Numero 20 - Editoriale
Luglio 2007
Gli umani hanno una costituzione biologica immediatamente integrata con la cultura. Essi sopperiscono alle loro lacune naturali con l’attività simbolica e con la produzione e riproduzione di artefatti. Per l’uomo il confine tra artificiale e naturale risulta molto sfumato. Gli uomini vivono in un ambiente costruito e il loro modo di vivere, di mangiare, di ripararsi, di organizzarsi, di produrre strumenti, di lavorare, di comunicare e di immaginare è inseparabile dalla loro storia culturale, sociale e simbolica. Da questo punto di vista, anche la tecnologia è l’espressione di rapporti culturali, sociali e simbolici. Lo sapevano già i Greci, tant’è che Platone nel Protagora narrò il mito di Prometeo e Epimeteo per dirci che, per sopravvivere, agli umani la tecnologia non bastava se non vi era un’organizzazione sociale fondata sul rispetto e sulla giustizia. Quel mito era l’esaltazione della vita nella polis e dell’uomo come zòon politikòn - così lo definirà in seguito Aristotele - un animale cioè la cui peculiarità è di vivere in una società istituzionalmente, politicamente, eticamente organizzata.
Il mondo sociale contemporaneo, basato sulle nuove tecnologie e sulla rete, offrendo agli uomini nuove e stupefacenti potenzialità di autonomia, di conoscenza, di relazioni, di qualità della vita e del sapere, sembra porre nuovi e contrastanti problemi sul piano dei legami sociali, dell’identità individuale e di specie, della solidarietà, delle forme di vita collettiva, dell’attività lavorativa, della democrazia, dell’etica.
Dal tempo del primo congresso sulle macchine svoltosi a Pisa nel 1967 a oggi sono accadute tante, forse troppe cose. Dalla fiducia nell’energia nucleare si è arrivati alla tragedia di Cernobyl, alla rete telefonica si è sovrapposta la rete telematica, la cultura ambientalista è cresciuta proprio mentre aumentano i pericoli di inquinamento e di catastrofi ambientali, le tecnologia di guerra è diventata sempre più sofisticata e micidiale e gli uomini oscillano, per non dire che sbandano, tra una concezione salvifica e un rifiuto impaurito della scienza, della tecnologia e dell’uso delle macchine.
Vi è come un filo rosso che va dalla metafora della finestra attraverso cui Leon Battista Alberti definì, nel XV secolo, la moderna prospettiva pittorica, ovvero la prima forma di tecnologia ad alta definizione, e che, passando per il teatro moderno, la fotografia, il cinema, la televisione, giunge fino alle finestre dei computer.
La capacità di duplicare e di riprodurre tecnologicamente ad infinitum oggetti ed eventi del mondo, di modificare i corpi, di strutturare legami sociali e di acquisire sapere attraverso le finestre della rete telematica, stanno ancora di più assottigliando i confini fra naturale e artificiale e ancora di più complicando il senso dello stare nel mondo, facendoci oscillare tra il bisogno di riproduzione che ci rassicura sulla permanenza e molteplicità delle cose del mondo e la paura della sostituzione che ci rende incerti, dubbiosi e ci pone nuove domande sulla nostra identità.
Il continuo e rivoluzionario processo di sostituzione che le macchine, nel loro evolversi verso l’automazione e verso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, operano nelle attività e nelle relazioni umane, da un lato lascia intravedere la possibilità per gli uomini di evitare i lavori più noiosi e pesanti (fisicamente e mentalmente) e di avere più tempo per libere attività, ma dall’altro impone drammaticamente l’espulsione dei lavoratori e la disoccupazione i cui livelli attuali sono fra i più alti mai raggiunti. Si sta creando una divaricazione sempre più grande tra “un’élite cosmopolita di ‘analisti di simboli’, che controllano le tecnologie e le forze di produzione; e un crescente numero di lavoratori permanentemente in eccesso, con poche speranze e ancor meno prospettive di trovare un’occupazione significativa nella nuova economia globale ad alta tecnologia” (Rifkin, La fine del lavoro, p. 18). Il nostro sistema sociale, crescendo tra e con le macchine, le reti e le nuove tecnologie, sembra esigere un prezzo, quello di una disarmata e dunque pericolosa permeabilità alle esigenze di un mercato dove, mentre le cose si sostituiscono agli uomini, gli uomini diventano cose.
Alfonso Maurizio Iacono