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Assemblare mattoncini biologici provenienti da organismi diversi per generare nuovi meccanismi molecolari può sembrare fantascienza ma, grazie allo sviluppo della biologia sintetica, l’obiettivo è sempre più vicino: in questo ambito si colloca la realizzazione di un nuovo sensore biologico di sintesi, ingegnerizzato per percepire e per rispondere a variazioni nei livelli di ossigeno nelle cellule e nei tessuti vegetali. Il risultato di questa ricerca è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Plant Physiology” ed è stato ottenuto grazie alla collaborazione fra Scuola Superiore Sant’Anna, Università di Pisa, Scuola Normale Superiore. Si apre adesso la strada verso nuove strategie per fronteggiare i cambiamenti climatici, con particolare riferimento alle colture, che possono andare distrutte da piogge particolarmente abbondanti, le quali finiscono per sommergerle.

“Si tratta di una combinazione di elementi originari del mondo animale, vegetale e fungino – spiega Sergio Iacopino, dottorando dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna e primo autore dell’articolo scientifico – assemblati in maniera opportuna per segnalare la presenza di ossigeno attraverso la produzione di bioluminescenza, fenomeno caratteristico delle lucciole o degli organismi marini. In questo modo potremo monitorare i livelli di ossigeno nei tessuti delle piante con elevata precisione e sensibilità”.

image copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy copy“In laboratorio, questo prototipo è già stato superato – sottolinea Benedetta Mennucci, professore ordinario del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa – e ora le nuove frontiere applicative per questi ‘lego biologici’ sembrano essere la possibilità di guidare specifici processi di crescita e di sviluppo delle piante in risposta agli stress per variazioni in gradienti di ossigeno. Questo successo apre le porte all’’utilizzazione del sensore molecolare per testare in laboratorio strategie di resistenza alla sommersione, ovvero alla mancanza di ossigeno. Tale condizione di stress per le piante – aggiunge Beatrice Giuntoli, ricercatrice del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa – ne mette sempre più spesso a repentaglio la sopravvivenza, facendo dell’indisponibilità dell’ossigeno un grave fattore limitante con il quale gli organismi vegetali dovranno sapersi confrontare, in conseguenza dei cambiamenti climatici in atto”.

“Il lavoro – conclude Francesco Cardarelli, professore associato di Fisica applicata della Scuola Normale Superiore – è frutto della collaborazione ormai stabilita da alcuni anni fra i nostri atenei, dove le competenze di ciascuna unità sono confluite nella realizzazione di questo sensore sintetico. Il progetto ha beneficiato della condivisione di laboratori e strumentazione presso il laboratorio Nest della Scuola Normale Superiore. Ci auguriamo di poter continuare in questa direzione con altrettanto successo”.

Uno studio dell’Università di Pisa ha dimostrato che la plasticità del cervello degli adulti è maggiore di quanto sinora ritenuto e che la suscettibilità al cambiamento riguarda aree sinora ritenute “stabili” come quella visiva primaria. La scoperta apre la strada a una nuova comprensione di cosa succede al nostro cervello dopo una lesione e, potenzialmente, ad un nuovo approccio terapeutico per la sindrome dell’occhio pigro efficace anche negli adulti.

La ricerca, pubblicata sulla rivista eLife, è stata condotta da Paola Binda, Jan W. Kurzawski, Claudia Lunghi e Maria Concetta Morrone per il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa e da Laura Biagi e Michela Tosetti per l’IRCCS Fondazione Stella Maris e per il centro di ricerca Imago7.

“Il cervello cambia ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, ma non tutto il cervello è plasmabile dall’esperienza - spiega Paola Binda - Mentre nei bambini c’è una riserva di plasticità in ampie regioni del cervello, negli adulti la maggioranza delle regioni cerebrali sembra essere immune al cambiamento; fra queste, si è pensato finora che le aree visive del cervello fossero particolarmente stabili. Il nostro studio ha dimostrato che anche la corteccia visiva di individui adulti può andare incontro a cambiamenti notevoli anche in tempi brevissimi”.

 

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Ricostruzione tridimensionale di un emisfero cerebrale di un individuo adulto, in cui si evidenzia la posizione delle aree deputate alla visione



Per dimostrarlo, i ricercatori hanno sfruttato le più avanzate tecniche di neuroimmagine in combinazione con una manipolazione dell’esperienza visiva. Per questo hanno chiesto ad alcuni volontari di bendarsi un occhio per due ore, quindi usando la risonanza magnetica funzionale a campo ultra-alto, hanno misurato la rappresentazione di ciascun occhio, prima e dopo questo breve periodo di esperienza visiva anomala. Quello che hanno osservato è un cambiamento rilevante dell’attività nel cervello visivo, che ha amplificato la rappresentazione dell’occhio bendato per qualche minuto dopo la sua riapertura.

“L’applicazione di una benda monoculare è ad oggi il principale approccio terapeutico per la cura dell’ambliopia, o sindrome dell’occhio pigro: un deficit visivo che dipende dalla ridotta rappresentazione di uno dei due occhi al livello del cervello visivo – conclude Maria Concetta Morrone - Questa terapia è generalmente considerata possibile solo nei bambini, mentre sembra inefficace nell’adulto, ma i risultati ottenuti aprono nuove prospettive per la comprensione e la cura di questa condizione, e più in generale per lo sviluppo di nuove strategie che sfruttino il potenziale di plasticità del cervello adulto per la cura e la riabilitazione delle malattie del sistema nervoso centrale”.

 

Il dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa ha ospitato otto docenti provenienti da prestigiosi atenei dell’Uzbekistan (Andijan, Tashkent, Nukus e Samarcanda) per una training activity nell'ambito del Progetto BUzNet (B-learning Uzbekistan Veterinary Network), finanziato dall’Unione Europea (Erasmus+, Capacity Building). Il progetto, coordinato dall’Universidade do Portoe, per l’Università di Pisa, dalla professoressa Alessandra Guidi, ha l’obiettivo di riqualificare le competenze e di promuovere il miglioramento della formazione dei medici veterinari e dei professionisti della produzione animale in Uzbekistan.

Le lezioni hanno riguardato la tecnologia, l’ispezione e la certificazione nella filiera lattiero casearia coinvolgendo alcuni docenti del dipartimento di Scienze Veterinarie, in particolare, oltre ad Alessandra Guidi, coordinatrice locale del progetto, anche il professore Francesco Di Iacovo e le dottoresse Roberta Moruzzo, Roberta Nuvoloni e Francesca Pedonese. Altri docenti e tecnici del dipartimento hanno inoltre partecipato all’organizzazione e allo svolgimento delle attività laboratoriali/sul campo, in particolare la dottoressa Beatrice Torracca e il dottor Omar Benini per il controllo dell’igiene del latte, le dottoresse Federica Salari e Iolanda Altomonte per la qualità del latte e il professore Duccio Panzani per le problematiche riproduttive nelle vacche da latte.


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I docenti Uzbeki in visita all'Unipi con i colleghi pisani


Nel corso della settimana, gli ospiti hanno inoltre potuto visitare l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana (sede di Pisa), la stalla del Centro di Ateneo di Ricerche Agro-Ambientali "Enrico Avanzi" (CiRAA), il caseificio Busti e la Mukki Centrale del Latte della Toscana S.p.A di Firenze.

Dopo questa tappa pisana, gli otto docenti uzbeki completeranno nei prossimi mesi la propria formazione presso gli altri partner europei del progetto, le università di Padova e Porto (Portogallo) e la Estonian University of Life Sciences di Tartu.

Consegnata una targa in onore di Antonio Pacinotti, scienziato pisano inventore della dinamo. La cerimonia si è svolta martedì 4 dicembre alla Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa nel corso di una giornata dedicata allo scienziato alla quale ha partecipato la prorettrice vicaria Nicoletta De Francesco. Il riconoscimento conferitogli dalla IEEE, la più importante associazione mondiale in ambito dell’ingegneria elettrica e dell'informazione, è la cosiddetta “IEEE milestone” o pietra miliare, a significare il fondamentale contributo dato da Pacinotti al progresso scientifico tecnologico.

Alla cerimonia, per l’Università di Pisa, hanno partecipato il rettore Paolo Mancarella e il prorettore Marco Raugi; per l'IEEE erano presenti il presidente James A. Jefferies, Costas Stasopoulos, Tiziana Tambosso e Antonio Savini.

 

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La delegazione dell'IEEE coon il rettore Paolo Mancarella e il prorettore Marco Raugi

Antonio Pacinotti, nato a Pisa il 17 giugno 1841, studiò e si laureò all'Università di Pisa il 28 giugno 1861. Prima della laurea, precisamente nell'aprile 1860, realizzò «la prima dinamo a corrente continua», la cosiddetta “Macchinetta”. Dopo aver insegnato Fisica e Chimica all'Istituto Tecnico di Bologna, Fisica Sperimentale all'Università di Cagliari tornò definitivamente all'Università di Pisa nel 1882 come Professore di Fisica Sperimentale.

La IEEE Milestone

 

L'Università di Pisa conserva presso il Museo degli Strumenti di Fisica tutti i prototipi realizzati da Antonio Pacinotti: la famosa “Macchinetta”, la Macchina a Gomitolo, la Macchina a Volano, il "Fucile elettromagnetico" e altri ancora. Nella «Biblioteca di Matematica, Informatica, Fisica» si trovano inoltre la Biblioteca (circa 2000 volumi) e l'Archivio (migliaia di fogli manoscritti) del grande scienziato e del padre Luigi, anch'egli professore all'Università.

 

Migliorare la qualità delle acque marine nei porti limitando l’impatto dell’attività portuale e del traffico marittimo attraverso la definizione di un set di buone pratiche per la gestione di rifiuti e reflui. E’ questo l’obiettivo di GRRinPORT (acronimo di Gestione sostenibile dei rifiuti e dei reflui nei porti), un progetto triennale partito nel 2018 che riguarderà in via sperimentale i porti di Piombino, Ajaccio, Livorno e Cagliari. Finanziato dal Programma Interreg Marittimo Italia – Francia, il progetto ha come partner il Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni (Destec) dell'Università di Pisa che opererà con un vasto consorzio italo-francese di cui fanno parte l’Università degli Studi di Cagliari come capofila, la Regione Autonoma della Sardegna, il Mediterranean Sea and Coast Foundation (Medsea), l’Université de Corse Pasquale Paoli, l’Office des Transports de la Corse e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).

 

Grrinport

A maggio e giugno 2018 sono stati prelevati i primi campioni di sedimenti marini nel porto di Livorno, in particolare in varie Darsene (Darsena Lucchini e Darsena Pescherecci)



“Nei mesi scorsi abbiamo effettuato i primi prelievi nel porto di Piombino e Livorno allo scopo di raccogliere sedimenti con diverse caratteristiche chimico-fisiche su cui effettuare le analisi – spiega il professore Renato Iannelli dell’Ateneo pisano – Sulla base dei livelli e del tipo di contaminazione stabiliremo quindi i trattamenti da fare per bonificarli”.

Nell’ambito del progetto, il Destec dell’Università di Pisa metterà infatti a disposizione la propria esperienza di ricerca e sperimentazione per il trattamento e la gestione dei sedimenti di dragaggio contaminati. In particolare, i campioni raccolti saranno prima lavati e separati per grandezza fine, media e grossolana e quindi attraverso successivi trattamenti verranno rimossi i metalli pesanti e degradati gli inquinanti organici.

grrinport

La ditta STMP di Piombino ha effettuato varie immersioni che hanno permesso di campionare un totale di 16 campioni di varie granulometrie e contenenti diversi inquinanti. Hanno partecipato sia UNIPI (Prof. Renato Iannelli, Ing. Isabella Pecorini) che Ispra (Ing. Fabiano Pilato e Ing. Andrea La Camera)



Oltre ai primi campionamenti, i partner impegnati nel progetto stanno inoltre definendo il quadro generale della situazione attraverso una raccolta dati e un’analisi della normativa. Il piano di raccolta e gestione dei rifiuti portuali è infatti un obbligo di legge per l’Autorità Portuale, ma manca un’azione di raccordo nazionale e transfrontaliera, che uniformi le modalità di gestione delle diverse tipologie di rifiuti e di reflui, sia a bordo delle imbarcazioni che in porto.

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I campioni raccolti, in prevalenza limo argillosi anche se in alcuni casi hanno presentato parti sabbiose

“Nell’area presa in esame dal progetto, l’inquinamento marino è causato principalmente dall’uso di combustibili inquinanti e dai fumi emessi dai traghetti che effettuano il trasporto da e per la Corsica, ma anche dalla presenza di rifiuti e reflui organici prodotti a bordo delle navi e nelle strutture a terra – conclude Iannelli - Obiettivo del progetto è dunque dare delle indicazioni comuni per gestirli al meglio e limitare gli impatti sull’ambiente”.

 

Per la prima volta in paleopatologia è stato documentato l’uso medievale del cauterio in relazione al trattamento chirurgico di un trauma cranico. La scoperta viene dalla Divisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa, diretta dalla professoressa Valentina Giuffra, che ha condotto uno studio sul corpo mummificato di San Davino Armeno durante una ricognizione canonica promossa dalla Curia Arcivescovile di Lucca e condotta nel marzo 2018 sotto la supervisione scientifica del professor Gino Fornaciari. Lo studio è stato ritenuto così interessante per gli aspetti paleopatologici e storico-medici da essere pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet”.

Fig. 1 La mummia di San Davino, XI secolo (Lucca, San Michele in Foro).jpg
La mummia di San Davino, XI secolo (Lucca, San Michele in Foro).

Nelle fonti agiografiche leggiamo che Davino, originario del Regno d’Armenia, giunse a Lucca nell’anno 1050, dopo un lungo pellegrinaggio che lo avrebbe condotto prima a Gerusalemme e poi a Roma. Morì a Lucca improvvisamente sulla strada per Santiago de Compostela. Il corpo, conservatosi miracolosamente, divenne presto oggetto di grande venerazione ed è stato conservato per secoli nell’altare maggiore della basilica di San Michele in Foro. “Lo studio, che ha incluso l’esame macroscopico e la CT total body della mummia, effettuata presso la Clinica Barbantini di Lucca, ha rivelato trattarsi di un giovane adulto di circa 25 anni – spiega la professoressa Valentina Giuffra - Sul cranio sono state rilevate due lesioni traumatiche con segni di lunga sopravvivenza: un taglio superficiale sul frontale lungo 5 cm, prodotto da una lama dentata, e una lesione ellittica con frattura depressa in corrispondenza del tratto di destra della sutura coronale, prodotta da un corpo contundente. Intorno a questa lesione è stato possibile osservare una cicatrice ossea con margini sottili di forma pentagonale, causata dal contatto di un ferro rovente, un cauterio a testa pentagonale, applicato probabilmente per arrestare l’emorragia dopo la toilette chirurgica”.

2.Il cranio di San Davino con in evidenza la lesione che mostra i segni del cauterio pentagonale
Il cranio di San Davino con in evidenza la lesione che mostra i segni del cauterio pentagonale.

La medicina medievale bizantina e araba faceva ampio uso del cauterio, ossia di un ferro rovente da applicare a una lesione o a una ferita a scopo terapeutico. In particolare, il mondo islamico aveva elaborato una dottrina medico-chirurgica che prevedeva in moltissimi casi il ricorso alla cauterizzazione, intervento che aveva il merito di limitare l’effusione del sangue, così come prescritto dalle leggi coraniche. Uno dei maggiori chirurghi islamici del X-XI secolo, lo spagnolo Albucasis, nel celebre trattato “al-Tasrif” descrive con dovizia di particolari le modalità d’uso del cauterio. Nonostante queste attestazioni storiche, rarissimi sono i casi paleopatologici di cauterizzazione individuati direttamente sui resti umani antichi.

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Particolare della lesione con segni di cauterio.

I cauteri avevano forma variabile: rotondi, a oliva, quadrati o poligonali, a seconda del loro impiego e dello scopo dell’intervento, ma finora non era stata trovata una prova diretta così evidente di questa pratica chirurgica. Antonio Fornaciari, primo autore del lavoro, aggiunge: “San Davino nella tradizione popolare era il Santo invocato per la guarigione del mal di testa; fino a qualche decennio fa i devoti erano soliti andare a venerare il corpo e indossavano il cappello di San Davino per ottenere la guarigione. È interessante aver trovato sul cranio del Santo l’evidenza di due gravi traumi cranici, di cui uno con evidenza di trattamento medico. È evidente che Davino soffrì di gravi emicranie a seguito dei traumi e che dunque la tradizione ha una relazione con episodi della vita del Santo realmente accaduti”.

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Cauterizzazione del cranio nel trattato di Chirurgia di Charaf Ed-Din (1465).

 

milani sea verysmallProfessor Andrea Milani Comparetti passed away on the 28th November. Andrea Milani Comparetti (photo on the right) was born in Florence in 1948 and pursued his academic career at the University of Pisa where he was Assistant Professor of Mathematical Analysis from 1971 to 1985, then Associate Professor of the Principals of Mathematics until 2002 and finally Full Professor of Mathematical Physics until he retired in November this year. Among the positions held at the university, the professor was a member of the Board of Directors from 1978 to 1980.
In the words below his students, friends and colleagues commemorate him.

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Professor Andrea Milani Comparetti was an eminent scientist and excellent teacher, with numerous research interests in different fields. His ability to grasp concepts was often surprising, as was the speed with which he conceived simple solutions to complex problems. His principal field of interest was in all aspects of Celestial Mechanics with particular regard to the applications of Astronomy and space missions.

Professor Milani became very interested in Celestial Mechanics at a young age: after embarking on a research career in Pure Mathematics, he was intrigued by the lessons Giuseppe Colombo gave at the Scuola Normale in the 1970s on space flight dynamics. At the end of the 1970s, together with Anna Maria Nobili and Paolo Farinella, he founded the Space Mechanics Group in the Department of Mathematics at the University of Pisa and began to direct his research towards the field of Celestial Mechanics. This was the era of the development of computing devices, and he began to make wide use of them in his studies.

Professor Milani managed to give his research activity an extremely cross-disciplinary character, interacting with mathematics, physics, astronomy and aerospace engineering. His research included, among other things, the N-body problem, the stability of the Solar System, asteroid dynamics and the study of the families generated by their collision, satellite geodesy, space exploration, orbit determination of celestial bodies and asteroid impact risk with the Earth.

He published around 150 research papers in international journals with peer-reviews and various books on both research subjects and of an educational nature. For his contributions to the study of asteroid orbits, he received the Brouwer Award from the American Astronomical Society, which is the most prestigious international acknowledgement in the field of Dynamic Astronomy, and in 2016 he was given the GAL Hassin Award. He was past president of the Commissions 7 and X2 of the International Astronomical Union and a member of the Celestial Mechanics Institute.

He was a man of great culture, with a curious and open mind, interested in literature, economics and politics, and who, in his spare time, enjoyed writing science fiction tales.

Over the years, he shaped an entire school of researchers as he was constantly full of ideas for his students, some of whom work with the Celestial Mechanics Group of the University of Pisa, others in the spin-off SpaceDyS, also a venture of his, and yet others in important research institutes in Italy and abroad.

His significant legacy will continue. The people who worked with him treasure his teachings, and his contributions will continue to influence Celestial Mechanics at length. As his closest and longest-standing collaborators, we wanted to offer these words to honour his memory. We will always be grateful to Andrea for having shared with us his extraordinary scientific and cultural abilities and humanity.

Steven R. Chesley (NASA-JPL)
Davide Farnocchia (NASA-JPL)
Giovanni Federico Gronchi (University of Pisa)
Zoran Knezevic (Serbian Academy of Sciences and Art)
Paolo Paolicchi (University of Pisa)
Alessandro Rossi (IFAC-CNR)
Giacomo Tommei (University of Pisa)
Giovanni Battista Valsecchi (IAPS-INAF)

A Pisa, primi in Toscana, viene sperimentata da qualche tempo con successo la tecnica Desarda per la riparazione dell’ernia inguinale. Si tratta di una procedura alternativa, ideata appunto dal chirurgo indiano Mohan P. Desarda, che rinuncia all’utilizzo delle protesi sintetiche basandosi su una conoscenza approfondita dell’anatomia inguinale. Per la correzione del difetto della parete posteriore del canale inguinale - che è alla base della fisiopatologia dell’ernia - la tecnica utilizza infatti la fascia del muscolo obliquo esterno, opportunamente sezionata e sagomata, che viene trasposta in basso e usata come rinforzo del difetto parietale.

I primi 13 casi di intervento con la tecnica Desarda in Toscana sono stati eseguiti nella Sezione dipartimentale di Chirurgia generale universitaria dell’Aoup dal dottor Francesco Porcelli, sotto la guida del professor Giulio Di Candio, che ne ha stimolato l’utilizzo.

 

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In pratica, rispetto alla tecnica Bassini del 1890 e successive modifiche - fino alla Shouldice del 1952 (due strati, 4 linee di sutura), che ne rappresentano indubbiamente il riferimento storico - la tecnica di Desarda non coinvolge il tendine congiunto, non lo abbassa e solidarizza, forzandolo, al ligamento inguinale, evitando così quella tensione residua che ha costretto i chirurghi ad abbandonare queste procedure a fronte delle tecniche “tension free” con protesi (Fig-1 a-d).

L’ernia inguinale è una delle patologie più frequenti e la sua correzione uno degli interventi più praticati al mondo. Solo negli Stati Uniti vengono sottoposti ogni anno ad intervento per ernia inguinale 800.000 pazienti su un totale di 1.000.000 di ernie (circa 20.000.000 nel mondo) rappresentate in ordine di frequenza da ernie inguinali, ombelicali, laparoceli e femorali o crurali. Il risvolto economico e sociale si rileva pertanto piuttosto pesante, anche nel nostro Paese.

Numerose sono le tecniche chirurgiche di ernioplastica inguinale, negli ultimi anni si sono in particolare affermate le cosiddette tecniche senza tensione grazie all’utilizzo di protesi biocompatibili (alloplastica) che possono essere in materiale sintetico (polipropilene, poliestere, PTFE-e e composite) o biologico (derma suino, pericardio bovino).

La tecnica non è applicabile a tutti i pazienti e a tutti i tipi di ernie ma, in casi selezionati, permette un risparmio economico e di tempo operatorio e, non prevedendo l’uso di materiale protesico artificiale, azzera i rischi di infezione, rigetto o reazione sclerotica periprotesica. Gli eventi avversi determinati dalla sola presenza delle protesi sono ben noti e temuti: fra i tanti (infezione, rigetto, dislocazione/migrazione), non di rado, anche il dolore cronico e non trattabile che può giustificare il re-intervento e la rimozione di ciò che, alla fine, è diventato un corpo estraneo. Quest’ultima è una procedura complessa e delicata, con costi sanitari e sociali non trascurabili.
La tecnica di Mohan P. Desarda si aggiunge così a quel ventaglio di opzioni chirurgiche, permettendo ancora di adattare la scelta della tecnica alle caratteristiche e alla situazione del singolo paziente, realizzando una chirurgia disegnata sulle caratteristiche anatomiche di ciascuno (edm).

 

milani_sea_verysmall.jpgIl 28 novembre è scomparso il professore Andrea Milani Comparetti. Nato a Firenze nel 1948, Andrea Milani Comparetti (foto a destra) ha percorso la sua carriera accademica all’Università di Pisa dove è stato assistente ordinario di Analisi matematica dal 1971 al 1985, quindi professore associato di Istituzioni matematiche sino al 2002 e infine ordinario di Fisica Matemetica sino al collocamento a riposo avvenuto proprio a novembre di quest’anno. Fra le cariche ricoperte in Ateneo, Il professore  è stato membro del Consiglio di Amministrazione dal 1978 al 1980.

Pubblichiamo di seguito un ricordo dei suoi allievi, amici e colleghi.

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In memoria del Prof. Andrea Milani Comparetti

Il Prof. Andrea Milani Comparetti era uno scienziato eccellente e un ottimo didatta, con molti interessi di ricerca in campi diversi. La sua abilità nell'intuire le cose era talvolta sorprendente, così come la sua rapidità nel concepire soluzioni semplici per problemi complessi. Il suo campo principale di ricerca era la Meccanica Celeste, in tutti i suoi molteplici aspetti, con particolare interesse verso le applicazioni all'Astronomia e le missioni spaziali.

Alla Meccanica Celeste il Prof. Milani si era appassionato da giovane: dopo un esordio nella ricerca su temi di Matematica pura era stato affascinato dalle lezioni che Giuseppe Colombo tenne alla Scuola Normale negli anni Settanta sulla dinamica del volo spaziale. Alla fine degli anni Settanta, insieme ad Anna Maria Nobili e Paolo Farinella, fondò il Gruppo di Meccanica Spaziale all'interno del Dipartimento di Matematica dell'Università di Pisa e iniziò a dedicarsi alla ricerca nel campo della Meccanica Celeste. Era l'epoca dello sviluppo dei calcolatori, e lui iniziò a farne un uso intensivo per i suoi studi.

Il Prof. Milani è riuscito a dare un carattere estremamente interdisciplinare alla sua attività di ricerca, interagendo con matematici, fisici, astronomi e ingegneri aerospaziali. Le sue ricerche riguardano, tra le altre cose, il problema degli N-corpi, la stabilità del Sistema Solare, la dinamica degli asteroidi e lo studio delle famiglie da essi generati per collisione, la geodesia via satellite, l'esplorazione spaziale, la determinazione orbitale di corpi celesti ed il monitoraggio degli impatti con la Terra degli asteroidi.

Ha pubblicato circa 150 articoli di ricerca su riviste internazionali con peer-review e alcuni libri, sia su argomenti di ricerca che di carattere didattico. Per i suoi diversi contributi allo studio delle orbite degli asteroidi ha vinto nel 2010 il Brouwer Award della American Astronomical Society, che è il più prestigioso riconoscimento internazionale nel campo dell'Astronomia Dinamica, e nel 2016 il premio GAL Hassin. E' stato presidente delle Commissioni 7 ed X2 dell'IAU (International Astronomical Union) e membro del Celestial Mechanics Institute.

Mente aperta e curiosa, uomo di vastissima cultura, era appassionato di letteratura, economia e politica, e nel tempo libero si dilettava a scrivere dei racconti di fantascienza.

Nel corso degli anni ha formato un'intera scuola di ricercatori, essendo sempre prodigo di idee nei confronti dei suoi studenti: alcuni di loro lavorano nel gruppo di Meccanica Celeste dell'Università di Pisa, altri nella spin-off SpaceDyS, fondata anch'essa per sua iniziativa, altri in importanti istituti di ricerca in Italia e all'estero.

La sua eredità è significativa e sarà duratura. Le persone che hanno lavorato con lui faranno tesoro dei suoi insegnamenti, e i suoi contributi influenzeranno lo studio della Meccanica Celeste per molto tempo.
In qualità di suoi collaboratori più stretti e di lunga data abbiamo voluto scrivere queste parole in suo ricordo. Saremo sempre grati ad Andrea per aver condiviso con noi le sue straordinarie capacità scientifiche, culturali e umane.

 

Steven R. Chesley (NASA-JPL)
Davide Farnocchia (NASA-JPL)
Giovanni Federico Gronchi (Universita' di Pisa)
Zoran Knezevic (Accademia delle Scienze e delle Arti della Serbia)
Paolo Paolicchi (Universita' di Pisa)
Alessandro Rossi (IFAC-CNR)
Giacomo Tommei (Universita' di Pisa)
Giovanni Battista Valsecchi (IAPS-INAF)

 

 

I professori dell’università di Pisa tornano sui banchi per migliorare la qualità didattica e imparare a insegnare grazie anche agli studenti stessi. Venerdì 30 novembre è partito il nuovo progetto dell'Ateneo pisano "Insegnare a insegnare", un percorso di approfondimento delle competenze utili per l'insegnamento universitario dedicato in prima battuta ai nuovi e ai potenziali docenti. Circa un centinaio di ricercatori, professori e dottorati si sono ritrovati nell'aula magna del dipartimento di Matematica per l'inaugurazione del corso, alla presenza del rettore Paolo Mancarella, del prorettore per la Didattica, Marco Abate, e dei professori Maria Antonella Galanti e Luca Fanucci.

 

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La platea di professori-studenti al corso "Insegnare a insegnare"

 

“Vi invito a tenere sempre aperta la capacità di apprendere – ha detto il rettore Mancarella in apertura agli allievi del corso - c’è una frase di Bertolt Brecht che mi sono appuntato “durante i miei nove anni delle scuole superiori non sono riuscito a insegnare niente ai miei professori”, credo che questo spieghi benissimo quello che intendo, per insegnare non bisogna davvero smettere mai di imparare”.

Da sinistra, Paolo Mancarella e Marco Abate

 

Dopo i saluti istituzionali, la prima lezione è stata quindi tenuta dal professor Ettore Felisatti, dell'Università di Padova, che coordina il progetto e che in questa occasione ha anche presentato i risultati dell'indagine svolta tra i partecipanti sull’immagine che hanno della figura del docente.

Il progetto "Insegnare a insegnare", che andrà avanti sino a giugno del prossimo anno, prevede un ciclo di incontri a cadenza mensile con esperti italiani e stranieri, accademici e non. Nel corso delle lezioni saranno forniti spunti e idee per migliorare la qualità dell’insegnamento, discutendo di metodologie di insegnamento, strumenti di e-learning, didattica orientata sui bisogni degli studenti e tecniche comunicative e performative.

 

Da sinistra, Luca Fanucci, Maria Antonella Galanti e Marco Abate

"Insegnare - ha concluso il prorettore alla Didattica, Marco Abate - è una parte fondamentale del mestiere dei professori e dei ricercatori universitari, anche se spesso questo compito viene svolto in modo individuale, senza momenti di confronto con altri o scambi di idee sulle metodologie usate o utilizzabili. La nostra iniziativa è nata proprio per rispondere a queste esigenze in modo da migliorare la qualità complessiva della didattica nel nostro Ateneo".

 

 

 

 

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