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Sono 103 le studentesse e gli studenti dell’Università di Pisa a cui è destinato il rifinanziamento, approvato stamani all’unanimità dal Consiglio d’Amministrazione dell’Ateneo, del “Bando per l’erogazione di contributi a studenti universitari che si trovino in condizioni di difficoltà economica - a. a. 2020/21”. Si tratta di ragazze e ragazzi che erano già risultati idonei, ma che non avevano ancora beneficiato dei fondi del Bando emanato il 19 ottobre 2020. A loro, adesso, arriverà un contributo di 700 euro a testa.

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Quello di oggi è il secondo incremento dei fondi per l’assegnazione di contributi agli studenti in condizioni di disagio economico disposto dall’Università di Pisa. Già in primavera, infatti, l’Ateneo aveva approvato un aumento di 69.300 euro destinando al Bando del 2020 le risorse derivanti dal 5 per mille, per un totale di 99 contributi sempre da 700 euro ciascuno.

Il nuovo rifinanziamento approvato oggi è stato possibile, invece, grazie all’intervento della Fondazione Premi, borse di studio e provvidenze dell’Università di Pisa che, il 12 luglio scorso, ha deliberato di intervenire in aiuto degli studenti universitari attraverso un contributo complessivo pari a € 72.100 a favore dell’Ateneo.

«Con questo nuovo rifinanziamento salgono a 918 le studentesse e gli studenti in difficoltà economica che siamo riusciti a sostenere grazie al bando dello scorso ottobre – ha commentato il Rettore, Paolo Mancarella – Adesso il nostro obiettivo è quello di reperire al più presto ulteriori risorse per nuove iniziative di sostegno come questa». «Ci tengo a cogliere questa occasione per sottolineare come, oltre al sostegno della Fondazione, in questo nostro intervento siano state fondamentali le risorse del 5 per mille che i cittadini decidono di destinare all’Università – ha aggiunto il Rettore - Con questa loro scelta hanno contribuito a difendere il diritto allo studio dei propri figli e la nostra comunità non può che essergliene grata».

Con l’obiettivo di aumentare i tassi di vaccinazione nelle carceri di tutta Europa, è stato lanciato nelle scorse settimane il progetto “RISE-Vac: Reaching the hard-to-reach: increasing access and vaccine uptake among the prison population in Europe”, che nei prossimi tre anni opererà per ridurre il numero di nuovi casi di malattie infettive prevenibili da vaccino all’interno della popolazione carceraria. Guidato in Italia dall'Università di Pisa con il supporto delle principali istituzioni accademiche e sanitarie di diversi altri paesi, tra cui i Servizi Sanitari dei Paesi partecipanti, il progetto è stato finanziato dall’Unione Europea con oltre 1.5 milioni di euro. Il team di ricerca pisano è coordinato dalla dottoressa Lara Tavoschi, ricercatrice in Igiene generale e applicata al Dipartimento di Ricerca traslazionale dell'Università di Pisa e include anche la professoressa Laura Baglietto del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, l’assegnista Davide Petri e la dottoranda Sara Mazzilli.

Il principio chiave alla base del lavoro di RISE-Vac è che la salute nelle carceri è un problema di salute pubblica: molti detenuti trascorrono solo un breve periodo in carcere, con un rapido ricambio e rientro nella società dove possono mettere a rischio di malattia infettiva anche altre persone. Vaccinare i detenuti contro le malattie infettive protegge anche le comunità a cui appartengono. «Più che mai, la pandemia di COVID-19 ha messo in luce la necessità di concepire e attuare interventi preventivi inclusivi – dichiara la dottoressa Lara Tavoschi – Avendo come obiettivo i detenuti, il progetto mira a migliorare lo stato di salute di questa popolazione e ad aumentare la consapevolezza del valore della assistenza sanitaria di qualità nelle carceri quale strumento per contrastare le disuguaglianze in salute e contribuire all'obiettivo globale fissato dall’OMS "Leave no one behind"». 

Gli operatori sanitari e i ricercatori utilizzeranno metodi basati sui dati epidemiologici e sulle evidenze scientifiche per valutare lo stato dei servizi vaccinali nelle carceri, elaborare linee guida e identificare buone pratiche per programmi di immunizzazione efficaci. Verranno inoltre sviluppate risorse per la formazione e l’istruzione e per migliorare la conoscenza dei vaccini tra i detenuti e personale. «I detenuti hanno tra i più bassi tassi di copertura vaccinale in Europa – continua la dottoressa Tavoschi – Le conseguenze per la loro salute sono tanto maggiori in quanto sono anche uno dei gruppi di persone più a rischio per una serie di malattie infettive che i vaccini possono prevenire. Diversi fattori li rendono più vulnerabili: tendono a provenire da ambienti socialmente svantaggiati, spesso hanno scarsi livelli di istruzione, hanno maggiori probabilità di intraprendere comportamenti ad alto rischio e hanno scarso accesso a cure sanitarie adeguate. Di conseguenza, l'introduzione di programmi di immunizzazione più diffusi, coerenti ed efficaci nelle strutture carcerarie di tutta Europa ha il potenziale per offrire enormi benefici in termini di salute e benessere non solo ai detenuti, ma anche al resto della popolazione generale».

Nell’affrontare il problema, il progetto RISE-Vac riunisce le competenze e l'esperienza di numerosi esperti provenienti da più settori che lavorano nel campo della salute carceraria. I partner del progetto sono: Frankfurt University of Applied Sciences (Germania), ASST Santi Paolo e Carlo Presidio Ospedale San Carlo Borromeo (Milano), Department of Health - Public Health England (UK), National Administration of Penitentiaries (Moldova), Centre Hospitalier Universitaire Montpellier (Francia), Health Without Barriers (Italia), Cyprus National Addictions Authority (Cipro), Ministry of Justice and Public Order - Cyprus Prison Department (Cipro).

 

Tendiamo a fidarci delle macchine e dei robot quanto più li sentiamo simili a noi e ci emozionano. E’ questo quanto emerge da una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su Scientific Reports e condotta insieme alle Università di Londra, Malaga e Jena.

Il team di economisti comportamentali e bioingegneri dell’Ateneo pisano ha replicato uno esperimento molto noto in economia per analizzare la tendenza a fidarsi delle promesse. Il test, che prende il nome di due economisti, Gary Charness e Martin Dufwenberg, ha coinvolto circa 160 studenti dell’Università di Pisa che sono stati messi alla prova in diversi tipi di interazione: fra umani, fra umani-computer e umani-robot umanoide.

“I risultati hanno dimostrato che i partecipanti tendono a fidarsi maggiormente del robot umanoide (e quindi delle sue promesse) rispetto ad altri tipi di agenti artificiali - sottolinea Caterina Giannetti, ricercatrice di economia applicata dell’Ateneo pisano – e questo proprio in virtù della somiglianza con gli esseri umani e della capacità di suscitare emozioni”.

Le conclusioni dello studio tendono dunque a smentire alcune vecchie teorie secondo le quali gli agenti artificiali troppo simili all’uomo possono ‘spaventare’, e questo aprirebbe nuove prospettive sull’impiego dei robot umanoidi in diversi contesti ad esempio per assistere le persone in banca o presso altre società di servizio o come supporto all’interno dei gruppi di lavoro. “Dal punto di vista degli economisti – conclude Giannetti - la sfida è certamente quella di capire in che modo un robot umanoide possa impattare su decisioni economiche rilevanti, considerando che agenti artificiali sono ormai quotidianamente coinvolti in molti aspetti della nostra vita”.

Caterina Giannetti, ricercatrice del dipartimento di Economia e Management, ha collaborato allo studio insieme ai colleghi del Centro di Ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, in particolare al professore Pasquale Scilingo e ai dottori Lorenzo Cominelli, Mimma Nardelli e Roberto Garofalo. Fanno parte del gruppo di economisti stranieri, Francesco Feri, Miguel A. Melendelez, e Oliver Kirchkamp. La ricerca è stata finanziata dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto di ateneo 2018-2019 "Istituzioni, Mercati imperfetti e problemi di Policy” e dal CrossLab project del MIUR (Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca).






Tendiamo a fidarci delle macchine e dei robot quanto più li sentiamo simili a noi e ci emozionano. E’ questo quanto emerge da una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su Scientific Reports e condotta insieme alle Università di Londra, Malaga e Jena.

Il team di economisti comportamentali e bioingegneri dell’Ateneo pisano ha replicato uno esperimento molto noto in economia per analizzare la tendenza a fidarsi delle promesse. Il test, che prende il nome di due economisti, Gary Charness e Martin Dufwenberg, ha coinvolto circa 160 studenti dell’Università di Pisa che sono stati messi alla prova in diversi tipi di interazione: fra umani, fra umani-computer e umani-robot umanoide.

 

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I tre set di interazione: Robot Face, umano, computer

 

“I risultati hanno dimostrato che i partecipanti tendono a fidarsi maggiormente del robot umanoide (e quindi delle sue promesse) rispetto ad altri tipi di agenti artificiali - sottolinea Caterina Giannetti, ricercatrice di economia applicata dell’Ateneo pisano – e questo proprio in virtù della somiglianza con gli esseri umani e della capacità di suscitare emozioni”.

Le conclusioni dello studio tendono dunque a smentire alcune vecchie teorie secondo le quali gli agenti artificiali troppo simili all’uomo possono ‘spaventare’, e questo aprirebbe nuove prospettive sull’impiego dei robot umanoidi in diversi contesti ad esempio per assistere le persone in banca o presso altre società di servizio o come supporto all’interno dei gruppi di lavoro. “Dal punto di vista degli economisti – conclude Giannetti - la sfida è certamente quella di capire in che modo un robot umanoide possa impattare su decisioni economiche rilevanti, considerando che agenti artificiali sono ormai quotidianamente coinvolti in molti aspetti della nostra vita”.

Caterina Giannetti, ricercatrice del dipartimento di Economia e Management, ha collaborato allo studio insieme ai colleghi del Centro di Ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, in particolare al professore Pasquale Scilingo e ai dottori Lorenzo Cominelli, Alberto GrecoMimma Nardelli e Roberto Garofalo. Fanno parte del gruppo di economisti stranieri, Francesco Feri, Miguel A. Melendelez, e Oliver Kirchkamp. La ricerca è stata finanziata dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto di ateneo 2018-2019 "Istituzioni, Mercati imperfetti e problemi di Policy” e dal CrossLab project del MIUR (Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca).






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