Elenco scorciatoie

Pisa e i Lorena
Sovrani nel giardino d’Europa

«La Toscana viene spesso chiamata il giardino d’Italia, è quasi come dire quello d’Europa»: da questa suggestiva considerazione di Simonde de Sismondi, contenuta nel Tableau de l’agriculture Toscane del 1801, e da altre simili citazioni di viaggiatori sette–ottocenteschi prende il titolo la mostra ospitata al Museo di Palazzo Reale dal 20 settembre al 14 dicembre 2008. Curata da Romano Paolo Coppini, affiancato nella direzione scientifica da Alessandro Tosi, l’esposizione rappresenta la degna conclusione di una serie di iniziative dedicate allo stretto rapporto dei Lorena con la città.

ingresso mostra

Nel giugno del 2005 al tema “Pisa e i Lorena” furono dedicate tre giornate di studio: L’Ateneo Riformato: l’opera di Gaetano Giorgini; i Viaggi di Studio: l’Egitto di Ippolito Rosellini; Tra Flora e Pomona: Gaetano Savi e Giorgio Gallesio, mentre furono tenuti altri incontri sui Bagni di San Giuliano e a Montefoscoli sui Vaccà Berlinghieri. Le conferenze erano state accompagnate da piccole esposizioni che hanno costituito la prima anticipazione della mostra odierna. Università, cultura e scienze: già dagli incontri del 2005 Coppini e Tosi, che hanno curato anche il bel catalogo della mostra, avevano insistito sul nesso tra la presenza dei Lorena a Pisa e la crescita della città, ed ovviamente del Granducato.

I Lorena regnarono in Toscana a partire dal 1737, con la reggenza di Francesco Stefano, ma fu con l’avvento di Pietro Leopoldo al trono granducale, nel 1765, che la regione conobbe una stagione di crescita e sviluppo i cui frutti andarono ben oltre il 1859, quando Leopoldo II fu costretto a lasciare la Toscana.

È opportuno sottolineare fin da ora come la corte leopoldina abbia sempre apprezzato Pisa non solo come luogo in cui trascorrere la stagione invernale, ma anche per la semplicità dei rapporti umani e soprattutto per le notevoli affinità culturali di Pietro Leopoldo con un ambiente dinamico e aperto alle scienze. Non è un caso che proprio a Pisa, il 30 novembre 1786, Pietro Leopoldo abbia firmato «La nuova legge criminale», che come è noto abolì la pena di morte e la tortura. Tale provvedimento faceva parte di quel più vasto progetto di riforme istituzionali, propedeutiche al “Progetto di costituzione”, redatto negli anni ’80 e presente in mostra nelle due stesure del 1782, proveniente dall’Archivio di Stato di Firenze e del 1787, custodito nell’Archivio Nazionale di Praga. I documenti introducono senza dubbio a una delle parti più suggestive della mostra: non è casuale che il visitatore incontri i preziosi manoscritti all’inizio del percorso espositivo, dopo i ritratti di Pietro Leopoldo e della consorte Maria Luisa. Come ricorda Romano Paolo Coppini nell’introduzione al catalogo, il progetto era stato ispirato dalla concezione della società aperta e moderna di Pietro Leopoldo, il quale, giunto in Toscana, aveva constatato con amarezza l’assenza di «un governo senza veruna legge fondamentale, ed interamente arbitrario ed ingiusto, perché fondato sulla violenza e non sul consenso dei popoli che solo possono legittimarne l’istituzione». Nonostante la costituzione non sia mai stata promulgata, Coppini sottolinea che «il mito dell’opera riformatrice» leopoldina, ha rappresentato, assieme alla legislazione criminale, un patrimonio ideale di riferimento per i liberali toscani e italiani che a più riprese, come nel 1830 e nel 1831, senza successo, e nel 1848, proficuamente, ne avrebbero richiesto la concessione. Del resto non bisogna dimenticare che tale fama fece sì che Mozart dedicasse a Pietro Leopoldo la “Clemenza di Tito”, rappresentata per la prima volta a Praga nel giorno dell’incoronazione di Pietro Leopoldo. Tale evento è ricordato nella mostra dalle belle acqueforti di Kaspar Pluth, raffiguranti scene del corteo imperiale fino alla incoronazione delle loro maestà nella Cattedrale di San Vito. Questa sequenza di dieci raffinate tavole e il libretto mozartiano, insieme a uno dei primi spartiti, sono esposti per la prima volta in Italia.

quadro lorena

I curatori, dunque, riprendendo e valorizzando ulteriormente i temi al centro delle giornate di studio del 2005, hanno suddiviso la mostra in tre sezioni: «La politica, le istituzioni»; «La cultura, le idee»; «Le arti, il territorio». Dall’esposizione emerge con chiarezza il ruolo di Pisa come capitale culturale, «in grado di rivestire un ruolo di primo piano nel panorama europeo grazie soprattutto ad alcuni docenti della sua Università, come Paolo e Gaetano Savi, Giovanni Carmignani, Pietro Capei, Ippolito Rosellini, Luigi Puccinotti, Maurizio Bufalini».

La prima sezione offre ampio spazio alle tre istituzioni sulle quali Pisa aveva costruito il suo ruolo di «importante centro “burocratico–amministrativo”» del Granducato: l’Università, l’Ordine di Santo Stefano e l’Uffizio dei Fossi. Sotto l’azione riformatrice di Pietro Leopoldo – come ricordano nel catalogo Franco Angiolini, Gaetano Greco, Alessandro Breccia e Marco Manfredi – tali organismi persero il tradizionale immobilismo, e in particolare l’Università, dopo il Congresso degli Scienziati del 1839, divenne «uno dei centri […] più importanti della penisola», assumendo quella «vivacità politica […] che coinvolgeva in un unico slancio “nazionale” cittadini, studenti e molti professori dell’Ateneo». Tale vivacità si sarebbe concretizzata nel sentito contributo pisano in occasione della prima guerra d’indipendenza e in particolare nel sacrificio di Curtatone e Montanara, degnamente raccontato in mostra dalla litografia raffigurante Elbano Gasperi in battaglia e dal dipinto di Pietro Senno del 1861, I Toscani a Curtatone. Ampio spazio è dedicato con particolare competenza alle quattro riforme dell’ordinamento comunale di età lorenese, illustrate da Danilo Barsanti. La storia della comunità ebraica pisana nella toscana granducale è mirabilmente ricostruita da Mirella Scardozzi. Alla corte e alla vita quotidiana sotto i Lorena è dedicato il raffinato saggio di Orsola Gori, che tocca tanti temi della mostra illustrati in particolare dai quadri di Giuseppe Maria Terreni sul Ballo nel cortile del Palazzo della Sapienza e sull’Accampamento delle truppe destinate al Gioco del Ponte in Piazza del Duomo, eseguiti in occasione della visita dei reali di Napoli, Ferdinando I di Borbone e Maria Carolina, sorella di Pietro Leopoldo. Di particolare interesse è il saggio di Moira Brunori e Caterina Chiarelli, che descrive la moda al tempo dei Lorena, felicemente illustrata in mostra da quattro splendidi abiti.

progetto di costituzione dei lorena

Un segno inequivocabile della vivacità culturale pisana è dato dalla presenza dello stesso Carlo Goldoni in città, ricordato dal quadro di Annibale Gatti Goldoni a Pisa che recita un sonetto nel giardino di Palazzo Scotto alla presenza degli Arcadi al Sei. Maria Augusta Morelli Timpanaro ricostruisce il soggiorno pisano di Carlo Goldoni, sottolineando come la sua permanenza in città, durata quattro anni (dalla fine del 1744 alla Pasqua del 1748), sia stata particolarmente fruttuosa. A Pisa il drammaturgo veneto stese Il servitore di due padroni, Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, Il frappatore, I due gemelli veneziani e L’uomo prudente. Fu proprio il composito mondo pisano, col quale Goldoni entrò in contatto, esercitando la professione di avvocato civile e criminale, a ispirargli gran parte di questi lavori. La realtà che Goldoni incontrò non era fatta di soli nobili, ma anche di «mercanti, artigiani [e] persone comuni».

Grande impulso in questo periodo ebbero anche le arti, attraverso l’attenta opera di recupero e valorizzazione dei monumenti pisani; a questo proposito si segnala l’inserimento di un pezzo pregiato come la «statua ideale antica» nello scalone di Palazzo Reale, e la collocazione sullo Stradone delle Cascine, nel 1786, di quattro statue raffiguranti divinità antiche fatte arrivare direttamente da Boboli.

Di maggior rilievo, senza dubbio, è il forte interesse nutrito dai Lorena verso l’Egitto, culminato nella spedizione di Ippolito Rosellini e Jean–François Champollion nella terra dei faraoni tra il 1828 ed il 1829, ricostruita da Edda Bresciani. Proprio al Rosellini, nel 1826, Leopoldo II aveva affidato la prima cattedra di Egittologia, mentre nel 1827 lo inviò a Parigi dove aiutò Champollion nella catalogazione del materiale egiziano del Louvre. Fu in quell’anno che i due, assieme al fratello di Champollion, Jaques, e allo zio di Rosellini, Gaetano, cominciarono a pianificare la spedizione che, nei loro obbiettivi, avrebbe dovuto spingersi più a sud di quella della Commission. Inoltre, grazie alle scoperte dello stesso Champollion, sarebbe stato possibile decifrare i geroglifici presenti in tutti i monumenti, dopo aver proceduto a una sistematica opera di rilievo. Finanziata da Carlo X e da Leopoldo II, la spedizione ebbe un enorme successo, non solo per la quantità enorme di materiale raccolto e per il contributo offerto al miglioramento delle tecnologie di rilievo, ma anche per la perfetta sintonia tra Rosellini e Champollion, che operarono, come testimoniano le loro lettere, senza alcuna frizione. Nel 1830 Rosellini organizzò a Firenze, presso l’Accademia delle Arti e dei Mestieri, una prima mostra degli oggetti raccolti durante la spedizione; nello stesso anno, a Pisa, espose alcuni disegni dei monumenti egizi, che negli anni successivi avrebbe raccolto nei volumi dei Monumenti, ben documentati peraltro all’interno della mostra.

disegno di castagne

Anche le scienze conobbero un particolare impulso, grazie soprattutto alla Riforma dell’Ateneo operata da Gaetano Giorgini dopo il Congresso degli Scienziati. Luigi Pacinotti e Carlo Matteucci furono due elementi fondamentali per la crescita di un’università che non avrebbe dovuto occuparsi semplicemente degli aspetti didattici, ma anche della ricerca applicata alla società. Matteucci in particolare si occupò di elettricità e magnetismo, meteorologia e soprattutto è annoverato tra i padri della elettrofisiologia per «aver scoperto la generazione di corrente elettrica generata dallo sforzo muscolare». Come sostiene Alessandro Volpi nel catalogo, sotto gli auspici dei Lorena si concretizzò un modello di “Università di Stato”.

Altrettanto può dirsi per le scienze naturalistiche, che in questo periodo conobbero un notevole sviluppo. A partire dal 1787 era stato potenziato l’Orto botanico e arricchite le collezioni del Museo di Storia Naturale, mentre tra il 1817 e il 1839 vide la luce una delle più significative opere di illustrazione naturalistica del XIX secolo, la Pomona Italiana di Giorgio Gallesio. Tra il 1818 e il 1824, grazie allo stimolo proveniente dall’opera di Gallesio, Gaetano Savi realizzò la Flora Italiana ossia una raccolta delle piante più belle che si coltivano nei giardini d’Italia, illustrata sulla base degli esemplari raccolti presso l’Orto botanico. Come ricordano Fabio Garbari, Federico Tognoni, Pietro Corsi e Claudio Luperini, fu grazie a quest’impulso e agli stimoli indirizzati a Leopoldo II da Carlo Luciano Bonaparte, da Giovan Pietro Vieusseux, da Gino Capponi e da Cosimo Ridolfi, che fu possibile ospitare a Pisa il Primo congresso degli scienziati, ricordato nella mostra grazie al bel manifesto a colori della Prima Riunione degli Scienziati Italiani in Pisa del 1839, proveniente dall’Archivio Nazionale di Praga.

teche in una stanza della mostra

La terza sezione valorizza l’interesse dei Lorena per il territorio urbano e agreste. Lo strumento migliore per illustrare è stato individuato nella raccolta di Mappe e Piante appartenenti alla famiglia, prestate dall’Archivio Nazionale di Praga ed esposte per la prima volta in quest’occasione in un suggestivo allestimento. Fra queste di particolare rilievo appaiono La Carta dello Stato Pisano post 1825, Il Granducato di Toscana diviso in tre province, di Francesco Giachi, del 1780, ed una carta del Compartimento Pisano. Territorio unito risalente del XIX secolo. Grazie alle mappe si può notare la cura e l’attenzione rivolta dai Lorena al territorio: vale la pena di ricordare che all’indomani dell’unità la rete stradale toscana aveva una lunghezza complessiva di 12.381 km, contro i 366 della media nazionale. Anche i quadri del pittore di corte Giovanni Signorini, L’inondazione del Serchio, e di Enrico Pollastrini, Una famiglia salvata dall’inondazione del Serchio, commissionati da Leopoldo II dopo l’alluvione del 1836, evento dal quale il Granduca era rimasto particolarmente toccato, offrono un’ulteriore possibilità di riflessione sul valore primario assegnato dai Lorena alla prevenzione rispetto alle calamità naturali attraverso la cura del territorio. In tal senso si mosse anche la valorizzazione voluta dalla dinastia della stessa tenuta di San Rossore. Fu Leopoldo II a portare a termine la trasformazione di San Rossore in residenza ufficiale attraverso interventi architettonici e urbanistici di notevole rilievo. In quest’ottica furono potenziati i bagni marini del Gombo e fu realizzato il “Prato degli Escoli”, primo ippodromo cittadino, come testimoniato dal bel dipinto di Louis Paternostre, Corsa di cavalli a San Rossore.

stemma

Naturalmente non abbiamo la pretesa di offrire in queste pagine un quadro esauriente su una mostra che, per estensione e varietà, merita una attenta visita. Nonostante tocchi argomenti diversi, solo apparentemente distanti tra loro, il percorso espositivo si presenta piacevole e facilmente comprensibile perché tenuto insieme da un filo conduttore incentrato sui Lorena e la loro moderna concezione dello stato. Pietro Leopoldo e i suoi successori, almeno fino al 1848, hanno concepito il Granducato non come sovrani assoluti, ma come un territorio da valorizzare nell’interesse e al fine di perseguire la «felicità della collettività». A differenza dei sovrani dell’epoca, Pietro Leopoldo e Leopoldo II, come ricorda Giuliana Biagioli, percorsero «quasi palmo a palmo» tutta la Toscana. I granduchi, che potevano contare su un’università riformata, affidarono ai matematici e agli scienziati pisani un importante ruolo nella realizzazione delle bonifiche del territorio.

Allo stesso modo, gli interventi di miglioramento del paesaggio urbano e agreste, erano funzionali a quella che Alessandro Tosi ha descritto come un’antesignana “promozione” del territorio.

In quest’ottica si sviluppò, tra il XVIII e il XIX secolo, la produzione di pittori come Giovan Battista Tempesti, Giuseppe Maria Terreni, Jacob Philip Hackert ed Enrico Pollastrini.

Questa traduzione immediata del «sapere scientifico […] in un rinnovato linguaggio della pittura» cui ha fatto riferimento Tosi, è indicativa del clima di progresso e contaminazione culturale che si respirava nel Granducato. In quest’ottica del resto furono chiamati ad insegnare presso l’Università di Pisa docenti in esilio o semplicemente «invisi ai loro governi», come Ottaviano Mossoti o Leopoldo Pilla, cui era stato impedito di partecipare al Congresso degli Scienziati. Così, dopo aver completato il percorso espositivo, il visitatore non solo assume una consapevolezza maggiore sul ruolo centrale svolto da Pisa nello sviluppo della Toscana tra il XVIII ed il XIX secolo, ma può riflettere ulteriormente sui principi di tolleranza che ispirarono il Progetto di Costituzione di Pietro Leopoldo.

Il fatto che la stagione di riforme si sia interrotta nel 1849, dopo il rientro di Leopoldo II sotto la protezione dell’esercito austriaco, non può far dimenticare i meriti dei Lorena. Lo stesso Pesendorfer è costretto a riconoscere che dopo tale data non solo i repubblicani, ma anche i liberali, abbracciarono la causa unitaria. Ma è indubbio che sia stato proprio grazie al clima di apertura culturale e di tolleranza politica respirato fino al 1848, che importanti esponenti del liberalismo toscano, come Bettino Ricasoli e Carlo Matteucci, abbiano potuto ricoprire importanti cariche nello stato unitario.

È da sottolineare, infine, la proficua collaborazione sviluppatasi, nell’allestimento della mostra con l’Archivio Nazionale e la Biblioteca Nazionale di Praga, destinata ad essere in futuro foriera di nuove fruttuose iniziative. Come ricorda Eva Gregorovicova, l’Archivio dei Lorena a Praga costituisce una fonte primaria e ancora ricca di sorprese, per la ricostruzione e la diffusione della storia di Pisa e della Toscana. Sovrani nel giardino d’Europa rappresenta, per fortuna, un incoraggiante passo in quella direzione.

Michele Finelli
dipartimento di Scienza della Politica