Dottorando in Filosofia
Signor Presidente della Repubblica, Ministra Maria Cristina Messa, Magnifico Rettore, gentili docenti, personale tecnico amministrativo, colleghi dottorandi, studentesse e studenti e ospiti presenti tutti, è un onore e un privilegio per me intervenire in questa sede. Prima di iniziare, permettetemi di rivolgere un saluto pieno di stima al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di ringraziare il magnifico Rettore Paolo Maria Mancarella per avermi dato l’opportunità di intervenire in questo prestigioso contesto. Ringrazio anche il corpo docenti del dottorato di filosofia dell’Università di Pisa in consorzio con l’Università di Firenze, in particolare il professor Fabris direttore del mio ciclo di dottorato e la professoressa Fussi, sotto la cui guida conduco la mia ricerca.
Nella mia ricerca indago la nostalgia, concentrandomi sulla relazione tra questo fenomeno e il mondo che ci circonda, in particolare media, le nuove tecnologie e la politica. A causa di una presunta contrapposizione alla ragione, le emozioni hanno rischiato di venir relegate a tema secondario della filosofia e di altre scienze. In realtà, come già insegnava Aristotele, le emozioni costituiscono un aspetto fondamentale della razionalità stessa. Sono logoi enyloi, cioè pensieri incarnati. Emozioni, umori, sentimenti esprimono la nostra affettività mettendoci in contatto immediato col mondo. Non solo, i fenomeni affettivi costituiscono i moventi delle nostre azioni e il nostro orizzonte cognitivo e pratico. Le emozioni non sono fenomeni squisitamente personali e privati. Emergono piuttosto sempre da un mondo condiviso e in esso vengono espresse, comunicate ed esperite. Le emozioni strutturano il nostro vivere insieme nel mondo, costituiscono un collante fondamentale della nostra società, ma al contempo, se non gestite adeguatamente, possono diventare motori primi di una rapida e rovinosa disgregazione sociale.
Filo conduttore del mio modo di fare ricerca è sempre stato il dialogo, sia nel senso di scambio di idee con gli altri studiosi, sia nel senso di confronto con le altre discipline. In particolare, la collaborazione con i ricercatori dell’istituto di scienze cognitive dell’Università di Osnabrück in Germania mi ha portato ad adottare un metodo, quello delle teorie della affettività situata, che insiste sulla relazione tra la filosofia e discipline come la psicologia, le neuroscienze e gli studi culturali. Grazie a questa collaborazione, che a causa della pandemia si è svolta prevalentemente per via telematica, si è rafforzata in me la convinzione di dover preservare la capacità della filosofia di essere porosa, di assorbire istanze e prospettive diverse, tutelando al contempo la sua natura zetetica, cioè di ricerca, che non si limita alla mera risoluzione di problemi, ma affina costantemente le domande da porsi.
L’ idea di fondo di queste teorie è che la nostra mente valica i confini del cervello. Essa non è prigioniera nella scatola cranica, ma si estende nel corpo, perno delle nostre percezioni e delle possibilità di interagire con il mondo. Non solo, la mente si estende anche oltre il corpo. Le tecnologie che adoperiamo, le istituzioni a cui ci affidiamo, le relazioni che intrecciamo sono supporti essenziali senza i quali non sarebbe possibile esperire ed esprimere la nostra affettività, sono fonti di soddisfazione delle nostre esigenze affettive e cognitive: scattiamo foto per ricordare, ascoltiamo la musica per regolare il nostro umore, chiamiamo un amico al telefono quando abbiamo bisogno di conforto. Le teorie dell’affettività situata vengono anche adoperate con successo per comprendere come le nuove tecnologie, ad esempio i social network e le piattaforme di teleconferenza, costituiscano spazi in cui la nostra affettività può trovare espressione. Come ci ha insegnato la pandemia, queste tecnologie possono offrire delle alternative valide, seppur non equivalenti, all’incontro fisico con l’altro. Le teorie dell’affettività situata, pur riconoscendo l’utilità di queste tecnologie, ci mettono in guardia sul fatto che non siamo solo noi a interagire e a modificare questi supporti, ma essi a loro volta interagiscono con noi e modificano i nostri orizzonti affettivi. Ciò vuol dire che chi controlla i supporti può anche manipolare la nostra affettività.
Le teorie dell’affettività situata sono fondamentali per comprendere la nostalgia, un fenomeno affettivo complesso che sta interessando anche alcuni esperti di scienze politiche, secondo i quali la nostalgia collettiva ha determinato alcuni dei più recenti cambiamenti sociali e politici. Nonostante la sua natura poliedrica, ritengo sia possibile individuare dei tratti costanti e costitutivi di questa emozione. La si può descrivere come il desiderio di diventare tutt’uno con un passato che, ben lungi dall’essere quello della memoria o della storiografia, è costituito da un processo di rinarrazione e di idealizzazione. Nei momenti di grandi cambiamenti personali e collettivi, gli individui e la società cercano in un passato verso cui nutrono nostalgia dei punti di riferimento ai quali ancorare le proprie identità. Questo processo, che di per sé può anche svolgere una funzione positiva, rischia di trasformarsi in un pericoloso desiderio di riconquistare una perduta purezza e ritornare ad antichi fasti che esistono solo nell’immaginazione di chi, coscientemente o meno, illude se stesso o altri.
Nella nostalgia non siamo interessati tanto ai singoli ricordi o a specifiche immagini del passato. I momenti che caratterizzano la nostra nostalgia non sono fissati una volta per tutte, ma sono sempre aperti ad essere reinterpretati o addirittura sostituiti in funzione della nostra identità presente. Poiché questi momenti e ricordi sono in certa misura interscambiabili, a maggior ragione lo sono i supporti materiali della nostalgia. È proprio a causa di questa interscambiabilità che i supporti, e di conseguenza la ricostruzione di passato a cui rimandano, possono essere scelti per noi piuttosto che da noi.
La mia è prima di tutto una ricerca teorica, rivolta alla comunità filosofica e scientifica. Al contempo, però, nell’ analizzare le diverse forme della nostalgia e i rispettivi criteri della sua modulazione mi auguro anche di contribuire con esperti di altri settori all’individuazione di strumenti atti a comprendere fenomeni sociali ed eventi storici circoscritti. Penso in particolar modo ai policy maker, i quali solo se saranno in grado di discernere le cause più profonde della nostalgia potranno rispondere adeguatamente a importanti bisogni del mondo contemporaneo. Ma strumenti di tal genere dovrebbero soprattutto essere messi a disposizione dei singoli individui per aiutarli a diventare protagonisti delle proprie vite affettive e non comparse in un copione scritto da altri.