Venti anni del Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace
Ha festeggiato venti anni di attività il Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (Cisp) dell'Università di Pisa, che studia e promuove le condizioni per trasformare pacificamente i conflitti, ridurre le violenze e costruire una pace sostenibile. Lo ha fatto con un incontro tenuto, venerdì 16 novembre, nell'Auditorium del Centro "Le Benedettine". Dopo i saluti del rettore Paolo Mancarella, sono intervenuti la direttrice del Cisp, Enza Pellecchia, e i professori Giorgio Gallo, Fabio Tarini e Pierluigi Consorti, che hanno diretto il Centro negli scorsi anni. Nel corso della mattinata sono anche intervenuti gli ex rettori Luciano Modica e Marco Pasquali e la prorettrice vicaria Nicoletta De Francesco per portare la loro testimonianza dei rapporti con il Centro, la presidente dei corsi di laurea in Scienze per la pace, Eleonora Sirsi, e i professori Simone D’Alessandro e Alessandro Breccia. L'incontro si è chiuso con le testimonianze di tante e tanti che nel corso di questi anni hanno collaborato a vario titolo con il Centro, contribuendo a renderlo un apprezzato protagonista degli studi per la pace.
Pubblichiamo di seguito una riflessione della professoressa Enza Pellecchia, direttrice del Cisp, sulla storia e sulla mission del Centro.
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Il Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (CISP)
A metà degli anni '90, alcuni docenti dell'Università di Pisa provenienti da discipline diverse e da diverse esperienze iniziavano a progettare l'istituzione di un centro di ricerca focalizzato sui temi della pace.
Le idee riguardo ai modi in cui poter sviluppare l'iniziativa nel mondo accademico erano ancora confuse, ma un elemento era già ben chiaro: la consapevolezza che il mondo accademico non poteva continuare a serbare indifferenza verso i problemi della pace e della guerra.
La motivazione nasceva anche da una lettura di ciò che stava accadendo a livello internazionale.
Con la fine della guerra fredda, si era diffusa l'aspettativa dei cosiddetti "dividendi della pace", ovvero l'idea che molte delle enormi risorse fino ad allora usate per apparati militari avrebbero potuto finalmente essere utilizzate per affrontare i grandi problemi che l'umanità aveva davanti, il problema della fame e della salute nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, le crescenti disuguaglianze economiche, i sempre più urgenti problemi ambientali. Dopo soli pochi anni appariva invece chiaro che le spese militari non erano state significativamente ridotte, che la povertà era ancora la norma per la maggioranza della popolazione mondiale, che le disuguaglianze erano in crescita anche nei paesi ricchi, che nuove guerre producevano in misura crescente sofferenze fra la popolazione civile, morti ed esodi forzati, ed inoltre che l'interventismo militare degli stati occidentali stava crescendo.
In questo scenario diventava sempre più evidente il ruolo di primo piano giocato dalla tecnologia e dalle scienze (tutte, da quelle della natura a quelle umane).
Tuttavia l'idea vecchia, ma persistente, della neutralità della scienza costituiva un ottimo alibi per non porsi domande né sul senso e la finalità delle ricerche né sull'origine dei finanziamenti alla ricerca.
Da qui l'idea che fosse necessario inserire il discorso sulla pace non tanto genericamente all'interno dell'università con qualche iniziativa circoscritta, ma su un più preciso duplice piano: in generale, nel contesto della vocazione primaria dell’Accademia; specificatamente, all'interno di tutte le discipline in essa coltivate.
Da qui anche la scelta del nome del nuovo Centro, nato nel 1998 con la missione di studiare e promuovere le condizioni per trasformare pacificamente i conflitti, ridurre le violenze e costruire una pace sostenibile.
Si sarebbe potuto fare riferimento agli "Studi sulla Pace" oppure alle "Scienze della Pace"; è stato invece scelto il meno immediato "Scienze per la Pace", per esprimere la consapevolezza del fatto che la Pace non potesse essere l'oggetto di una nuova disciplina che si collocasse a fianco delle altre. Rinchiudere il discorso sulla pace all'interno degli stretti confini di una disciplina accademica rischia infatti di sterilizzarlo, di ridurne la capacità di incidere e di cambiare la realtà.
Una cultura di pace
E’ tuttavia essenziale chiarire il senso della parola "pace", anche attraverso il suo opposto, individuato nella violenza, piuttosto che nella guerra. Uno studio critico della violenza è fondamentale all'interno di un discorso scientifico sulla pace.
Questo discorso è molto ampio, perché involge la violenza diretta (violenza fisica, palese, ma anche forme più sottili di violenza, come l'isolamento, l'emarginazione, il non riconoscimento dell'altro a causa della sua diversità etnica, religiosa, sessuale, ...) e la violenza strutturale (condizioni di oppressione e discriminazione che – anche in tempo di pace apparente - sono insite nelle strutture sociali, economiche, politiche e culturali).
Siamo convinti che per costruire la pace sia necessario studiare i conflitti. La visione del CISP è quella di operare sui conflitti in chiave nonviolenta, trasformandoli in opportunità per costruire legami sociali pacifici, cooperativi e duraturi, evitando sempre il ricorso alla violenza, che può facilmente degenerare in guerra.
In sintonia con questa idea di pace che si oppone alla violenza, potremmo definire cultura di pace una cultura della convivialità e della condivisione, fondata sui principi di libertà, giustizia e democrazia, di tolleranza e solidarietà. Una cultura che rifiuta la violenza, cerca di prevenire i conflitti all'origine e di risolvere i problemi attraverso il dialogo ed il negoziato. Infine, una cultura che assicura a tutti il pieno godimento di tutti i diritti e dei mezzi per partecipare pienamente allo sviluppo endogeno della società.
In questa accezione, la latitudine dell'idea di pace è evidentemente molto ampia e coinvolge la società nel suo complesso, a livello locale ed a livello internazionale. Disuguaglianze, sviluppo e sottosviluppo, povertà, sostenibilità, convivenza fra culture e religioni diverse, sono tutti aspetti essenziali di un discorso sulla pace.
Le Scienze per la Pace
Nel progetto del Cisp, l'inserimento del discorso sulla pace all'interno del mondo universitario si muove lungo due direzioni distinte ma complementari.
La prima direzione va dalle discipline verso la pace. In che modo le nostre conoscenze, le nostre competenze scientifiche possono contribuire ad una diffusione della cultura della pace, ed a realizzare le condizioni perché la pace possa essere la condizione normale della società umana?
La seconda direzione segue invece il percorso contrario, dalla pace verso le diverse discipline: la pace come una lente, una nuova prospettiva attraverso cui guardare il modo con cui facciamo ricerca, i paradigmi che usiamo, per poterli mettere in discussione.
Quanto detto ha una immediata conseguenza, la interdisciplinarità, o, come qualcuno preferisce chiamarla, la transdisciplinarità. Le diverse discipline non possono né contribuire alla pace né farsi da essa mettere in discussione da sole. Sono necessari il dialogo e un continuo scambio. La pace diventa allora il punto di snodo in cui le discipline si incontrano, si confrontano, riconoscono il ruolo e l'importanza delle reciproche prospettive e collaborano, in certi casi arrivando a vere e proprie contaminazioni interdisciplinari, in una sorta di affascinante “meticciato” scientifico.
Enza Pellecchia
Direttrice del CISP
Nella foto in alto: da sinistra, Enza Pellecchia, Pierluigi Consorti, Giorgio Gallo e Fabio Tarini.
Nella foto al centro: Paolo Mancarella e Enza Pellecchia.
Nella foto in basso: da sinistra, Nicoletta De Francesco, Luciano Modica e Marco Pasquali.
Incontro a Lucca: “I sommersi, i salvati, i salvatori. Ritratti, racconti e pensieri sulle leggi razziali”
Sabato 17 novembre la Chiesa di San Francesco nell’omonima piazza a Lucca ospita una mattinata di incontri e film dal titolo "I sommersi, i salvati, i salvatori. Ritratti, racconti e pensieri sulle leggi razziali". Aperto a scuole e cittadinanza e fra gli appuntamenti della quinta edizione delle Conversazioni in San Francesco, l’evento è organizzato nell’ambito della rassegna San Rossore 1938, promossa dall'Università di Pisa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
La mattinata si aprirà con la proiezione di “Phoebe Miranda”, un breve film di Massimo Martella che raccoglie la testimonianza di una donna toscana, allora ragazzina, sopravvissuta alle persecuzioni razziali e vittima delle leggi firmate nel 1938. Sarà presente e interverrà Silvia Frosali, figlia di Phoebe Miranda.
A seguire il professore Michele Battini dell’Università di Pisa porterà il suo contributo storico su “San Rossore 1938 -2018” come spunto per comprendere e approfondire le radici dell'antisemitismo nella società europea e per una riflessione più ampia sul razzismo.
Alfredo De Girolamo narrerà invece le storie dei “giusti” Toscani, ovvero, le storie di quei non-ebrei che hanno messo a rischio la propria vita e quella dei propri familiari per salvare alcuni ebrei dalla deportazione e dai campi di concentramento. Ricorderà in particolare la figura Fratel Arturo Paoli, lucchese, morto nel 2015 a 102 anni, sacerdote, religioso e missionario italiano, che apparteneva alla congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo. Fratel Arturo Paoli ha ricevuto il titolo di "Giusto tra le nazioni" per il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale. Nel 2006 gli è stata conferita la Medaglia d'oro al valor civile per le mani del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per aver collaborato alla costruzione di una struttura clandestina, che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell'alta Toscana, riuscendo a salvare circa 800 cittadini ebrei.
Sulle storie dei giusti toscani, De Girolamo ha appena scritto il libro “Campioni di altruismo” (Pisa University Press, 2018) in cui traccia una mappa toscana dei tantissimi eroi che Yad Vashem ha celebrato come “Giusti tra le Nazioni”.
Selezione per un Dirigente di II fascia per l'edilizia di Ateneo
Risolto il giallo della morte di Pico della Mirandola: fu avvelenamento da arsenico
Il 17 novembre del 1494 moriva a Firenze, in circostanze misteriose e a soli 32 anni, il grande umanista e filosofo Pico della Mirandola, famoso non ultimo per la proverbiale memoria. A più di 500 anni di distanza, lo studio dei suoi resti conservati in un chiostro vicino alla basilica fiorentina di San Marco ha rivelato che il decesso fu provocato non da sifilide ma da un avvelenamento da arsenico.
La ricerca, pubblicata sul Journal of Forensic and Legal Medicine, è stata condotta da un team di ricercatori delle università di Pisa, Bologna, del Salento, di Valencia (Spagna), di York (Gran Bretagna), dal Max Planck Institute (Germania) nonché dagli esperti del RIS di Parma.
“Gli esami eseguiti hanno dimostrato che nei resti di Pico erano presenti segni riconducibili ad intossicazione da arsenico e che i livelli del veleno erano potenzialmente letali, compatibili con la morte per avvelenamento acuto del filosofo – ha spiegato Fulvio Bartoli del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano - Ovviamente, che si sia trattato di avvelenamento intenzionale è difficile da dimostrare anche se questa ipotesi è sostenuta da varie fonti documentarie e storiche”.
La sepoltura di Pico della Mirandola - fra cui ossa, unghie, tessuti molli mummificati, vestiti, legno della cassa - è stata sottoposta ad una serie di analisi di carattere biologico e chimico-fisico sia per confermare l’identificazione dei resti sia per rilevare la presenza delle tracce di arsenico. In particolare, i ricercatori hanno utilizzato un approccio multidisciplinare mettendo insieme analisi antropologiche e documentali, datazione al radiocarbonio e ad analisi del DNA antico accanto a sofisticate tecniche di microscopia ottica ed elettronica.
“La nostra indagine – conclude Fulvio Bartoli – ha riguardato anche le spoglie di un altro grande umanista, Angelo Poliziano, anche lui scomparso prematuramente nel 1494 e inumato in una tomba vicina a quella di Pico. In questo caso però non risulta confermata l’ipotesi dell’avvelenamento dato che i livelli di arsenico che abbiamo trovato sono piuttosto attribuibili ad una esposizione cronica al veleno, causata probabilmente da fattori ambientali o da trattamenti medici”.
Didascalia figura:
L’immagine al microscopio elettronico a scansione indica la presenza di una banda di leuconichia (biancastra) su un’unghia del piede sinistro di Pico della Mirandola riconducibile ad una esposizione tossica all'arsenico.
Risolto il giallo della morte di Pico della Mirandola: fu avvelenamento da arsenico
Il 17 novembre del 1494 moriva a Firenze, in circostanze misteriose e a soli 32 anni, il grande umanista e filosofo Pico della Mirandola, famoso non ultimo per la proverbiale memoria. A più di 500 anni di distanza, lo studio dei suoi resti conservati in un chiostro vicino alla basilica fiorentina di San Marco ha rivelato che il decesso fu provocato non da sifilide ma da un avvelenamento da arsenico.
La ricerca, pubblicata sul Journal of Forensic and Legal Medicine, è stata condotta da un team di ricercatori delle università di Pisa, Bologna, del Salento, di Valencia (Spagna), di York (Gran Bretagna), dal Max Planck Institute (Germania) nonché dagli esperti del RIS di Parma.
“Gli esami eseguiti hanno dimostrato che nei resti di Pico erano presenti segni riconducibili ad intossicazione da arsenico e che i livelli del veleno erano potenzialmente letali, compatibili con la morte per avvelenamento acuto del filosofo – ha spiegato Fulvio Bartoli del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano - Ovviamente, che si sia trattato di avvelenamento intenzionale è difficile da dimostrare anche se questa ipotesi è sostenuta da varie fonti documentarie e storiche”.
L’immagine al microscopio elettronico a scansione indica la presenza di una banda di leuconichia su un’unghia del piede sinistro di Pico della Mirandola riconducibile ad una esposizione tossica all'arsenico.
La sepoltura di Pico della Mirandola - fra cui ossa, unghie, tessuti molli mummificati, vestiti, legno della cassa - è stata sottoposta ad una serie di analisi di carattere biologico e chimico-fisico sia per confermare l’identificazione dei resti sia per rilevare la presenza delle tracce di arsenico. In particolare, i ricercatori hanno utilizzato un approccio multidisciplinare mettendo insieme analisi antropologiche e documentali, datazione al radiocarbonio e ad analisi del DNA antico accanto a sofisticate tecniche di microscopia ottica ed elettronica.
Fulvio Bartoli
“La nostra indagine – conclude Fulvio Bartoli – ha riguardato anche le spoglie di un altro grande umanista, Angelo Poliziano, anche lui scomparso prematuramente nel 1494 e inumato in una tomba vicina a quella di Pico. In questo caso però non risulta confermata l’ipotesi dell’avvelenamento dato che i livelli di arsenico che abbiamo trovato sono piuttosto attribuibili ad una esposizione cronica al veleno, causata probabilmente da fattori ambientali o da trattamenti medici”.
Il Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (Cisp) compie venti anni
Venerdì 16 novembre, nell'Auditorium del Centro "Le Benedettine", saranno celebrati i venti anni di vita del Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (Cisp): il centro di ricerca e formazione dell'Università di Pisa che studia e promuove le condizioni per trasformare pacificamente i conflitti, ridurre le violenze e costruire una pace sostenibile.
Dopo i saluti introduttivi del rettore Paolo Mancarella, in programma alle ore 9.30, la storia del Centro sarà ripercorsa attraverso un'intervista della giornalista Stefania Maurizi ("la Repubblica") ai professori Giorgio Gallo, Fabio Tarini e Pierluigi Consorti, che hanno diretto il Centro negli scorsi anni. Subito dopo, gli ex rettori Luciano Modica, Marco Pasquali e Massimo Augello e la prorettrice vicaria Nicoletta De Francesco porteranno la loro testimonianza dei rapporti con il Cisp. L’attuale direttrice Enza Pellecchia e la presidente dei corsi di laurea in Scienze per la pace, Eleonora Sirsi, illustreranno le attività attuali e le prospettive di sviluppo.
Simone D’Alessandro, docente di Economia politica e vice direttore del Centro, terrà una relazione sul "Cisp come soggetto di ricerca”, e Alessandro Breccia, docente di Storia delle istituzioni politiche, parlerà del "Cisp come oggetto di una ricerca storica". L'incontro si chiuderà con le testimonianze di tante e tanti che nel corso di questi anni hanno collaborato a vario titolo con il Centro, contribuendo a renderlo un apprezzato protagonista degli studi per la pace.
Per tutta la mattinata sarà possibile visitare la mostra fotografica “Storie illustrate di minori migranti”, a cura di Claudia Bellante e Mirko Cecchi.
Nato nel 1998 per iniziativa di alcuni professori dell'Università di Pisa provenienti da vari settori disciplinari, l’allora Centro Interdipartimentale di Scienze per la Pace - divenuto nel 2005 Centro Interdisciplinare di Ateneo - partiva dalla consapevolezza che il mondo accademico poteva offrire un contributo alla costruzione della pace, valorizzandola come occasione di incontro e confronto tra discipline diverse. Nel corso di questi anni un centinaio di docenti hanno aderito al Centro, svolgendo attività di ricerca, organizzando seminari e incontri di studio, con particolare attenzione ai temi della promozione dei diritti umani, della globalizzazione, del servizio civile, della difesa civile non armata e nonviolenta. Nel 2001 il Cisp ha promosso la nascita degli attuali Corsi di laurea in Scienze per la pace – tuttora unici in Italia – affiancandoli nel tempo con altre impegnative attività didattiche, sulla mediazione e conciliazione, sulla gestione dei conflitti interculturali e interreligiosi e sulle crisi migratorie.
"A distanza di venti anni - ha detto la professoressa Enza Pellecchia, direttrice del Cisp - ha senso domandarsi non solo cosa sia stato già fatto per promuovere una cultura di pace, ma soprattutto come continuare questo impegno. I peace studies sono nati in un contesto di guerra fredda e di ordine bipolare, molto diverso dal disordine mondiale nel quale viviamo adesso. Inoltre, le nuove tecnologie e i cambiamenti climatici pongono nuovi problemi e nuovi dilemmi, che la globalizzazione non riesce ad affrontare. Celebrare questo anniversario significa anche interrogarci sulle nuove sfide che impegnano la costruzione della pace e che chiedono riflessioni su etica, libertà, diritti, democrazia, sovranità, potere, sviluppo e crescita, competizione, uguaglianza, tolleranza, solidarietà".
Incontro a San Miniato: “I sommersi, i salvati, i salvatori. Ritratti, racconti e pensieri sulle leggi razziali”
Venerdì 16 novembre l’Auditorium di Piazza Bonaparte a San Miniato ospita una mattinata di incontri e film dal titolo "I sommersi, i salvati, i salvatori. Ritratti, racconti e pensieri sulle leggi razziali". L’appuntamento aperto alle scuole e alla cittadinanza è organizzato nell’ambito della rassegna San Rossore 1938, promossa dall'Università di Pisa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.
La mattinata si aprirà con la proiezione di “Phoebe Miranda”, un breve film di Massimo Martella che raccoglie la testimonianza di una donna toscana, allora ragazzina, sopravvissuta alle persecuzioni razziali e vittima delle leggi firmate nel 1938.
A seguire il professore Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa racconterà un episodio avvenuto nel luglio 1947 sulla spiaggia di Migliarino e rimasto a lungo segreto. Nel quadro dell’operazione Alyah Bet coordinata da Ada Sereni, circa ottocento ebrei, scampati ai campi di sterminio, giunsero clandestinamente da Milano e dal Lazio a Migliarino a bordo di trentasette corriere: facendosi passare per stravaganti turisti americani, vennero traghettati sulla nave Raffaelluccia, e partirono verso Israele. Questo episodio, analogo a quello reso celebre dal film “Exodus”, e a vari altri avvenuti in Liguria e a Venezia, riscatta dunque, in qualche modo, il territorio macchiato da Vittorio Emanuele III con la firma della prima legge razziale, il 5 settembre 1938, nella contigua tenuta reale di San Rossore
Concluderà la mattinata l’intervento di Alfredo De Girolamo che narrerà la storia della famiglia Bartalucci e dei coniugi Lorenzini, sanminiatesi annoverati fra i “giusti” Toscani, ovvero quei non-ebrei che misero a rischio la propria vita e quella dei propri familiari per salvare alcuni ebrei dalla deportazione e dai campi di concentramento.
Sulle storie dei giusti toscani, De Girolamo ha appena scritto il libro “Campioni di altruismo” (Pisa University Press, 2018) in cui traccia una mappa toscana dei tantissimi eroi che Yad Vashem ha celebrato come “Giusti tra le Nazioni”.
La plastica, da grande amica a nemica
Le materie plastiche, e più in generale i polimeri, da oltre 100 anni accompagnano la nostra vita, rendendola più comoda, accogliente e piacevole, contribuendo alla qualità dei cibi che mangiamo e all'efficacia dei prodotti per la cura del corpo e della salute, facendoci risparmiare energia, in poche parole essendo presenti in quasi tutti gli oggetti che usiamo e nelle attività che svolgiamo quotidianamente. Come tutti i frutti del progresso, la discriminante tra il percepirli come amici o nemici, come buoni o cattivi, non sta nell'innovazione in sé, ma nel suo uso o abuso da parte dell'uomo.
Sono queste le tematiche che affronterà giovedì 15 novembre, Valter Castelvetro, professore del dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa.
L’incontro è organizzato dal Sistema Museale di Ateneo (Museo degli Strumenti di Fisica) in collaborazione con l’associazione La Nuova Limonaia e la Ludoteca Scientifica. Per gli interessati l’appuntamento è alle ore 21 alla Cittadella Galileiana (area ex Vecchi Macelli) con ingressi da Via Bonanno Pisano 2/A e da Largo Renzo Spadoni. Per maggiori informazioni rivolgersi al numero 320/0403946 dalle 9.30 alle 16:00.