Giosuè Carducci – Faida di Comune
Ritratto giovanile di Giosuè Carducci
Pisa manda ambasciatori:
Del comun di santa Zita
Ivi aspettano i signori.
Ecco vien Bonturo Dati,
Mastro in far baratterie:
Ecco Cino ed ecco Pecchio,
Che spazzarono le vie:
Ecco il Feccia ed ecco il Truglia,
Detti ancor bocche di luccio:
Il miglior di tutti č Nello,
Merciaiuol popolaruccio.
Tutti a nuovo in bell’arnese,
Co ’l mazzocchio e con la spada:
Il fruscìo de le lor séteEmpie tutta la contrada.
Il fruscìo de le lor séte
Chiama il popolo a raccolta:
Gran dispregio han su le ciglia:
Parlan tutti in una volta.
Ma Banduccio di Buonconte,
Grave d’anni e più di gloria
(Tre ferite ebbe di punta,
Due di mazza a la Meloria),
Stando a capo de i pisani,
Come vecchio e maggior deve,
Fatto pria cenno d’onore,
Così disse onesto e breve:
– Vincitori sì, ma stanchi
Di contese e cristiani,
Noi veniamo a segnar pace
Co lucchesi, noi pisani.
Render Buti, Avane, Asciano,
Prometteste: or ce li date.
E viviam, fratelli, in pace,
Se viviamo in libertate. –
Qui Bonturo si fa innanzi
Tra i lucchesi ambasciatori
Di tre passi, e parla adorno
Con retorici colori.
– Bel castello è Avane, e corte
Fu de i re d’Italia un giorno.
Vi si sente a mezza notte
Pe’ querceti un suon di corno.
Vi si sente a mezza notte
La real caccia stormire,
Dietro ad una lepre nera
Un caval nero annitrire.
Perché Astolfo longobardo
D’una lepre ebbe contesa
Con l’abate Sighinulfo,
Qual de’ due l’avesse presa:
Onde il re venuto in ira
Trasse in faccia al santo abate
Una mazza, e tutte gli ebbe
Le mascelle sgretolate.
Gran ricordi, e, come a seggio
Di marchese, a Lucca grati.
Pure Avane ed i suoi boschi
Noi vogliam che vi sian dati.
Brutto borgo è Buti: a valle
Tra le rocce grige e ignude
Il Riomagno brontolando
Va di Bientina al palude.
Ma su alto oh come belli
D’ubertà ridono i clivi,
Ma su alto oh come lieti
Ne l’april svarian gli ulivi!
Bacchian li uomini le rame,
Le fanciulle fan corona,
E di canti la collina
E di canti il pian risona,
Mentre pregni d’abondanza
Ispumeggiano i frantoi
Scricchiolando. Il ricco Buti
Noi cediam, pisani, a voi.
Ma d’Asciano in van pensate:
Quando a voi lo conquistammo,
Su le torri del castello
Quattro specchi ci murammo,
A ciò che le vostre donne,
Quando uscite a dameggiare,
Negli specchi dei lucchesi
Le si possan vagheggiare. –
E qui surse tra i lucchesi
Uno sconcio suon di risa.
A i pugnali sotto i panni
Miser mano quei di Pisa.
Ma Banduccio di Buonconte
Con un cenno di comando
Frenò l’ire, e, su i lucchesi
Fieramente riguardando,
– Otto giorni – disse, e tese
Contro Lucca avea le mani, –
E vedrete quali specchi
Han le donne de i pisani. –
Sette giorni: e a Pisa, in ponte,
Tra gli albor crepuscolari,
Era accesa una candelaDi sol dodici denari.
Stava presso la candela,
Tremolante nel bagliore,
Co’ pennoni del comune
A cavallo un banditore.
E sonava a più riprese
De la tromba, e urlava forte:
– Viva il popolo di Pisa
A la vita ed a la morte!
Cittadini di palagio,
Mercatanti e buoni artieri;
E voi conti di Maremma
Da i selvatici manieri;
Voi di Corsica visconti,
Voi marchesi de’ confini;
Voi che re siete in Sardegna
Ed in Pisa cittadini;
Voi che in volta dal levante
Mainaste or or la vela:
Pria che arrossi la Verruca
E si spenga la candela,
Fuori porta del Parlascio,
Su, correte arditamente!
Su, su, popolo di Pisa,
Cavalieri e buona gente!
Fuori porta del Parlascio,
Con gran cuore, a lancia e spada!
Uguccion de la Faggiola
Messo ha in punto la masnada.
Tutto ferro l’ampio busto,
Ed il grande capo ignudo,
Sta su ’l grande caval bianco
E imbracciato ha il grande scudo,
Che ben quattro partigiane
Regge, e, come fosser ceci,
De’ lucchesi i verrettoni
Regge infitti a dieci a dieci. –
Così grida il banditore,
E la gente accorre armata.
Va co ’l sole di novembre,
Va la fiera cavalcata.
Va per grige irsute stoppie
Da la brina inargentate,
Va per languidi oliveti,
Va per vigne dispogliate.
Forte odora per le ville
La vendemmia già matura:
Ahi, quest’anno san Martino
Dà la mala svinatura!
O lucchesi, il vostro santo
Non è più, mi par, con voi.
Il pisan cacciasi avanti
Contadini e carri e buoi,
E battendo ed uccidendo
Corre il misero paese;
Fugge innanzi a quella furia,
Fugge il popolo lucchese.
Così giunge a San Friano
La feroce cavalcata.
Lucca dietro le sue torri
Téme l’ultima giornata.
I pisani oltre le mura
Gittan faci e verrettoni.
– Togli su, pantera druda,
Togli su questi bocconi.
Tali specchi, o Lucca bella,
Pisa manda a le tue donne. –
E rizzaron su la porta
Due lunghissime colonne;
E due specchi in vetta in vetta,
Grandi e grossi come bótti,
V’appiccarono: ed intorno
Menan balli e dicon motti.
Ma Tigrin de la Sassetta,
Faccia ed anima cattiva,
Trasse a corsa pe’ capelli
Un lucchese che fuggiva,
E la spada per le reni
Una volta e due gli fisse;
Tinse il dito entro quel sangue,
Su la porta così scrisse:
– Manda a te, Bonturo Dati,
Che i lucchesi hai consigliati,
Da la porta a San Friano
Questo saluto il popolo pisano.