzini, Nadia Robotti, Francesco Guerra, Marco Maria Massai e Paolo Rossi.

Pubblichiamo di seguito la premessa a firma del rettore Paolo Mancarella.

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Il titolo di questa pubblicazione è ispirato da una frase di Enrico Fermi: “Ci sono soltanto due possibili conclusioni: se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura; se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta”. Già, le scoperte spesso si fanno proprio guardando oltre.

Nelle pagine che precedono le riproduzioni anastatiche degli scritti di Fermi, un vero e proprio tesoro custodito dalla nostra Università grazie a una donazione dei Lions, leggerete di un giovane molto dotato che si laurea con lode in Fisica all’età di 21 anni che però, nel suo soggiorno pisano, quando non frequenta le nostre aule, è attivo protagonista di imprese insospettabili.

Mette a frutto le sue doti di scalatore, collaudate nei dì di festa sulle vicine Alpi Apuane, per inerpicarsi, in piazza dei Cavalieri, sulla statua di Cosimo e ornargli il capo con un cilindro piumato. In questa sua attività parallela è addirittura collaudatore di ordigni tanto innocui quanto maleodoranti che si presteranno successivamente a una vasta diffusione.

Si conferma che il genio è espressione di una vivacità umana che trova anche altri modi per esprimersi e fa piacere sapere che il giovanissimo Enrico abbia potuto vivere i suoi anni pisani frequentando la spensieratezza. Negli anni successivi avrà modo di sviluppare il suo straordinario talento in un contesto ben diverso, gli anni bui del fascismo.

Com’è noto, colse l’occasione della consegna del Nobel (precocissima anche quella, aveva 37 anni) per allontanarsi definitivamente dall’Italia per un esilio non certo volontario. Sua moglie, Laura Capon, era ebrea e proprio poche settimane prima era stato promulgato il primo regio decreto per la “difesa della razza” che, ironia del destino, fu firmato proprio qui, nella Pisa dei suoi anni più allegri, da Vittorio Emanuele III. Era il settembre del 1938. Anche recuperare la memoria di questi episodi, pur nel loro contrasto e forse proprio per quello, può aiutarci a comprendere meglio il senso della vita e dell’umanità di un genio.

Non mi rimane che citare coloro che hanno ideato e curato questa pubblicazione, realizzata da Pisa University Press, Casa Editrice della nostra Università, e gli autori dei testi (i professori Francesco Guerra, Marco Maria Massai, Giuseppe Pierazzini, Nadia Robotti, Paolo Rossi) a cui, oltre al piacere della lettura e della scoperta di tante informazioni per me inedite, come si vede, ho attinto molto. A loro un grazie di cuore.

Paolo Mancarella
Rettore dell’Università di Pisa

 

Dopo la grande affluenza dello scorso sabato, la Biblioteca di Filosofia e Storia mette a disposizione degli studenti nuove sale aperte fino alle 20, per un totale di 120 posti.

Accogliendo le richieste dei ragazzi, l’Università di Pisa ha infatti recentemente attuato il progetto di prolungare l’orario di apertura della biblioteca in via Pasquale Paoli nei pomeriggi del sabato - fino alle ore 20 appunto - garantendo i servizi bibliotecari di prestito e consultazione. Tale progetto è stato avviato in forma sperimentale a partire da sabato 20 gennaio e si protrarrà fino alla fine di giugno 2018.

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Il professore Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa sarà uno degli ospiti dello speciale di Radio3 della Rai che andrà in onda da Livorno sabato 27 gennaio in occasione del Giorno della Memoria. La trasmissione sarà trasmessa in diretta dal Teatro Goldoni dalle 20.30 alle 22.30 e condotta dal direttore di Radio3 Marino Sinibaldi. Sarà una serata ricca di testimonianze e riflessioni: insieme a Fabrizio Franceschini, linguista dell’Ateneo pisano, saranno sul palco i testimoni Aldo Liscia, Pierina Rossi, Edi Bueno, Gabriele Bedarida, il presidente della Comunità ebraica livornese Vittorio Mosseri, gli storici Lucia Frattarelli Fischer, Catia Sonetti, Gabriella Puntoni e il cantautore e scrittore Simone Lenzi.

“Nel mio intervento – racconta Franceschini – mi soffermerò in particolare sul Bagitto, una varietà linguistica giudeo-italiana tipica di Livorno e attestata dalla fine del XVIII secolo, il termine viene dallo spagnolo ‘hablar bajito’, cioè ‘parlare sottovoce, in modo celato’ a significare l’idea di un linguaggio segreto, una lingua che proprio per questa sua natura diventerà anche uno strumento di opposizione velata al fascismo oltre ad costituire una forte componente identitaria per la comunità ebraica livornese”.

 

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Le celebrazioni dell’Ateneo pisano per il Giorno della Memoria continuano quindi con un altro appuntamento organizzato dal Centro di Studi Ebraici (CISE). Venerdì 2 febbraio alle 10 a Palazzo Matteucci (Piazza Torricelli 2, Pisa) la professoressa Elisa Guida presenterà il suo libro "La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah". Ne discuteranno con l'autrice i professori Arturo Marzano, Guri Schwarz e la direttrice del CISE Alessandra Veronese. L'appuntamento fa parte delle celebrazioni cittadine organizzate dal Comune di Pisa di concerto con associazioni, enti, scuole e università: qui tutto il programma.

Il Giorno della Memoria di quest’anno coincide con l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali nella tenuta di San Rossore a Pisa. Proprio negli giorni scorsi in Ateneo è stato presentato il programma delle iniziative "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali" che sarà organizzato il prossimo settembre e a cui è arrivato anche il sostegno di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

“Desidero esprimervi tutto l'apprezzamento dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per le prestigiose ed efficaci iniziative che state predisponendo – ha scritto Noemi Di Segni in una lettera all’Ateneo - Uno sforzo condiviso, che mette al centro l'inestimabile contributo dell'università italiana alla crescita del paese e alla trasmissione di responsabilità e valori. Nella città in cui il re Vittorio Emanuele III avallò l'infamia delle Leggi razziste, un impegno accademico di altissimo livello per affermare principi che l'intero paese è chiamato a difendere senza tregua davanti a nuove inquietanti minacce”.

“Contro nuove forme e nostalgici razzisti e neofascisti come quelli cui ormai quotidianamente assistiamo - conclude quindi la presidente Di Segni - è fondamentale che le nostre eccellenze nel campo dell'educazione e della formazione mettano in campo le loro migliori professionalità. L'educazione è l'unica vera speranza che abbiamo per assicurare un futuro a questo paese. Vi sono per questo grata per l'esempio che state offendo a tutto il paese”.

 

SleepActa, spin-off dell’Università di Pisa, ha concluso con successo la raccolta di capitale su un portale autorizzato dalla Consob (starsup.it). Ha infatti raggiunto l’obiettivo di 200 mila euro grazie a 55 investitori privati che hanno investito in media 4 mila euro a testa. La società può così dedicarsi allo sviluppo commerciale del nuovo prodotto “Dormi”, un servizio di monitoraggio del sonno che, grazie all’utilizzo di comodi braccialetti sensorizzati, è ideato per chi soffre di insonnia ma preferisce andare in farmacia piuttosto che in ospedale. E la sperimentazione in questo caso parte proprio da Pisa: al momento “Dormi” è disponibile in esclusiva nella Farmacia Raimo.

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La tecnologia di SleepActa è incentrata su un algoritmo basato su reti neurali artificiali. La start up è così in grado di offrire un servizio di analisi del sonno e di refertazione automatica tramite activity tracker indossabili. I dati sono raccolti 24 ore su 24 grazie a dei semplici braccialetti usati dagli appassionati di fitness. Il medico o il farmacista di riferimento devono solo abbinare il braccialetto del paziente a un computer e dopo una settimana inviare i dati a SleepActa e ottenendo così il referto via email in pochi minuti.


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“Abbiamo rivoluzionato un vecchio esame, l’actigrafico, aggiornandolo al 2018 – dichiara Ugo Faraguna (foto sopra) professore dell’Ateneo pisano e l’amministratore unico di SleepActa - la metodologia che proponiamo ha molti vantaggi: non è invasiva, consente al paziente di utilizzare il braccialetto che possiede e rende più veloce l’inquadramento da parte del medico e, con Dormi, del farmacista”.

“Stiamo preparando una rete capillare di farmacie con l’obiettivo di essere presenti con ‘Dormi’ in tutto il territorio nazionale e a breve in terra straniera – conclude Faraguna - Al momento il prodotto è in vendita in esclusiva a Pisa, ma stiamo registrando ovunque un grande interesse. Nelle farmacie convenzionate sarà disponibile una lista di specialisti accreditati, che consentiranno di accedere a un percorso diagnostico e terapeutico grazie al coinvolgimento di una rete di medici del sonno esperti nel trattamento dell’insonnia e altri disturbi del sonno”.

La soluzione semplice, non invasiva e veloce di SleepActa è fondamentale per poter inquadrare correttamente i disturbi del sonno sempre più diffusi tra la popolazione. In Italia 8 milioni di persone soffrono di insonnia e il 93% non si è mai rivolto a un medico. Eppure gli italiani spendono ogni anno mezzo miliardo di euro per l’acquisto di sonniferi. Nel 66% dei casi l’insonnia si protrae per oltre un anno e il 70% delle persone assume sonniferi senza controllo medico da almeno 2 anni. Il 67% delle persone che soffrono di insonnia ha una bassa qualità della vita e i colpi di sonno alla guida causano mille morti e 120 mila feriti l’anno.

 

Alcuni giorni fa è scomparsa la professoressa Regina Pozzi, a lungo docente di Storia moderna all’Università di Pisa. Nata nel 1940 a Valenza, in provincia di Alessandra, la professoressa Pozzi si era laureata all’Università di Pisa come allieva della Scuola Normale, iniziando la sua carriera accademica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Ateneo pisano nel 1980. È stata direttore del dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dal 1987 al 1990 e dal 1995 al 1998. Dal 2006 era in pensione.

Per ricordare la sua figura, pubblichiamo qui di seguito l’introduzione al volume «Pensare l’Ottocento» (Pisa University Press, 2012), a firma della professoressa Cristina Cassina, ricercatrice di Storia delle discipline politiche al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e sua allieva. Il libro rende omaggio alla lunga carriera negli studi della professoressa Pozzi e la sua “Introduzione” restituisce un ritratto esauriente del suo pensiero scientifico, i cui tratti distintivi, come - si legge qui di seguito - furono il “genio” e l’“audacia”.

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Cover pensar webù«Per Regina Pozzi» recita il sottotitolo. Si allude, così, in punta di piedi, quasi sottovoce, alla ragione da cui muove questo volume, “pensato” per rendere omaggio alla studiosa che invita a «Pensare l’Ottocento». Un gioco di parole e un gioco di azione-reazione: riflettere sul laboratorio del diciannovesimo secolo, oggi, vuol dire riflettere anche sulla sua produzione scientifica. Che difatti è al cuore di questo volume nato, a sua volta, in due tempi. Il primo ci riporta al 18 febbraio 2010: a una giornata, organizzata a Pisa, per salutare l’attività di Regina Pozzi come docente universitaria. Molti saggi qui raccolti sono stati presentati quel giorno. Altri sono giunti in un secondo momento: ad allargare l’orizzonte dei problemi, certo, ma anche per tentare di superare un limite comune a tante iniziative editoriali nate con il medesimo intento.

I libri concepiti per rendere omaggio a una lunga carriera negli studi, voglio dire, nascono quasi sempre con un difetto: sono un poco claudicanti perché il più delle volte lacunosi. E il presente volume non fa eccezione. Pur affrontando tante questioni, esso non riesce a rendere conto di tutte le linee di ricerca aperte da Regina Pozzi. Il problema, per fortuna, ha due facce: se molte sono le domande e ancor più gli interessi, è forse possibile racchiudere tutto in un volume? Insomma, la studiosa a cui questi studi e queste ricerche sono dedicati di un tale limite non deve affatto rammaricarsi.

Così come non me ne vorrà se, invece di ricostruire cronologicamente la biografia accademica, procederò in modo disordinato e partirò da uno spunto che, se venisse dalla sua penna, potrebbe dirsi di ego-histoire: da un rilievo sul nome.

Un nome importante e molto impegnativo: Regina. non a caso i compagni di studi preferirono chiamarla Ginetta, come nel suo ambito familiare e d’origine, e così hanno continuato. Poi, con il tempo, parallelamente allo sviluppo della carriera, il nome ha ritrovato una dimensione “normale”, più consona e proporzionata al nuovo ruolo assunto in campo professionale.

Questi due modi di rivolgersi a lei ancor oggi coesistono. Lo si è visto nella giornata del 18 febbraio. Se torno con il pensiero a chi ha portato i saluti delle istituzioni (Alfonso Maurizio Iacono e Giuseppe Petralia, Salvatore Settis e Daniele Menozzi); a chi ha presieduto le sessioni (Claudio Pavone e Adriano Prosperi); ai relatori (Michele Battini, Luca Scuccimarra, Cristina Cassina, Girolamo Imbruglia, Franco Sbarberi, Pier Paolo Portinaro, Mauro Moretti, Françoise Mélonio, Lucien Jaume); e soprattutto ai molti presenti, tra cui tanti colleghi venuti anche da parecchio lontano, ciò che subito salta all’occhio è la presenza di più generazioni. Così, quel giorno, per gli uni era Ginetta, per gli altri Regina; non è un caso se anche nei saggi qui raccolti i due diversi modi ritornano. Aggiungo che io l’ho conosciuta nella seconda fase della sua carriera e, per me, è sempre stata Regina.

Anche i luoghi che hanno ospitato quella giornata molto ci dicono sul suo percorso. La prima parte presso il dipartimento di Storia, dove Regina Pozzi era entrata nel 1968 come assistente di ruolo. Nel 1980, il passaggio a professore ordinario. Nell’Istituto, poi dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea, poi dipartimento di Storia, ha svolto la maggior parte della sua attività didattica e scientifica: ha tenuto corsi di «Storia moderna» e di «Storia della Francia», di «Storia della storiografia contemporanea» e di «Storia contemporanea»; ha coordinato progetti di ricerca locali e nazionali, con il contributo finanziario dell’Ateneo, del CNR, del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica. Per due volte è stata chiamata alla direzione del dipartimento, un ruolo che ha ricoperto nel triennio 1987-90 e poi dal 1994 al 1997.

La seconda parte della giornata, nella sala degli Stemmi della Scuola normale Superiore, ci porta ancora più indietro. Dopo gli studi al liceo classico di Alessandria, Regina Pozzi si trasferisce a Pisa, dove aveva vinto il concorso come allieva della classe di Lettere. Più che i singoli passaggi del corsum studiorum è utile ricordare chi furono, alla Facoltà di Lettere e Filosofia e alla Scuola normale, i suoi maestri “pisani”: Nicola Badaloni, Ottorino Bertolini, Delio Cantimori, Emilio Gabba, Arsenio Frugoni, Giovanni Miccoli, Ettore Passerin d’Entrèves, Guido Quazza, Carlo Ludovico Ragghianti, Luigi Russo. E tra tutti, Armando Saitta, a sua volta allievo di Gentile e Cantimori, il relatore della sua tesi di laurea e del diploma di perfezionamento in Normale.

Dipartimento di Storia e Scuola Normale Superiore: per chi non conoscesse Pisa, queste istituzioni distano poche centinaia di metri. Dunque una breve porzione di spazio che però, nel caso di Regina Pozzi, racchiude un bel tratto della sua carriera scientifica. La quale, per quanto attiene ai luoghi, abbraccia anche lunghi periodi trascorsi a Parigi: prima, come studentessa e perfezionanda, anche grazie alle opportunità offerte dalla Scuola Normale; poi, più volte, in qualità di professore invitato presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Dopo tanta Pisa, e tanta Parigi, una lunga parentesi istituzionale romana: presso il prestigioso Centro Interdisciplinare «Beniamino Segre» dell’Accademia nazionale dei Lincei, dove Regina Pozzi è stata chiamata nel triennio 1990-1993.

Questa tessitura di rapporti, di scambi e di esperienze, umane e culturali, si è ri essa nell’occasione del 18 febbraio. Che ha riunito, per Regina, studiosi provenienti dalle università di Parigi, Torino, Siena, Macerata, Napoli e, naturalmente, Pisa. Per dare conto del suo lavoro, hanno preso la parola francesi e italiani, studiosi di storia moderna e di storia contemporanea, di storia del pensiero politico e di storia della storiografia. Quasi a ricordare, di contro alla tendenza a uniformare le strutture della ricerca (tendenza, questa, che, contrariamente al secolo a cui Regina più si è consacrata, si potrebbe a ragione dire “stupida”), come e quanto sia invece fecondo, se non necessario, il dialogo tra diversi ambiti disciplinari.

Venendo al volume, ho detto che gran parte dei saggi sono stati presentati nel corso della giornata a lei dedicata. I primi due, che formano una sezione a sé, si confrontano con il tema delle sue domande storiografiche, delle scelte da lei compiute, di un modo tutto suo di guardare al lungo ottocento: mi riferisco ai lavori di Michele Battini, che a lungo dialoga con Regina attraverso il variegato prisma delle culture post-illuministiche; e di Françoise Mélonio, autrice di uno schizzo sintetico, penetrante e intuitivo. Nella seconda sezione sono invece raccolti contributi che si soffermano su nodi specifici dei suoi interessi. Tutti affrontano, in modo diretto o indiretto, uno o più cantieri aperti dalle sue molteplici ricerche. Ma forse è il caso di dire di più: tornano a lavorare i temi – antipolitica, scientismo, la nuova storia, il pensiero della decadenza, i molti volti e i mille dilemmi del liberalismo – e soprattutto gli autori a lei più cari, nel senso che maggiormente l’hanno sollecitata nel suo percorso: in particolare Guizot, Tocqueville, Taine, Renan.

Sarebbe riduttivo rendere conto del contenuto e del significato di questi saggi. Ancor più difficile entrare nei vuoti e nelle assenze di cui dicevo in apertura. Mi viene in mente, tra quelle macroscopiche, l’assenza di Thierry e della questione del pensiero razziale (a parte un breve richiamo nel lavoro di Battini); soprattutto il discorso, complesso, articolato, ripreso in più momenti e sotto varie forme (“regina”, tra queste, la recensione), sulla rivoluzione francese. La bibliografia che segue, forse non del tutto completa, è utile per orientarsi anche in questa parte della sua produzione.

Torno allora al suo modo di lavorare. Non intendo però pronunciarmi sul metodo storiografico di Regina Pozzi. Prendendomi un certo rischio, ho invece da proporre una notazione non del tutto estranea all’ordine, per così dire, morale (non saprei in quale altro modo definirlo). Se guardo al suo percorso scientifico, vedo brillare anche una punta di audacia (non d’imprudenza). Perché, inutile negarlo, ce n’è voluta una bella dose per andare a sollevare i veli della storia politica alla fine degli anni Settanta. Sì, certo, l’acuto sguardo dell’osservatrice straniera, Françoise Mélonio, rileva che gli studi politici nel nostro paese vantavano, allora, una tradizione più consolidata. Ma è necessario aggiungere che Regina Pozzi, quel velo, lo ha sollevato in tempi in cui anche da noi imperava quella che si definiva storia sociale. Ed è in quella particolare stagione che, da storica, attraverso ricerche di storia della storiografia, ha additato i nodi della politica ai colleghi della disciplina. Ha perorato una causa che, in quel momento, non sembrava certo vincente. Una certa audacia occorre pure per resistere a certi imperativi accademici: le pubblicazioni mostrano che più che la quantità, venuta poi a ruota, Regina ha perseguito la qualità e, in questa, lo scavo profondo; del resto, il suo frequente ritorno a certi autori, interrogati ogni volta da prospettive nuove e diverse, così come la messa a tema di categorie e concetti particolarmente pregnanti, risponde e – in qualche modo – enuncia un preciso progetto culturale, coltivato con perspicacia e infaticabile curiosità. Così come, nel confronto scientifico, non si è certo tirata indietro quando c’era da battagliare; ne ricordo bene un esempio, a un colloquio a Cérisy, in Francia: ripensandoci, c’è voluto un coraggio da leonessa a suggerire tratti proto-fascisti nel pensiero di Auguste Comte nel corso di un’importante riunione di appassionati “comtisti”.

«L’audacia» scrisse Goethe «ha del genio, del potere, della magia». A me sembra che nel percorso scientifico di Regina Pozzi queste cose ci siano tutte. Dell’audacia ho già detto. Del genio può offrire un’idea, certo molto parziale, anche questo volume; più che oggi, però, è questo un lato che si potrà valutare meglio nel tempo. Alle responsabilità del potere, intendo quello accademico, non si è sottratta; l’ha esercitato con intelligenza e fermezza fin dalla sua nomina, ancora molto giovane, a professore ordinario.

Quanto alla magia, che dire? Perché molte sono le forme che essa può assumere: quantomeno la forma della professione docente e quella di una prosa “intrigante”, ma anche quella che nasce da domande profonde, mai di moda, mai banali. Nel suo percorso, però, la magia è apparsa anche in altra veste. I testi – bellissimi – con cui Regina Pozzi si è confrontata nel corso del suo lavoro, sono infatti testi ricchi di insidie. Il tempo da lei studiato, non a caso, è anche detto il tempo dei profeti: è l’età degli “incantatori” e dei mages romantiques. Ebbene, alla magia di quelle seduzioni lei sa opporre la solidità di un lucido progetto intellettuale, qui riassunto nella formula «Pensare l’Ottocento». Sicché a me sembra che se hanno cantato, le sirene, di fronte a Regina hanno cantato invano.

Cristina Cassina

pianodigitale.pngDal 18 al 20 gennaio a Bologna si è svolto "Futura", un evento organizzato da Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) per fare il punto sui primi dueanni del Piano Nazionale Scuola Digitale e rilanciare le politiche per l’innovazione del sistema educativo. Fra i partecipanti ai lavori c'era anche Andriano Fabris, ordinario di Filosofia morale al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che in questi anni è stato consulente del MIUR per il Piano Nazionale Scuola Digitale sul tema dell'etica delle tecnologie, con particolare riferimento al loro utilizzo in ambito didattico.

Pubblichiamo di seguito un suo breve intervento.

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In che modo l’utilizzo dei dispositivi tecnologici può contribuire all’apprendimento nel caso delle giovani generazioni? Lo può fare per tutte le discipline? Lo può fare qualunque sia l’età degli studenti? Sono domande che da tempo interessano non solo gli studiosi dell’educazione, ma anzitutto gli insegnanti.

Le risposte che a tali domande sono state fornite, in vari paesi del mondo, risultano talvolta diverse fra loro. Comune, però, è la consapevolezza che sia necessario affrontare il problema. Ecco perché il MIUR ha istituito un gruppo di lavoro che ha individuato alcune linee guida sull’argomento. Ho fatto parte di questo gruppo – composto da scienziati, filosofi, pedagogisti, insegnanti, ricercatori – e ho contribuito a redigere il “decalogo” che è stato presentato lo scorso fine settimana.

Di che cosa si tratta? Il punto di partenza è dato dalla constatazione che gli strumenti tecnologici non sono semplicemente dei mezzi di comunicazione, ma costituiscono le chiavi d’accesso a un ambiente che è caratterizzato da una grande attrattività, che incide in maniera profonda nelle vite degli studenti e che non può essere semplicemente rigettato o messo in concorrenza rispetto all’ambiente formativo. La competizione, infatti, sarebbe già perduta in partenza.

Perciò è necessario pensare a una didattica che includa, non già che escluda l’utilizzo dei devices tecnologici, e che se ne serva. Dev’essere perseguita cioè una vera e propria integrazione del loro uso nel contesto della formazione. La questione centrale, però, riguarda come dev’essere concepita e realizzata questa inclusione. Ci dev’essere infatti un punto di equilibrio tra le esigenze dell’apprendimento e le opportunità a cui danno accesso gli apparati tecnologici. Si tratta di opportunità che hanno di solito risvolti ludici o commerciali. L’apprendimento è certo altra cosa. Proprio perciò è necessario distinguere un uso pubblico e un uso personale degli strumenti digitali, e regolamentarli in maniera adeguata e condivisa.

Su questi punti il dibattito si sta oggi sviluppando. Ed è un bene: perché sarebbe non solo illusorio, ma proprio sbagliato, assumere nei confronti delle tecnologie un atteggiamento proibizionistico. Sarebbe come, di fronte all’esistenza di disturbi alimentari, costringere tutti al digiuno, invece che educare a corrette forme di nutrizione.

Adriano Fabris

Il 5 settembre del 1938, nella tenuta di San Rossore a Pisa, il re Vittorio Emanuele III appose la firma al primo provvedimento in difesa della razza: il “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Iniziò con questo atto la discriminazione delle persone di razza ebraica da parte dello Stato italiano, che nel giro di qualche anno portò alla persecuzione, alla deportazione e allo sterminio di quasi 8.000 ebrei (ai quali vanno aggiunti circa 2.000 deportati dai possedimenti), dei quali solo 826 riuscirono a sopravvivere. Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di questo processo. Solo nell'Ateneo di Pisa furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al 1938.
La consapevolezza di tutto ciò ha spinto l'Università di Pisa, insieme con la Scuola Normale Superiore e la Scuola Superiore Sant'Anna, a ricordare quel periodo oscuro con una serie di iniziative che si svolgeranno nel prossimo mese di settembre, nell'80° anniversario della firma delle leggi razziali a San Rossore, volte a trasferire memoria e consapevolezza di questo orrore alle generazioni a venire e a rendere omaggio e risarcimento alla memoria di coloro che ne furono vittime.

In prossimità del Giorno della Memoria del 27 gennaio, le tre istituzioni universitarie hanno illustrato il programma di massima degli appuntamenti, che stanno definendo in collaborazione con il Comune di Pisa, la Regione Toscana, le Comunità ebraiche nazionali e locali, il Provveditorato agli studi di Pisa, la RAI, l'Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreco) di Livorno e la Fondazione Palazzo Blu. Alla presentazione, che si è tenuta lunedì 22 gennaio a Palazzo alla Giornata, sono intervenuti la prorettrice vicaria dell'Università di Pisa, Nicoletta De Francesco, e la delegata dell’Ateneo per la comunicazione e la diffusione della cultura, Sandra Lischi, il rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, Pierdomenico Perata, la storica contemporanea Ilaria Pavan, in rappresentanza della Scuola Normale Superiore, il sindaco Marco Filippeschi, il presidente della Comunità ebraica pisana, Maurizio Gabbrielli, lo storico dell'Università di Pisa, Michele Battini.
Toccante e altamente significativa è stata poi la testimonianza di Guido Cava, presidente emerito della Comunità ebraica pisana, che oggi ha 88 anni e che nel settembre del 1938 aveva 8 anni. "Mio padre - ha ricordato - si presentò a casa e disse a me e mio fratello Enrico che dall'indomani non saremmo più potuti andare a scuola. Alle nostre domande, non seppe rispondere. Non poteva spiegare una cosa inspiegabile e borbottò solo 'perché non si può più'".

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Il programma di iniziative su "San Rossore 1938. Per ricordare l’80° anniversario della firma delle leggi razziali", che è in attesa dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, si aprirà il 5 settembre con la Cerimonia del ricordo nei luoghi della firma a San Rossore e proseguirà secondo il calendario seguente:

Cerimonia del ricordo: Il 5 settembre nella tenuta di San Rossore.
Attività di divulgazione per gli studenti: Nell’Ateneo e nelle scuole del territorio attività d’incontro, confronto e divulgazione.
Mostra “Ebrei in Toscana XX e XXI secolo”: A cura di Istoreco Livorno e Scuola Normale Superiore in collaborazione con il Comune di Pisa.
Convegno: “Tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e sulla Shoah”: Il 20 e 21 settembre Convegno internazionale con il contributo di storici da: Pisa, Torino, Chicago, Edinburgo, Cambridge, Gerusalemme, Providence, Parigi e altre.
Ciclo di film e spettacoli nella sede della mostra, in teatro e in strada sui temi dell’antisemitismo e della Shoah.
Ciclo di incontri con la cittadinanza: Varie sedi
Anche l'Internet Festival e il Festival della Robotica ospiteranno attività inerenti l’anniversario.
In ricordo degli studenti e dei docenti allontanati dall’università a causa delle leggi è prevista un’iniziativa specifica e la collocazione di testimonianze di memoria perenne.

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Note storiche e intenzioni degli organizzatori

In un luogo a due passi da noi – la tenuta di San Rossore - iniziò il calvario degli ebrei italiani. Fu lì, infatti, che il 5 settembre del 1938, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento in difesa della razza: “Regio decreto n. 1381 - Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Era la concretizzazione di un’intenzione annunciata già nel ‘37 da un libello di Paolo Orano, “Gli ebrei in Italia”, il primo atto di una campagna di discredito e falsità che comprese anche la ristampa e la diffusione di un testo, già noto come clamoroso falso storico: “I protocolli degli Savi Anziani di Sion”. Le leggi dovevano trovare il loro humus nel favore dell’opinione pubblica.

Il decreto di quella prima firma fu poi integrato con quello sulla scuola che promuoveva “la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana” allontanando tutti i docenti e gli studenti ebrei. Dopo aver disegnato il profilo burocratico dell’appartenente alla razza ebraica, si vietarono matrimoni misti, si cancellarono gli ebrei dagli impieghi pubblici, dalle aziende partecipate, dall’esercito, dalle banche. Successivamente, sempre a San Rossore, altre firme, nel ‘39, nel ‘40, nel ‘42, in cui gli ebrei venivano, come in un crescendo, impediti dall’esercitare professioni, e si completò l’azione di spoliazione dei loro beni e immobili. La conseguenza estrema delle leggi di quegli anni furono la deportazione e lo sterminio.

Nel nostro paese (che vide nascere campi di concentramento e smistamento: Calvari, Bagno a Ripoli, Bagni di Lucca, Tonezza, Forlì, Fossoli, San Sabba), in nome di quelle leggi, furono organizzati rastrellamenti che talvolta culminarono in stragi sul posto, come sul lago Maggiore, 54 morti, o in deportazioni: dal cuneese, da Merano, dal ghetto di Roma dove, la comunità, dopo aver accettato l’imposizione di una taglia che fu consegnata, dall’alba al tramonto del 16 ottobre ‘43, subì il più organizzato rastrellamento mai visto con la deportazione di più di 1.000 persone. Come per un segno del destino, sempre a Pisa, si chiuse questa infame parentesi con uno degli atti più feroci e gratuiti che, nell’agosto del ‘44, vide l’eccidio di Giuseppe Pardo Roques e degli undici ospiti della sua abitazione in via Sant’Andrea. Tra gli ebrei italiani vittime dell’Olocausto 615 erano toscani.

Le università italiane furono coinvolte e, spesso, complici di tutto questo. Solo nel nostro Ateneo furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al ’38. Le iniziative che l’Ateneo, con la collaborazione della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna, intraprende oggi, sono anelli di una catena di messaggi fra la storia, la memoria e l’oggi. Si torna a Pisa 80 anni dopo non solo perché qui furono siglati i decreti, ma perché il sistema universitario pisano, nel campo, per molti aspetti, un’eccellenza internazionale, ritiene di dovere guidare un'azione di risarcimento coinvolgendo tutti gli atenei d'Italia, offrendo i risultati della ricerca internazionale sul tema e molte altre iniziative di divulgazioni per trasferire memoria e consapevolezza alle generazioni future.

 

Foto in alto: da sinistra, Maurizio Gabbrielli, Marco Filippeschi, Guido Cava, Nicoletta De Francesco, Pierdomenico Perata, Ilaria Pavan, Sandra Lischi.
Foto in basso: l’abbraccio tra la professoressa Nicoletta De Francesco e Guido Cava.

Da sabato 20 gennaio la Biblioteca di Filosofia e Storia dell’Università di Pisa, situata a Palazzo Carità in via Pasquale Paoli 9, prolungherà il proprio orario di apertura. Tutti i sabati, infatti, la Biblioteca, finora aperta fino alle ore 13, proseguirà l’apertura al pubblico fino alle ore 20, con il servizio di prestito e consultazione.

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Inoltre è stata riaperta, dopo i lavori di riqualificazione, l'aula studio posta al piano terra di Palazzo Curini-Galletti, in via Santa Maria 89, che è composta da due piccoli ambienti per complessivi 25 posti banco. Lo spazio, ripristinato dopo alcuni anni di chiusura e dopo ristrutturazione anche dei servizi igienici, fa parte di un edificio che ospita alcune aule dell'area umanistica e dei laboratori del Centro Linguistico d'Ateneo. La sala sarà aperta dal lunedì al venerdì, dalle ore 8 alle 19.

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