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Comunicati stampa

È un evento che ha coinvolto circa mille studenti del quinto anno delle scuole superiori di Pontedera che, in tre giornate di orientamento ospitate al Villaggio scolastico, hanno potuto conoscere da vicino le opportunità di studio offerte dall’Università di Pisa. “Pontedera orienta” è stata organizzata dalle scuole IPSIA Pacinotti, ITCG Fermi, ITIS Marconi, Liceo Montale e Liceo XXV Aprile, in collaborazione con il servizio Orientamento dell’Università di Pisa e con il sostegno della Conferenza Educativa di Zona, dei Comuni della Valdera e del CRED Valdera che da anni segue i percorsi di Alternanza scuola lavoro e Orientamento in uscita delle scuole superiori del villaggio scolastico.

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I dipartimenti dell’Università di Pisa, insieme al servizio Orientamento e al Career Service, soono stati dislocati nelle singole scuole secondo i diversi indirizzi di studi, per illustrare l’intera offerta formativa di UNIPI e per dare risposte alle domande degli studenti. Oltre ai dipartimenti hanno partecipato molti altri ospiti: la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, gli Istituti Tecnici Superiori della Toscana, la Fondazione Campus di Lucca, la Scuola Superiore per mediatori linguistici di Pisa e l’agenzia formativa Modartech di Pontedera.

Ciascun ospite, oltre ad aver presentato la propria offerta formativa nell’Aula Magna di una delle scuole del Villaggio scolastico, è stato a disposizione degli studenti e dei docenti con un proprio punto informativo. Gli studenti si sono mossi all’interno del Villaggio scolastico autonomamente per assistere alle diverse presentazioni e raccogliere informazioni nei punti informativi. All’organizzazione dell’evento ha partecipato attivamente un coordinamento di studenti appositamente costituito, rappresentativo di tutte le scuole di Pontedera, che ha permesso l’integrazione di competenze complementari.

Si occuperà anche di Pisa e della sua Università la trasmissione di Alberto AngelaMeraviglie. La penisola dei tesori“, in onda questa sera alle 21.20 su Rai1. Nella terza puntata, il popolare giornalista e conduttore televisivo guiderà infatti il pubblico alla scoperta di Piazza dei Miracoli, degli altri tesori e delle prestigiose istituzioni universitarie che danno una connotazione unica a questa città. Nel corso della puntata, Alberto Angela parlerà anche dei Sassi di Matera (città che sarà capitale europea della cultura nel 2019) e delle Dolomiti.

Le prime due puntate di "Meraviglie" sono andate in onda giovedì 4 e mercoledì 10 gennaio, mentre l’ultima andrà in onda mercoledì 24. La trasmissione ha avuto un ottimo riscontro sul piano degli ascolti e un altissimo grado di apprezzamento da parte degli spettatori per la sua qualità.

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aspettando_america.jpgÈ uscito per i tipi della Pisa University Press "Aspettando America" di Maxim D. Shrayer, scritto memorialistico ambientato nel 1987, a cura del professore Stefano Garzonio, ordinario di Slavistica al dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica.

Pubblichiamo di seguito la Nota alla traduzione italiana.

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Quasi trent’anni fa, nell’anno 1987, arrivai (per la prima volta) in Italia da Mosca. Avevo vent’anni ed ero un rifugiato. Venni qui perché l’Italia aveva aperto i confini e dato ospitalità a decine di migliaia di ebrei che sfuggivano alle persecuzioni – proprio come quando, nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale e della Shoah, l’Italia aveva di fatto consentito a migliaia di sopravvissuti ebrei, per lo più provenienti dall’Europa dell’Est, di entrare, riunirsi, per poi ripartire alla volta di Israele.

Prima arrivai a Roma, nel giugno del 1987, e poi trascorsi oltre due mesi a Ladispoli, una località costiera vicina alla più famosa Cerveteri, che è nota per i suoi tumuli, ossia le tombe etrusche. Arrivai in Italia e mi innamorai del paese e della gente. Questo amore – e questa gratitudine – mi sono rimasti nel cuore per sempre.

Aspettando America, il libro che presento oggi, è la storia di come ho lasciato la Russia, ho aspettato in transito prima di entrare in America, e mi sono innamorato dell’Italia mentre cercavo di rimettere insieme gli elementi essenziali della mia stessa identità – le mie radici ebraiche e quelle russe. Questo è un libro sulla separazione e sull’ingresso in un mondo nuovo.

Sono grato alla mia brava traduttrice, la dottoressa Rita Filanti, al professor Stefano Garzonio, che ha curato il testo e lo ha arricchito di una lucida ed elegante postfazione, e a Pisa University Press per aver dato al mio libro una ospitale casa italiana.

Maxim D. Shrayer
26 August 2017
South Chatham, Massachusetts

Più di sei mesi, è questo il tempo che serve al mare per “smaltire” le cosiddette buste ecologiche di nuova generazione. Senza dimenticare poi che la plastica biodegradabile di cui sono fatte può comunque alterare lo sviluppo delle piante e modificare alcune importanti variabili del sedimento marino come ad esempio ossigeno, temperatura e pH. Sono queste alcune delle conclusioni di uno studio condotto da un team di biologi dell’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista scientifica “Science of the Total Environment”. Il gruppo composto da Elena Balestri, Virginia Menicagli, Flavia Vallerini, Claudio Lardicci ha ricreato un ecosistema in miniatura per analizzare i potenziali effetti diretti o indiretti dell’immissione nell’ambiente marino delle nuove buste in bioplastica, la cui diffusione si prevede possa aumentare nei prossimi anni fino a raggiungere livelli simili a quelli delle buste tradizionali.


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Il gruppo di ricerca, da destra Flavia Vallerini, Virginia Menicagli, Claudio Lardicci, Elena Balestri


“La nostra ricerca si inserisce nel dibattito sul “marine plastic debris”, cioè sui detriti di plastica in mare, un tema globale purtroppo molto attuale – spiega il professore Lardicci dell’Ateneo pisano – quello che abbiamo potuto verificare è che anche le buste biodegradabili di nuova generazione attualmente in commercio hanno comunque tempi di degradazione lunghi, superiori ai sei mesi”.


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Andamento della degradazione


Come specie modello i ricercatori hanno selezionato due piante acquatiche tipiche del Mediterraneo, la Cymodocea nodosa e la Zostera noltei, valutando quindi la loro risposta a livello di singola specie e di comunità rispetto alla presenza nel sedimento di della bioplatica compostabile. Lo studio ha quindi esaminato il tasso degradazione delle buste e alcune variabili chimico/fisiche del sedimento che influenzano lo sviluppo delle piante.

“Ad oggi la nostra ricerca è l’unica ad aver valutato i possibili effetti della presenza di bioplastiche sui fondali marini e sulla crescita di organismi vegetali superiori – conclude Lardicci – i rischi di una possibile massiccia immissione di plastiche cosiddette “biodegradabili” nei sedimenti marini e gli effetti diretti e indiretti del processo di degradazione sull’intero habitat sono aspetti in gran parte ignorati dall’opinione pubblica e non ancora adeguatamente indagati dalla letteratura scientifica”.

 

La prima vittoria sul campo è stata lo scorso dicembre alla Maker Faire di Roma quando la App “Tennis Commander” ha vinto il contest “Play it easy” indetto dal Coni. Da lì si è aperta la strada per una collaborazione con il Comitato olimpico nazionale italiano con l’obiettivo di utilizzare questa innovativa applicazione nelle strutture federali e nei circoli.

“Tennis Commander è il primo software per smartwatch che serve a monitorare e migliorare le performance dei tennisti”, spiega il professore Giuseppe Prencipe, Ceo dello spin-off dell’Università di Pisa che ha realizzato la App.


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La premiazione alla Maker Faire

In pratica, i movimenti e il gesto tecnico dei tennisti sono monitorati dallo smartwatch indossato durante la sessione di gioco che elabora i dati raccolti in tempo reale fornendo così un vero e proprio “supporto strategico” al giocatore.

“Dopo la vittoria alla Maker Faire – conclude Prencipe - abbiamo avviato un dialogo fattivo con il Coni e da gennaio l’idea è appunto quella di stabilire una road-map sia tecnica che finanziaria che possa portare a far compiere un passo avanti all'intero progetto”.

 

Al via all’Università di Pisa il corso di perfezionamento “Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA): diagnosi e presa in carico”, un percorso formativo di 129 ore, con riconoscimento di 12 crediti CFU, riservato a laureati in Medicina e Chirurgia, Psicologia e Logopedia. Il corso inizierà l’8 febbraio 2018 e avrà una durata di 6 mesi circa. Per iscriversi c’è tempo fino al 29 gennaio, il bando è consultabile a questo link.

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«Obiettivo del corso è fornire ai partecipanti elementi per una corretta anamnesi, diagnosi e gestione pratica dei DSA, con particolare riferimento alla normativa e all’intervento in ambito clinico e scolastico» – spiega Ciro Conversano, direttore del corso e ricercatore di Psicologia generale presso il dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica.

«Infatti, nonostante l’ormai nota classificazione e il riconoscimento di questo tipo di disturbi, che nella maggior parte dei casi non permettono di gestire efficacemente alcuni mezzi di apprendimento come la lettura e la scrittura e la presenza in crescita di bambini con questa diagnosi, non sempre se ne osserva un’adeguata gestione da parte del Servizio Sanitario Nazionale e spesso si nota una certa confusione in materia di diagnosi e di figure professionali incaricate della stessa». 

Il  corso fornirà strumenti conoscitivi e pratici a chi vuole operare nel settore, così come disposto dalla delibera n° 1321 del 27/11/2017 della Regione Toscana, che norma lo psicologo a possedere “oltre all'iscrizione all'Albo dell'Ordine degli Psicologi anche un master universitario I livello o master universitario II livello o perfezionamento universitario o corso privato o pubblico di almeno 100 ore riconosciuto con crediti CFU o ECM residenziali”, per far parte dell’equipe di specialisti abilitati alla certificazione del DSA.

Giovedì 11 gennaio, a Palazzo alla Giornata, gli allievi della seconda edizione del master in “Internet ecosystem: governance e diritti” hanno discusso i loro elaborati finali davanti alla commissione composta dalla direttrice del master, la professoressa Dianora Poletti, dai professori Paolo Passaglia, Sergio Menchini, Alberto Gargani, Gian Luca Conti del Dipartimento di Giurisprudenza e Salvatore Ruggieri del Dipartimento di Informatica. Presenti anche tutor di istituzioni, aziende e studi professionali che hanno ospitato i partecipanti per il tirocinio.

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Numerosi e di interesse i temi trattati dai 13 allievi del corso: dalle problematiche poste dal nuovo regolamento europeo sulla privacy, la cui entrata in vigore è prossima, ai Big Data, dal documento informatico alla cybersecurity, dalle fake news alle false recensioni su Tripadvisor, dal trattamento dei dati creditizi nelle centrali rischi al processo civile telematico, per finire con l’accessibilità ai siti della pubblica amministrazione di soggetti con disabilità. Si è confermata con ciò l’attrattività dei temi approfonditi, che mirano a fornire competenze specialistiche di tipo legale-informatico per la crescita professionale e per attività di consulenza, da spendere in contesti aziendali o istituzionali.

La terza edizione del master, che vedrà sempre il partenariato del CNR-IIT di Pisa, prenderà avvio il 26 gennaio 2018. La nuova edizione rafforzerà la visione innovativa e multidisciplinare del programma didattico e vedrà protagonisti nuove e importanti realtà aziendali operanti nella rete, che contribuiranno all’arricchimento delle competenze degli allievi. La frequenza al master fornirà anche le competenze per la formazione della nuova figura professionale del Data Protection Officer. Le iscrizioni sono ancora aperte fino al 25 gennaio: per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://internetecosystem.it o contattare la segreteria didattica ai numeri 050/2212814 o 347/2115119.

L'Università di Pisa e il Centro Servizi per il Volontariato della Toscana (Cesvot) collaboreranno nelle attività di volontariato, considerate di primaria importanza per lo sviluppo di competenze trasversali e per la crescita di una solida coscienza civile nelle giovani generazioni. Per questo hanno definito un Protocollo d'intesa quinquennale, che è stato firmato venerdì 12 gennaio a Palazzo alla Giornata dal rettore Paolo Mancarella e dal presidente dell'associazione, Federico Gelli.

Nel rispetto dei propri ruoli e competenze, l'Ateneo pisano e Cesvot intendono istituire un sistema di relazioni territoriali che possa sensibilizzare i giovani alle tematiche del volontariato e stimolare una loro partecipazione attiva, consapevole e duratura alle attività promosse e portate avanti dalle organizzazioni di volontariato del territorio. In questo ambito i soggetti firmatari potranno sviluppare appositi progetti finalizzati a promuovere lo svolgimento di attività di volontariato da parte degli studenti universitari, per favorire lo sviluppo di competenze trasversali e il consolidamento di un sistema di relazioni comunitarie in una prospettiva di cittadinanza attiva.

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In particolare, l'Università si impegna a favorire il riconoscimento delle attività svolte dagli studenti iscritti ai corsi di laurea, laurea magistrale e a ciclo unico attraverso l’attribuzione di Crediti Formativi Universitari, fino a un massimo di 3, anche mediante lo svolgimento di appositi tirocini. Dal canto suo, Cesvot si impegna a veicolare e promuovere l’iniziativa presso le organizzazioni di volontariato del territorio provinciale, supportandole nell’ideazione e nello sviluppo di proposte coerenti e funzionali al raggiungimento degli obiettivi del progetto.

I partner potranno infine collaborare nella realizzazione di attività didattiche, formative e seminariali su temi inerenti il volontariato e la cittadinanza attiva, oltre che nello sviluppo di tematiche promosse dagli studenti in collaborazione con le organizzazioni di volontariato.

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"Il volontariato - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - è una delle principali e più belle risorse a disposizione del nostro Paese e per le università rappresenta un patrimonio da valorizzare sia a livello di solidarietà che di formazione professionale. Il mondo universitario deve essere sempre più luogo di formazione aperto a coloro che vogliono impegnarsi per gli altri, di approfondimento e più in generale di apertura e scambio culturale. Per concretizzare questo accordo in azioni, a questa firma devono, però, seguire fatti. Per questo il nostro Ateneo premierà gli studenti che decideranno di impegnarsi riconoscendo loro crediti formativi ad hoc. Operare attivamente nel volontariato, infatti, rappresenta in sé un importante momento di formazione: formazione umana e sociale".

“Dopo l’esperienza già avviata con l’Università di Siena - ha detto il presidente di Cesvot, Federico Gelli - anche l’Ateneo pisano riconosce la valenza formativa delle attività di volontariato. Ciò significa un importante passaggio culturale nella direzione di una società che si riconosce nei valori dell’inclusione sociale e della solidarietà. Questa scelta è stata confermata, nel 2015, dal legislatore che ha voluto rivolgere i percorsi di alternanza scuola lavoro, destinati alle scuole superiori, anche agli enti del Terzo settore. Ciò ha significato arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e correlare l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio. Cesvot, coerente con il suo mandato istituzionale, si rende disponibile a sensibilizzare e coordinare le associazioni del territorio pisano perché possano proporsi agli studenti universitari, farsi conoscere e accoglierli nel modo migliore. La provincia di Pisa è la terza in Toscana per numero di organizzazioni di Terzo settore. Sono 647 le associazioni di volontariato e di promozione sociale impegnate in tanti ambiti, dall’ambientale al culturale, dal sociale al sanitario alla protezione civile. Associazioni sempre più coinvolte in progetti con le scuole di vari ordini e grado e consapevoli dell’importanza dell’incontro con le nuove generazioni per portare entusiasmo e nuove competenze al loro interno”.

La Fondazione Stella Maris perde un’altra importante figura che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo scientifico ed assistenziale dell’Istituto. Mercoledì sera è mancata dopo una breve malattia la professoressa Mara Marcheschi, 87 anni, già associato di neuropsichiatra infantile dell’Università di Pisa e coordinatrice della linea di ricerca in Psicopatologia dello sviluppo della Stella Maris. I funerali si svolgeranno venerdì 12 gennaio alle ore 15 a Pisa nella Chiesa del Carmine.

Il decesso della professoressa Marcheschi è avvenuto nemmeno un anno dopo quello del marito, il professore Pietro Pfanner, riconosciuto insieme a lei tra i “padri fondatori” di quello che negli anni ’50 era l'Istituto Medico-Pedagogico Stella Maris, nucleo di quello che è poi diventato l’attuale IRCCS Fondazione Stella Maris, un moderno ospedale di ricerca, completamente dedicato ai disturbi neurologici e psichiatrici del bambino e dell’adolescente.

Marcheschi home

Densissimo è stato il percorso professionale della professoressa Mara Marcheschi, dalla laurea in Medicina e Chirurgia a pieni voti ottenuta all’Università di Pisa nel 1954. Dopo la specializzazione in Malattie Nervose e Mentali, ha ottenuto sempre a pieni voti quella in Neuropsichiatria Infantile e nel 1970 l’idoneità a primario ospedaliero. Dopo il ruolo di assistente universitario, nel 1980 è diventata professore associato in Neuropsichiatria Infantile all'Università di Pisa, con sede operativa all’Istituto Scientifico Stella Maris.

La professoressa Marcheschi è stata direttore della scuola a fini speciali per Terapisti della Riabilitazione della Neuro e Psicomotricità dell'Ateneo pisano e poi presidente del corso di diploma universitario per lo stesso settore. Alla Stella Maris la professoressa Marcheschi è stata coordinatrice prima della linea di ricerca in "Fisiopatologia delle funzioni cognitive e dell’apprendimento” e poi di quella in "Ricerca psicopatologia dello sviluppo". Ha mantenuto questi ruoli fino al suo pensionamento nel 2001.

Nella sua carriera la professoressa Marcheschi ha svolto numerose missioni scientifiche presso Istituti e Laboratori di Ricerca in Italia e all’estero e prodotto circa 400 lavori pubblicati su autorevoli riviste del settore, italiane e straniere, oltre a contribuire a numerosi capitoli di libri, alcuni dei quali anche dopo la conclusione del ruolo assistenziale e di docenza.

Al suo impegno di docente universitario e di neuropsichiatra dell'età evolutiva si è sempre affiancata la formazione delle persone legate alla cura. Anche dopo il pensionamento, infatti, è rimasta a lungo attiva, in ambito universitario, in riferimento alla formazione degli insegnanti di sostegno per ogni ordine e grado di scuola, pubblicando insieme al marito, Pietro Pfanner, testi rivolti alle cosiddette "figure d'aiuto": non solo medici, ma anche psicologi, pedagogisti, insegnanti, terapisti ed educatori.

Per anni si è pensato che la causa della morte di un bambino vissuto circa 500 anni fa, il cui corpo fu imbalsamato e conservato nelle arche sepolcrali della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, fosse il vaiolo. Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell’epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online "Plos Pathogens".

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La mummia del bambino, indossante ancora la veste monastica dell’Ordine Domenicano.

Nel corso delle missioni esplorative dell’Università di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Gino Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni indossante ancora la veste monastica dell’Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV).

Fig. 4 Faccia con eruzione

«Mentre in genere i virus si evolvono molto rapidamente, è stato visto che questo antico ceppo di HBV è mutato poco negli ultimi 450 anni – spiega il professor Fornaciari – È stata infatti rilevata una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che è nota come “struttura temporale”. In altre parole, non vi è alcun tasso misurabile di evoluzione per tutto il periodo di 450 anni, che separa il campione prelevato dalla piccola mummia da quelli moderni. La spiegazione potrebbe consistere nel fatto che essendo l’epatite B una malattia sessualmente trasmessa, e non tramite animali o insetti vettori, il virus non ha avuto la necessità di mutare almeno negli ultimi cinque secoli».

L’eruzione vescicolo-pustolosa del bambino e le analisi immunologiche di trenta anni fa (allora gli studi sul DNA antico non erano ancora disponibili) avevano suggerito che il bambino fosse stato affetto da vaiolo. Utilizzando tecniche avanzate di mappatura genetica, i ricercatori hanno dimostrato chiaramente che il bambino era stato infettato dall'HBV. È interessante notare che i bimbi con infezione da epatite B possono sviluppare un'eruzione facciale, nota come sindrome di Gianotti-Crosti, che potrebbe essere stata identificata come vaiolo. Non può essere però esclusa anche una co-infezione.

Secondo alcune stime, oltre 350 milioni di persone oggi hanno infezioni croniche da epatite B, mentre circa un terzo della popolazione mondiale risulta essere stata infettata a un certo punto della vita. Ecco perché, secondo i ricercatori, è importante studiare i virus antichi: «Più comprendiamo meglio il comportamento delle pandemie e delle epidemie passate, maggiore è la nostra comprensione di come i moderni agenti patogeni potrebbero diffondersi. E queste informazioni alla fine contribuiranno agli sforzi per controllare questi minuscoli killer», afferma Hendrik Poinar, genetista evolutivo del McMaster Ancient Dna Center e investigatore principale all'Istituto Michael G. DeGroote per la ricerca sulle malattie infettive.

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