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Comunicati stampa

Con una cerimonia che si è svolta nell’Aula Magna Nuova del Palazzo della Sapienza, l’Università di Pisa ha conferito il diploma di specializzazione alla memoria in Medicina interna al dottor Alberto Fanfani, il giovane specializzando dell’Università di Pisa che nell’estate del 2018 rimase vittima del crollo del Ponte Morandi a Genova. Alberto Fanfani, fiorentino di 33 anni, si era laureato in Medicina e chirurgia all’Università di Firenze e si era trasferito a Pisa dopo aver ottenuto il posto alla Scuola di specializzazione in Medicina interna. Al momento della scomparsa era iscritto al quinto anno del corso. Il 14 agosto 2018 Alberto Fanfani stava percorrendo il ponte Morandi in auto con la fidanzata, Marta Danisi, anche lei tra le vittime del crollo, un’infermiera conosciuta proprio a Pisa lavorando nello stesso ambiente. Originaria della Sicilia, Marta Danisi si era da poco trasferita a lavorare in Piemonte.
Alla cerimonia dell’Università di Pisa hanno partecipato i genitori di Alberto, che hanno ritirato il diploma, e la mamma e la sorella di Marta. Dopo i saluti del rettore Paolo Mancarella e del presidente del Consiglio comunale di Pisa Alessandro Gennai, sono intervenuti Silvia Briani, direttrice generale AOUP, Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa CUAMM, e Stefano Taddei, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina interna. Hanno inoltre portato le loro testimonianze gli specializzandi Livia Giannini e Alessandro Mengozzi.
«La nostra comunità ha perso un ragazzo eccezionale – ha commentato il rettore, Paolo Mancarella – Con questo diploma alla memoria abbiamo cercato di riportare un po’ di giustizia in una storia dove di giustizia ce n’è veramente poca. Lo dovevamo ad Alberto e ai suoi familiari».
Il professor Stefano Taddei, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina interna, ha motivato la proposta di conferimento del titolo alla memoria sottolineando il coinvolgimento e l’impegno “costante e totale” del dottor Fanfani nelle attività dei “dipartimenti assistenziali e universitari dell’area della medicina interna”, nonché le sue “elevatissime abilità e competenze professionali ma anche le elevatissime doti umane che lo rendevano capace di donarsi completamente a tutti coloro con i quali entrava in contatto colleghi specializzandi, docenti amici e soprattutto pazienti”.

alberto martaCon una cerimonia che si è svolta nell’Aula Magna Nuova del Palazzo della Sapienza, l’Università di Pisa ha conferito il diploma di specializzazione alla memoria in Medicina interna al dottor Alberto Fanfani, il giovane specializzando dell’Università di Pisa che nell’estate del 2018 fu tra le vittime del crollo del Ponte Morandi a Genova. Alberto Fanfani, fiorentino di 33 anni, si era laureato in Medicina e chirurgia all’Università di Firenze e trasferito a Pisa dopo aver ottenuto il posto alla Scuola di specializzazione in Medicina interna. Al momento della scomparsa era iscritto al quinto anno del corso. Il 14 agosto 2018 Alberto Fanfani stava percorrendo il ponte Morandi in auto con la fidanzata, Marta Danisi, anche lei tra le vittime del crollo, un’infermiera conosciuta proprio a Pisa lavorando nello stesso ambiente. Originaria della Sicilia, Marta Danisi si era da poco trasferita a lavorare in Piemonte.

Alla cerimonia dell’Università di Pisa hanno partecipato i genitori di Alberto, che hanno ritirato il diploma, e la mamma e la sorella di Marta. Dopo i saluti del rettore Paolo Mancarella e del presidente del Consiglio comunale di Pisa Alessandro Gennai, sono intervenuti Silvia Briani, direttrice generale AOUP, Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa CUAMM, e Stefano Taddei, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina interna. Hanno inoltre portato le loro testimonianze gli specializzandi Livia Giannini e Alessandro Mengozzi.  
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«La nostra comunità ha perso un ragazzo eccezionale – ha commentato il rettore, Paolo Mancarella – Con questo diploma alla memoria abbiamo cercato di riportare un po’ di giustizia in una storia dove di giustizia ce n’è veramente poca. Lo dovevamo ad Alberto e ai suoi familiari».

Il professor Stefano Taddei, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina interna, ha motivato la proposta di conferimento del titolo alla memoria sottolineando il coinvolgimento e l’impegno “costante e totale” del dottor Fanfani nelle attività dei “dipartimenti assistenziali e universitari dell’area della medicina interna”, nonché le sue “elevatissime abilità e competenze professionali ma anche le elevatissime doti umane che lo rendevano capace di donarsi completamente a tutti coloro con i quali entrava in contatto colleghi specializzandi, docenti amici e soprattutto pazienti”.

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The mission, which saw a number of members of teaching staff from the University of Pisa make contact with the Kalachakra Institute for Meditation in Dharamsala, India, to do research into the effects that various advanced meditation practices have on cerebral activity, has drawn to a close. Professor Angelo Gemignani and Ciro Conversano a researcher, both from the Department of Surgical, Medical and Molecular Pathology and Critical Care Medicine, and Professor Bruno Neri from the Department of Information Engineering were invited to a series of meetings held by H.E. Choekyi Nangpa Rinpoche, recently elected head of one of the four schools of Tibetan Buddhism (the Jonang School). They were also given the opportunity to present their work to the Dalai Lama at his private residence in Dharamasala.

Tutti insieme al Dalai Lama.jpegThe delegation from Pisa received by the Dalai Lama


“The collaboration with the Kalachakra Institute for Meditation will give us a firsthand opportunity to compare experiences with neural correlates, in particular with the study of electroencephalographic curves recorded during meditation sessions (Francisco Varela’s so-called neurophenomenology),” explain the researchers. “To this end, the collaboration of advanced meditators who are able to generate non-ordinary states of consciousness in a precise and repeatable manner, accurately codified according to the secular tradition of the school of origin, represents a precious and unique additional benefit for the research in question. In this case, the collaboration with the Khalachakhra Institute will mean the possibility of working with advanced meditators who practice different esoteric techniques, passed down by word of mouth from master to pupil, which allow the practitioner to control the mind/body relationship and therefore examine what the Australian philosopher David Chalmers defined as the 'hard problem’.”

Dalai Lama e Choekyi Nangpa alla sua sinistra con i Ricercatori Pisani.jpegDalai Lama and on his left Choekyi Nangpa, with the researchers from Pisa.


The most intense and fascinating moment of the mission was the private audience which the Dalai Lama held with the researchers from Pisa where he met them again two years after the 2017 Symposium ‘The Mindscience of Reality’, during which the University of Pisa had conferred on him the honorary degree in Clinical and Health psychology. The Dalai Lama received them with their partners at his private residence in Dharamsala; he met with them for more than 90 minutes and enquired about the progress made in their research and offered some invaluable advice to help them better understand the techniques and effects of the principal contemplative practices which are traditional in Tibetan Buddhism.

I tre ricercatori Pisani con H.E. Choekyi Nangpa.jpg

From the left: Bruno Neri, Ciro Conversano, H.E. Choekyi Nangpa and Angelo Gemignani.


The comparison between the experiential aspects and those which were actually observable was the principal subject of numerous discussions which developed over the week in Dharamsala. Significant space was dedicated to the possible applications of some mental training techniques, such as the procedures based on mindfulness which originated and developed in the footsteps of the contemplative practices of Tibetan Buddhism, to chronic stress reduction (or distress) and to the increase in interior well-being. The programme of events was as intense as it was unusual albeit perfectly in line with the unconventional pattern of the activities followed by the group from Pisa since the ‘The Mindscience of Reality’ Symposium in 2017.

One of the themes in the Symposium was, in fact, about retrieving an experience firsthand as an essential and inflexible element to understanding the phenomena of consciousness, which is not limited to the study of neuronal correlates alone. Since the signing in 2016 of the convention with the Lama Tzong Khapa Institute in Pomaia, and then in 2018 with the Tibetan University of Sera Jey, one of the distinguishing elements of the research activity has been the participation of institutions whose roots are to be found in the multimillennial tradition of studying consciousness both theoretically and experientially.

 

Il volume Corso di Diritto pubblico romano del professor Aldo Petrucci, ordinario del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, è stato tradotto in spagnolo e pubblicato da Porrúa, fra i più importanti editori dell’America Latina. Intitolato Curso de derecho público romano, il libro è stato presentato lo scorso 11 febbraio alla Escuela Libre de Derecho di Città del Messico alla presenza del Rettore Ricardo Antonio Silva Díaz e del professore Aldo Petrucci (nella foto un momento della presentazione e la corpertina del libro).

Pubblichiamo di seguito un estratto del volume nella versione italiana edita da Giappichelli editore.

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Un corso universitario di Diritto pubblico romano ha tradizionalmente un contenuto molto esteso sia come ambito temporale (dalla metà circa dell’VIII secolo a.C. alla morte di Giustiniano nel 565 d.C.) che come materie trattate, abbracciando i settori del diritto costituzionale, amministrativo, penale e processualpenalistico, le fonti del diritto e, a volte, anche la tradizione romanistica. Questo implica un primo ordine di difficoltà legate alla cernita degli argomenti da analizzare, cui se ne sommano altre ben più gravi – e perfettamente note agli specialisti – dovute all’eterogeneità dei dati antichi a nostra disposizione, provenienti da fonti storiche, letterarie, epigrafiche, agrimensorie, patristico-religiose e, solo in percentuale modesta, giuridiche, suscitando notevoli problemi ricostruttivi e non poche incertezze sul piano concettuale-terminologico. La manualistica italiana negli ultimi anni si è spesso ridotta, con le debite eccezioni, a brevi compendi, non poche volte anche molto pregevoli, ma certamente non comparabili con le opere realizzate dai grandi Maestri ottocenteschi e novecenteschi. […]
Voler competere con tali monumenti del sapere esula dalle mie intenzioni e sarebbe certamente al di sopra delle mie forze. Nel corso che segue (preceduto da una raccolta di dispense, intitolata Lezioni di diritto pubblico romano I e II) mi accontento di fornire agli studenti del primo anno un sintetico quadro generale degli argomenti che potrebbero, a mio giudizio, stimolare interessanti riflessioni in un giovane destinato ad essere un futuro giurista moderno: l’evoluzione storica di un sistema costituzionale non scritto, con i suoi elementi di continuità e rottura; la pluralità e specificità delle fonti del diritto; la convivenza fra più ordinamenti o sfere ordinamentali all’interno di un sistema che resta comunque unitario; l’idea di codificazione e la sua attuazione concreta; i fondamenti del diritto penale e le garanzie riconosciute in sede del relativo processo; i rapporti internazionali; i modelli di organizzazione del territorio sottoposto al dominio romano e la questione della cittadinanza. Questi argomenti vengono esposti in cinque parti distinte, secondo un ordine più sistematico che cronologico, al contrario di come si suole invece fare, perché si è rivelato, mediante una sperimentazione pluriennale, maggiormente rispondente alle esigenze didattiche.

Aldo Petrucci
Professore Ordinario di Diritto Romano e Diritti dell'Antichità
Presidente del Corso di Laurea Magistrale: Giurisprudenza

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Al primo grande concerto nella storia del rock, il Monterey Pop Festival in California del 1967, le ragazze e i ragazzi ascoltarono l’esibizione in silenzio, seduti e concentrati, al più dondolando dolcemente la testa o sorridendo estatici. Si tratta di una novità assoluta: il loro comportamento, per certi versi sorprendente, era molto simile al modo di fruire la musica classica da parte dei loro nonni e genitori.
A raccontare la vicenda tratteggiando questo insolito parallelo è il professore Alberto Mario Banti dell’Università di Pisa in un saggio pubblicato sulla rivista “Biblioteca teatrale”. Nello studio Banti analizza performance e ritualità di pubblico e musicisti agli albori del rock, tra anni Sessanta e Settanta del Novecento.

“Per la musica pop, specie per quella rivolta al pubblico giovanile – spiega Banti – la modalità di ascolto che si palesa a Monterey è una novità rispetto al passato, nei concerti di Elvis Presley o dei primi Beatles i giovani infatti partecipavano con applausi, grida, danze, risa e pianti, in particolare le ragazze, quasi come una affermazione generazionale e di genere”.

 

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Secondo Banti il nuovo comportamento del pubblico è da ricercare in quei mutamenti della musica pop che segnarono proprio la nascita del rock, quindi forme musicali più complesse, brani che superavano i canonici tre minuti e testi che affrontavano temi più svariati con ricercatezza poetica (come nel caso Bob Dylan è oramai istituzionalmente riconosciuto).

Per illustrare questa nuova e particolare modalità di ascolto, il saggio esplora quindi due aspetti degli eventi live. Da un lato gli stili performativi dei musicisti sul palco che, attraverso forme di teatralizzazione abbozzata o integrale, enfatizzavano il significato etico-narrativo delle loro musiche. Dall’altro la natura rituale dei concerti rock che, come in un peculiare rito di passaggio, spingevano i partecipanti verso una nuova communitas contro-culturale. E tuttavia questo modo di sentire il rock, come se fosse musica classica in cui si andava ai concerti per ascoltare e capire, fu una parentesi breve.

“Negli anni Settanta – conclude Banti – ritornano altre modalità di fruizione, si va ai concerti non per ascoltare, ma per sentirsi parte di un flusso, irrompe il ‘proletariato giovanile’ che protesta contro il prezzo dei biglietti e la remota lontananza delle star del rock, l’atteggiamento disattento nei confronti della musica è inoltre imposto da altre mode che si stanno affermando come la disco music o il punk. Ma non c’è naturalmente nessuna valutazione positiva o negativa rispetto a questi fenomeni, si tratta solo di constatarne l’esistenza, di interpretarli e studiarli”.

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