La vera rivoluzione del computer non è ancora avvenuta
Alan Curtis Kay è uno dei pionieri della programmazione objet-oriented, del personal computing e delle interfacce utente grafiche. Negli ultimi anni è anche uno degli informatici più impegnati nel progetto “One Laptop Per Child”, nato da un’idea di Nicholas Negroponte. L’iniziativa, che ha lo scopo di dotare tutti i bambini del mondo di un computer portatile al costo di 100 dollari, è stata presentata, dallo stesso Kay, in occasione della Cerimonia di conferimento della laurea specialistica honoris causa in Informatica che il nostro Ateneo ha attribuito allo scienziato nel giugno scorso. Nell’occasione Kay ha mostrato, in anteprima europea, un modello del laptop. Per i lettori di Athenet pubblichiamo una sintesi della Lectio Magistralis.
Alan Curtsi Kay con un laptop da 100 dollari
Trentadue anni fa, nel 1975, ebbi la fortuna di essere invitato a Pisa assieme ad altri colleghi americani per celebrare il ventesimo anniversario della nascita dell’informatica in Italia. In quell’occasione presentai un articolo sui nostri primi esperimenti con il personal computing allo Xerox PARC.[…].
Avrei la tentazione di riprendere in mano quell’articolo ed esaminare quale influenza ha avuto il nostro lavoro di allora. Preferisco però parlare, più che del passato, delle possibilità future. Per questo motivo mi sono limitato a scrivere delle brevi note storiche per fornire un po’ di contesto al lavoro del 1975, mentre in questa sede vorrei provare a parlare di alcuni dei doni più importanti, e spesso nascosti, che la diffusione mondiale dei personal computer collegati in rete può portare all’umanità.
Una connessione con il passato è comunque data dal fatto che i ricercatori che inventarono le tecnologie fondamentali per i personal computer, cioè gli schermi a matrice di bit, le finestre sovrapposte, le interfacce a icone e a puntamento, la programmazione orientata agli oggetti, la stampa laser, Ethernet e Internet, furono motivati dai successi e dalle trasformazioni introdotti dalla carta stampata.
Per dirla semplicemente, nel XV secolo si pensava alla stampa solo come a un modo economico per produrre documenti scritti, ma nel XVII secolo le sue peculiarità avevano completamente cambiato il modo in cui le idee importanti venivano concepite. […] Le due idee più importanti furono la scienza e i nuovi modi di organizzare la vita politica […].
Questi cambiamenti nel pensiero cambiarono anche il significato dell’“alfabetizzazione”, perché alfabetizzazione non significa solo saper leggere e scrivere, ma significa anche saper gestire fluentemente le idee abbastanza importanti da essere messe per iscritto e discusse. Una delle proprietà speciali della stampa era la sua capacità di replicare fedelmente un testo corretto dall’autore, consentendo la nascita di una forma molto diversa di argomentazione. Oggi possiamo vedere che nella rivoluzione tipografica l’evoluzione degli argomenti e quella dei modi della discussione intellettuale sono profondamente intrecciate. Un modo perguardare alla rivoluzione della stampa nei secoli XVII e XVIII consiste nel vedere la co–evoluzione del che cosa veniva discusso e del come l’argomentazione veniva svolta. Si è presa infatti l’abitudine a parlare sempre di più del modo in cui il mondo reale era costituito, sia fisicamente che psicologicamente, e l’argomentazione veniva svolta sempre di più usando (e inventando) la matematica e cercando di dare al linguaggio naturale forme più logicamente connesse e meno simili alla narrazione di una storia.
Una delle cose che capimmo sui computer negli anni Sessanta è che queste macchine potevano produrre nuove e più potenti forme di argomentazione su molte cose importanti grazie alle simulazioni dinamiche. Cioè, invece di asserire tesi in modo piuttosto arido, come può essere fatto usando prosa ed equazioni matematiche, il computer poteva sviluppare le implicazioni di una tesi per far capire meglio se la tesi stessa costituiva o meno un modello valido della realtà. Comprendemmo inoltre che, se l’alfabetizzazione del futuro avesse potuto includere la scrittura di questi nuovi tipi di tesi e non solo la loro fruizione (lettura), avremmo ottenuto l’invenzione più importante che ci fosse stata dopo quella della stampa: qualcosa che molto probabilmente avrebbe potuto cambiare in meglio il pensiero umano.
È proprio il caso di dire che avevamo delle aspirazioni ambiziose! Dall’invenzione della stampa ai grandi cambiamenti del XVII secolo passarono centocinquant’anni e questo significa che nel complesso della società la rivoluzione avvenne perchè i bambini gradualmente crebbero con la prospettiva di essere ingrado di pensare, discutere, apprendere e comunicare con parole scritte incisivamente in forme sempre più connesse. Le nostre idee in proposito presero formadopo l’incontro, avvenuto nel 1968, con Seymour Papert, un matematico che aveva tra l’altro inventato il linguaggio di programmazione per bambini LOGO e che iniziava a mostrare che certe forme di matematica avanzata, presentate su un computer in forma dinamica, si adattavano perfettamente al modo in cui i bambini potevano pensare.
Come aveva osservato McLuhan negli anni Cinquanta, quando un nuovo mezzo di comunicazione arriva sulla scena esso viene dapprima rifiutato in quanto “troppo strano e diverso”, ma poi spesso viene gradualmente accettato se può includere i vecchi consueti contenuti. […]. Dunque, all’epoca avevamo intuito che la capacità del computer di imitare altri media […] lo avrebbe aiutato a consolidarsi nella società e al tempo stesso che questo avrebbe anche reso difficile per lamaggior parte delle persone capire di che cosa si trattava in realtà. Il nostro pensiero era: ma se riusciamo a fare in modo che i bambini imparino davvero, allorain poche generazioni avverrà un enorme cambiamento. Trentadue anni più tardi le tecnologie che la nostra comunità di ricerca ha inventato sono oggetto di uso generale da parte di oltre un miliardo di persone e abbiamo gradualmente imparato come insegnare ai bambini. Ma sembra che la vera rivoluzione impiegherà più tempo di quanto il nostro ottimismo suggeriva, in gran parte perché gli interessi commerciali ed educativi nei vecchi media e modi di pensare hannocongelato il personal computing sostanzialmente al livello in cui “imita” carta, registrazioni, film e TV.
Nel frattempo, quello che i computer possono davvero fare – sia in termini di simulazione che di argomentazione – è stato compreso dalle discipline scientifiche, matematiche, dell’ingegneria e del design. Coloro che sono interessati alle visioni di Papert per cambiare in meglio la natura del pensiero dei bambini, peraiutarli ad apprendere “idee potenti” costruendole effettivamente, hanno fatto molti progressi negli ultimi tre decenni. Adesso c’è molto da dire, mostrare e insegnare su “ciò che i bambini possono fare’. […].
Le macchine e gli strumenti software sono principalmente rivolti al mondo del lavoro e, marginalmente, all’utenza domestica. Questo mostra una grossolana e disastrosa ignoranza dei bisogni del mondo. Sono le nuove idee e i nuovi modi di pensare ciò di cui i bambini del mondo hanno bisogno, e un computer per bambini è necessario per il fatto che questo è adesso il modo migliore per apprendere queste nuove idee... ed è anche molto meno costoso della carta per i libri e di altri media conversazionali.
Due anni fa, diversi membri della comunità di ricerca che inventò il personal computing negli anni Sessanta decisero di creare un personal computer laptop estremamente economico – un Dynabook – per tutti i bambini del mondo. Questa iniziativa – chiamata “One Laptop Per Child” (OLPC) – fu iniziata da Nicholas Negroponte e coinvolge ricercatori vecchi e nuovi, incluso Seymour Papert, il nostro istituto di ricerca e molti altri progettistiinteressati e dedicati, tutti motivati a superare gli enormi ostacoli creati dagli interessi commerciali.
Questa comunità è sempre stata disposta a progettare e costruire tutto quanto necessario, senza chiedersi se i produttori hanno già strumenti e materiali adeguati. Il minicomputer Alto dello Xerox PARC è un buon esempio di questo atteggiamento. Tutto l’hardware e tutto il software per l’Alto furono fatti al PARC e lì fu creata anche una piccola catena di montaggio che costruì in totale circa 2000 di questi primi personal computer moderni. Oggi la maggior parte dei laptop è costruita a Taiwan o in Cina, e prodotti di marche diverse (come HP, Dell, Sony e Apple) possono essere in realtà realizzati dalla stessa fabbrica […]. L’obiettivo di OLPC è creare una macchina estremamente economica che possa fornire funzionalità complete; per questo è interessante vedere come è allocato il denaro che noi spendiamo per i nostri laptop.
Per esempio, circa il 50% del prezzo di un laptop standard finisce nel canale di vendita, nel marketing, nella distribuzione e nei profitti. OLPC invece è non–profit e vende direttamente alle nazioni. Un altro 25% del prezzo di un laptop è è dovuto al software commerciale, in buona parte fornito da Microsoft. Ma oggi esiste una comunità mondiale del software aperto e libero che realizza prodotti paragonabili da molti punti di vista a quelli tradizionali, specialmente nel settore del web e dell’educazione. A questo punto, i componenti più costosi tra quelli rimasti sono l’unità a disco e il display. Ma la memoria Flash usata nelle macchine fotografiche e nei memory stick può essere meno costosa del disco meno costoso (ed è molto più robusta, perché è a stato solido). Il display invece è un problema speciale, perché il costo non è il solo aspetto da considerare. Un display per il terzo mondo deve richiederepoca energia ed essere visibile alla luce diretta del sole, con la retro–illuminazione spenta. La ricercatrice Mary Lou Jepson di OLPC ha risolto brillantemente il problema inventando un nuovo tipo di display a schermo piatto che ha una risoluzione più alta (200 pixel per pollice), un consumo pari a 1/7 e un costo pari a 1/3 rispetto ai prodotti tradizionali.
Il risultato è un computer che adesso costa 170 dollari, può contenere centinaia di libri (molti dei quali dinamici) a un costo di circa 20 centesimi a libro, e gestisce un reticolo automatico di interconnessioni con altri laptop. Questo computer è stato inizialmente sbeffeggiato dai produttori di hardware e di software, ma adesso loro stessi hanno cominciato a fare offerte simili (per esempio, Intel adesso ha un “laptop da 400 dollari” e Microsoft ha recentemente annunciato che venderà il proprio software al terzo mondo per pochi dollari). Sarebbe bello dire che i produttori hanno visto la luce, ma è più probabile che si sentano semplicemente minacciati e stiano rispondendo.
Uno dei vantaggi di lavorare con un’organizzazione non–profit è che via via che il costo dei materiali si riduce e la produzione è resa meno costosa, tutto il risparmio in costi viene semplicemente trasferito ai bambini. Inoltre, la prima fase del progetto si sta svolgendo in poco più di due anni e quindi molte delle specializzazioni che potrebbero essere fatte verranno spostate alla fase successiva. Sarebbe del tutto possibile costruire un laptop da 50 dollari o anche meno se tutte le tecnologie e tecniche di produzione disponibili fossero messe a frutto.
Naturalmente, la parte hardware è solo una piccola parte del progetto complessivo – anche se costruire un “laptop da 100 dollari” con funzionalità complete è comunque una sfida. Bisogna tener conto anche del software di sistema, degli ambienti autore per l’utente finale, del contenuto educativo, dei vari tipi di packaging e della documentazione e, soprattutto, degli insegnanti necessari per aiutare i bambini ad apprendere le idee potenti.
Tornerò tra pochissimo su questo aspetto critico dell’ecologia dell’educazione. Per adesso, notiamo che per la matematica e le scienze nel primo e secondo mondo la percentuale di insegnanti elementari e genitori che conoscono davvero questi argomenti è troppo piccola per poter aiutare molti bambini a superare la soglia.Nel terzo mondo la percentuale è tanto piccola da essere evanescente.
Questo porta a una impasse frustrante. Come dimostrerò tra un minuto, adesso sappiamo come aiutare bambini di 10 e 11 anni a gestire senza problemi potenti forme di analisi e altre capacità matematiche avanzate. Ma nessun bambino ha mai inventato l’analisi matematica! La natura meravigliosa della conoscenza moderna, aiutata dalla scrittura e dalla didattica, è che molte idee che richiedono un genio (nel caso dell’analisi matematica, due geni) per essere inventate possono poi essere apprese da una popolazione molto più ampia e con talenti meno specializzati. Ma è molto difficile inventare nel vuoto, anche per un genio. […].
Se un bambino ha imparato a leggere, può a volte scavalcare gli adulti – sia a casa che a scuola – andando in biblioteca e imparando attraverso le letture. Ci sono stati molti casi di questo tipo ed è probabile che una grossa parte della rivoluzione della stampa sia avvenuta gradualmente in questo modo. Ma è molto difficile per un bambino imparare a leggere senza l’assistenza (o almeno la cooperazione) degli adulti e, di nuovo, emerge l’importanza fondamentale dell’insegnamento. Quando Andrew Carnegie istituì migliaia di biblioteche pubbliche e gratuite negli Stati Uniti, in ognuna di queste venne prevista una stanza speciale dove i bibliotecari insegnavano a leggere a chiunque volesse imparare!
Naturalmente, i bambini possono apprendere molte cose senza un mentore speciale, sperimentando e condividendo conoscenza tra loro. Ma non conosciamo casi in cui questo abbia portato a invenzioni come la matematica deduttiva e le scienze empiriche basate sulla matematica. […].
Pertanto, dobbiamo semplicemente trovare modi di risolvere il problema del mentore, non solo per il terzo mondo, ma anche per il primo e il secondo. Possiamo facilmente costruire cinque milioni di laptop OLPC, ma nessuna somma di denaro ci permetterebbe di produrre per la stessa scadenza anche solo mille nuovi insegnanti con la conoscenza e le abilità richieste […]. Questa è una delle ragioni per cui l’educazione rallenta così tanto la scienza, la tecnologia e gli altri progressinelle idee. […].
Noi abbiamo iniziato la nostra ricerca quarant’anni fa con l’obiettivo di aiutare i bambini – e quindi l’umanità – a imparare ad assorbire la “scienza in senso lato”. Pensiamo alla scienza come a tutti quei processi che possono aiutare a “rendere l’invisibile più visibile”. Con invisibile intendiamo ciò che è invisibile agli esseri umani per tutte le ragioni, inclusi non solo i consueti oggetti di interesseper la scienza, troppo piccoli o troppo lontani o emessi in forme d’onda che non possiamo percepire, ma anche le idee e gli oggetti che sono a noi invisibili perché il nostro apparato mentale non è adatto a pensarli o li ha rifiutati (perché “non è possibile che siano veri”) e così via.
In questa categoria includo tutte le “arti serie” il cui scopo è quello di “svegliarci”, di portare a renderci conto che quello che la consapevolezza ci presenta non è la realtà ma una storia che potrebbe anche essere molto lontana dalla realtà, e a volte è pericolosamente lontana. Quello che la scienza fa non è tanto cambiare o aggiustare il nostro apparato mentale pieno di rumore, ma piuttosto aggiungere molti processi nuovi nelle nostre teste (e fuori, nella società degli scienziati) per scoprire i nostri molti errori e cercare di ridurli in dimensione e genere.
Come ha detto Thomas Jefferson, “nel momento in cui una persona forma una teoria, la sua immaginazione vede, in ogni oggetto, solo gli aspetti che favoriscono quella teoria”. La società della scienza agisce come una specie di “super–scienziato” – e questo ha molte conseguenze, oltre al fatto che la società “conosce” più cose rispetto a ogni singolo individuo. In questo superorganismo ci sono debugger di idee migliori e più scettici di quelli che la maggior parte degli individui ha nella propria mente. Rispetto ai singoli individui, il superorganismo ha più punti di vista su come l’universo potrebbe funzionare, e questi punti di vista sono molto utili […]. Pertanto, senza antropomorfizzare inutilmente la scienza, è giusto dire che la “scienza” è più brillante, più competente, ha prospettive di maggiore forza ed è uno “scienziato migliore” di un qualsiasiindividuo singolo.
Rispetto alla maggior parte degli individui, una società più ampia può anche agire in modo più intelligente ed essere meno soggetta a decisioni disastrose e ad azioni inutilmente aggressive. Ed è scopo dell’educazione nelle società democratiche, in particolare nelle repubbliche democratiche in cui i rappresentanti devono essere scelti da tutta la società, coinvolgere tutti i cittadini nei processi di pensiero più forti, nelle conversazioni e dibattiti. Sentiamo ancora Jefferson: “non conosco nessun luogo in cui depositare i poteri ultimi della società che sia più sicuro delle persone stesse; e se pensiamo che queste non siano abbastanza illuminate da esercitare il loro controllo con una buona capacità di discernere, il rimedio non è quello di toglier loro il controllo, ma di aumentare con l’educazione la loro capacità di discernere. […]”.
Consegna della laurea honoris causa in informatica ad Alan Curtis Kay
Il primo passo sulla strada della scienza si ha quando si comprende con sorpresa che “il mondo non è quello che sembra”. Molti adulti non hanno mai compiuto questo passo; prendono il mondo per quello che sembra e scambiano le loro storie interiori per realtà, con conseguenze a volte disastrose. Il primo passo è un grosso passo ed è meglio che lo facciano i bambini (molti di coloro che hanno varcato questa soglia di consapevolezza lo hanno fatto nelle prime fasi della vita). Da qui occorre fare un altro grosso passo per includere noi stessi umani tra gli oggetti da studiare: cercare di andare oltre le nostre storie su noi stessi per capiremeglio “che cosa siamo?” e chiederci “in che modo le nostre carenze possono essere mitigate?”.
Sebbene il mondo stesso sia tutt’altro che pacifico, ci sono adesso esempi di gruppi molto più grandi di persone che vivono in pace e prosperano per moltepiù generazioni di quanto sia mai avvenuto prima. L’illuminazione di alcuni ha portato a comunità piene di benessere, commercio, energia e prospettiveche aiutano anche i meno illuminati a comportarsi meglio. Non è affatto una coincidenza che la prima parte di questa vera rivoluzione sociale sia stata alimentatadalla stampa.
La prossima rivoluzione nel pensiero – per esempio, un pensiero e una pianificazione capaci di gestire sistemi complessi e capaci di portare a nuovi e sostanzialicambiamenti di prospettiva – sarà alimentata dalla vera rivoluzione informatica e potrebbe arrivare giusto in tempo per vincere la corsa contro la catastrofe
Alan Curtis Kay
University of California
Los Angeles